Tassi Fed, tutti i messaggi arrivati dall’inflazione USA. Mentre su tagli Powell c’è chi lancia SOS

Laura Naka Antonelli

24 Ottobre 2025 - 16:31

Reso noto in tempi di shutdown USA il dato relativo al CPI. Le indicazioni sono contrastanti, mentre c’è chi teme un grande errore sui tassi da parte della Fed di Powell.

Tassi Fed, tutti i messaggi arrivati dall’inflazione USA. Mentre su tagli Powell c’è chi lancia SOS

Nel mese di settembre, l’inflazione degli Stati Uniti misurata dall’indice dei prezzi al consumo (CPI) è salita del 3% su base annua, a un ritmo lievemente inferiore rispetto al 3,1% previsto dal consensus degli analisti, ma in rialzo rispetto al 2,9% del mese precedente.

Su base mensile, il dato è salito dello 0,3%, a un ritmo inferiore rispetto al +0,4% atteso, e come nel mese precedente.

Inflazione USA cresce meno delle attese, ma rimane ben oltre il target della Fed. Il trend delle componenti

L’inflazione core - ovvero l’inflazione depurata dalle componenti più volatili, rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici - è avanzata anch’essa su base annua del 3%, rispetto al 3,1% atteso dal consensus, rallentando inoltre il passo rispetto al +3,1% precedente.

Su base mensile l’inflazione core è aumentata dello 0,2%, meno del +0,3% messo in conto.

L’indice CPI, annunciato mentre negli Stati Uniti è ancora attiva la fase di shutdown, è fondamentale per far capire ai mercati la possibile direzione che la Federal Reserve deciderà di dare ai tassi sui fed funds USA.

Da segnalare che, prima della pubblicazione del dato, le attese degli analisti sui tagli dei tassi di interesse da parte della Fed di Jerome Powell entro la fine di quest’anno erano di riduzioni pari a -47 punti base, con una probabilità di una nuova sforbiciata del costo del denaro nel prossimo meeting del FOMC, il braccio di politica monetaria della Banca centrale americana pari al 99%.

La pubblicazione dell’indice CPI ha ulteriormente blindato la prospettiva di altri due tagli dei tassi entro la fine del 2025, dopo la prima riduzione del 2025 annunciata lo scorso 17 settembre dalla Fed di Jerome Powell.

Il secondo taglio dei tassi dell’anno è dunque imminente, al termine della riunione imminente del FOMC, in calendario il 28 e 29 ottobre 2025, dunque la prossima settimana.

Detto questo, il fatto che l’inflazione americana viaggi a un tasso superiore al 3%, conferma come i prezzi siano ancora molto distanti rispetto al target del 2% a cui la Fed punta.

Non per niente alcuni economisti ed esperti di mercato hanno avvertito che la Fed di Jerome Powell rischia di commettere un grande errore sui tassi, tagliandoli a loro avviso più di quanto avallato dai fondamentali dell’economia USA, che si conferma tuttora molto resiliente.

Il trend a settembre delle componenti dell’inflazione USA

Guardando alle componenti dell’indice CPI, emerge che, nel mese di settembre, a segnare un forte rialzo sono stati soprattutto i prezzi della benzina, che sono balzati del 4,1% su base mensile, portando il sottoindice dei prezzi energetici a riportare su base mensile un rialzo dell’1,5%.

In calo invece i prezzi dell’elettricità, scesi dello 0,5% su base mensile, mentre il sottoindice dei prezzi del gas naturale è sceso dell’1,2% nello stesso arco temporale, e rispetto al mese di agosto. IL sottoindice dei prezzi dei beni alimentari è salito invece dello 0,2% su base mensile

Su base annua, invece, i prezzi dell’energia sono saliti del 2,8%, mentre i prezzi dei beni alimentari hanno segnato un incremento pari a +3,1%. I prezzi dell’elettricità sono cresciuti sempre su base annua del 5,1%, mentre quelli del gas natuale sono schizzati dell’11,7% rispetto allo stesso mese del 2024. I prezzi della benzina sono invece scesi su base annua, segnando un calo dello 0,5%.

Riguardo alla componente cruciale dei costi delle abitazioni, che incidono per 1/3 sul trend del CPI, il trend è stato di un aumento dello 0,2% su base mensile e di un rialzo del 3,6% su base annua.

Il commento sul dato relativo all’inflazione USA di Janus Henderson

In evidenza il commento di John Kerschner, Global Head of Securitized Products & Portfolio Manager di Janus Henderson, sui numeri appena annunciati relativi all’inflazione USA:

“Come un’oasi che disseta un viaggiatore stanco nel deserto, il dato sull’IPC odierno ha offerto agli investitori la prima boccata d’aria fresca dal deserto arido dei dati governativi che si registra dall’inizio dello shutdown il 1° ottobre. Gli investitori non sono rimasti delusi. L’inflazione è risultata più contenuta del previsto, determinando un timido rialzo del mercato obbligazionario e garantendo che la Fed taglierà i tassi nella riunione del Comitato di politica monetaria della prossima settimana”.

Kerschner ha continuato facendo notare che, “sebbene gli investitori potessero aspettarsi un rialzo più consistente alla luce dei dati, in alcuni ambienti serpeggiano timori che questi numeri siano meno solidi del consueto a causa dello shutdown. Infatti, data la scarsità di dati governativi, gli operatori di mercato sono concentrati esclusivamente sulle dichiarazioni dei governatori della Fed e, al momento, prevalgono i toni accomodanti”.

Di conseguenza, “anche se la situazione potrebbe cambiare con l’arrivo del 2026, per il momento il mercato prevede con certezza un altro taglio dei tassi a dicembre e un ulteriore rialzo delle obbligazioni, nonostante il contesto inflazionistico ancora difficile”.

Il gestore di Janus Henderson ha spiegato che “i dati odierni hanno registrato un CPI complessivo dello 0,31% con un aumento su base annua del 3,0% e un CPI core dello 0,23% con un aumento su base annua anch’esso del 3,0%”, aggiungendo che “questo significa che sono 55 mesi che il CPI core è superiore al target di inflazione del 2% fissato dalla Fed, e che la Fed sembra aver abbandonato almeno nel medio termine”.

In generale, “i dati odierni avvalorano la tesi della Fed secondo cui almeno l’inflazione sta andando nella giusta direzione ”. (ma su questo come vedremo non tutti sono d’accordo)

Kerschner fa così notare che “al momento, i mercati sembrano dare alla Fed il via libera per tagliare i tassi fino alla fine del 2025, dopodiché si concentreranno su due aspetti”:

  • Chi succederà a Jay Powell e quanto sarà di stile accomodante.
  • Come andrà l’economia una volta che gli operatori di mercato potranno nuovamente vedere e analizzare i dati reali.

Fino a quel momento, conclude l’esperto di Janus Henderson, gli investitori dovranno analizzare principalmente le dichiarazioni della Fed invece dei dati concreti.

Rendimenti Treasury USA fino al 6%? C’è chi ci crede manifestando tutto il suo sconcerto

A dispetto di chi continua a credere che la Fed proseguirà nella strada dei tagli dei tassi sui fed funds USA Arif Husain, Head of Global Fixed Income, Chief Investment Officer, Fixed Income, di T. Rowe Price continua a insistere su rendimenti dei Treasury USA a 10 anni in rialzo addirittura fino al 6%.

Lo ha detto lui stesso, facendo tuttavia alcune precisazioni:

“Con la Federal Reserve in modalità accomodante, mi è stato chiesto se continuo a prevedere che il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni si avvicinerà al 6%. La risposta breve è sì. Tuttavia, il recente calo dei rendimenti dei titoli del Tesoro mi ha costretto a riesaminare la mia tesi di un aumento dei tassi a lungo termine negli Stati Uniti e di una curva dei rendimenti più ripida. La mia conclusione è che, da una prospettiva “lineare” dei normali fattori che determinano i rendimenti dei titoli del Tesoro, l’unico fattore che è cambiato è l’attuale livello dei rendimenti”.

Husain ha indicato quelli che sono a suoi avviso i tre fattori principali a sostegno della sua tesi di rendimenti più elevati, e che rimangono in essere:

  • Boom dell’offerta di debito sovrano nei mercati sviluppati globali dovuta alla mancanza di austerità fiscale: Paesi come la Francia stanno pagando il prezzo dell’indisciplina fiscale, via via che gli investitori spingono i rendimenti al rialzo. Ma gli Stati Uniti, nonostante una generosità di spesa paragonabile, non hanno ancora sperimentato una pressione simile sul mercato dei titoli del Tesoro.
  • Inflazione persistente, con gli effetti dei dazi probabilmente ancora da venire: l’inflazione non ha raggiunto i livelli che mi aspettavo, ma gli ultimi dati indicano un ampliamento, e non una riduzione, per il futuro delle pressioni inflazionistiche. E anche se comprendo le ragioni a favore di un impatto disinflazionistico a medio termine dell’intelligenza artificiale, non siamo ancora a quel punto. Infine, poiché la pressione politica pone delle sfide all’indipendenza della Fed, il rischio di inflazione è sicuramente in aumento.
  • Le valutazioni dei titoli del Tesoro USA a lunga scadenza sono pessime, sia rispetto alla liquidità sia rispetto ad altri titoli di Stato dei mercati sviluppati: all’inizio di ottobre, il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni era superiore solo di pochi punti base rispetto alla liquidità.

Il responsabile della divisione del reddito fisso di T. Rowe Price si è mostrato piuttosto sorpreso, in generale, da quanto i mercati stanno prezzando, ammettendo di essere rimasto colpito dal fatto che il mercato si sia “concentrato interamente sulla crescita degli Stati Uniti e sul rallentamento del mercato del lavoro, ignorando il potenziale di una ripresa dell’inflazione ”.

Di fatto, ha ammesso Husain, “ trovo sconcertante che il consenso del mercato non abbia pienamente anticipato il potenziale calo dei dati mensili relativi ai nuovi posti di lavoro creati, considerando come la politica migratoria statunitense abbia limitato l’offerta di manodopera ”.

Nel caso invece di T. Rowe Pricela narrativa ’50 è il nuovo 150’ (numero di nuovi posti di lavoro creati mensilmente in migliaia) fa parte della nostra analisi già da tempo, riflettendo il cambiamento strutturale nelle dinamiche del mercato del lavoro”.

Tassi Fed, Powell sta sbagliando? Il taglio è un campanello di allarme per gli investitori

Preoccupato sia per quanto sta facendo la Fed di Jerome Powell che per le scommesse troppo dovish sui tassi dei mercati è anche Colin Graham, Head of Multi Asset & Equity Solutions di Robeco che, in una nota, ha scritto che “ un’economia statunitense surriscaldata dovrebbe far suonare campanelli d’allarme agli investitori, poiché potrebbe creare ostacoli sia alle azioni che alle obbligazioni”.

Graham ha fatto notare i seguenti fattori:

  • L’economia statunitense ha poco margine per assorbire gli effetti degli stimoli derivanti dai tagli fiscali.
  • La Fed taglia i tassi anche se l’inflazione rimane al di sopra del target del 2%.
  • Le prospettive per l’azionario sono contrastanti, mentre i titoli di Stato affrontano venti contrari.

L’esperto di Robeco ha ricordato che “negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno mostrato sempre più le caratteristiche di un’economia ad alta pressione: uno scenario in cui una crescita solida, accompagnata dalla piena occupazione, si combina con una capacità residua dell’economia sempre più limitata e viene ulteriormente sostenuta dagli stimoli di politica economica sotto forma di tagli fiscali e tassi d’interesse più bassi ”.

Graham ha fatto riferimento poi all’ “elemento aggiuntivo che impedisce di alleviare queste pressioni”, che “è rappresentato dai dazi, che impediranno di importare le dinamiche inflazionistiche che abbiamo osservato nei precedenti mercati rialzisti degli anni 1990 e 2000”.

L’economia USA si trova dunque a suo avviso in un contesto che “presenta opportunità e rischi che stanno ridisegnando il panorama macroeconomico e il comportamento degli investitori”.

Di conseguenza, “anche se questo non è il nostro scenario di riferimento, i segnali di future riduzioni dei tassi, di un impatto ritardato dei dazi e di ulteriori sgravi fiscali accrescono la probabilità che i mercati finanziari ne tengano conto”.

Dunque? L’attenti c’è. “Non siamo ancora a quel punto, ma l’ampiezza delle misure fiscali e monetarie sta accentuando le pressioni sull’economia statunitense, senza meccanismi efficaci di riequilibrio”, il che significa che “crediamo che questo scenario si concluderà con uno scoppio, anche se non possiamo dire se ciò accadrà prima della fine del 2025, nel 2026 o successivamente”.

Il campanello di allarme è rappresentato proprio dal taglio dei tassi varato dalla Fed.

Un campanello d’allarme è stato il taglio dei tassi operato dalla Fed – forse su pressione del Presidente Trump – mentre l’inflazione è ancora al di sopra del target del 2% fissato da tempo dalla banca centrale. I tassi più bassi tendono a incoraggiare l’indebitamento e la spesa, che possono far salire ulteriormente l’inflazione”.

La minaccia non è assolutamente da sottovalutare in quanto “l’inflazione persistente in un’economia ad alta pressione complica le decisioni della Fed”. Il pericolo è così che, “in caso di aumento delle aspettative di inflazione, la Fed potrebbe essere costretta ad attuare un inasprimento più aggressivo, con rapidi aumenti dei tassi e una possibile riduzione del bilancio”.

Il campanello d’allarme di cui parla l’esperto è ancora più inquietante se si considerano gli stessi attenti che sono stati lanciati dal presidente della Fed, Jerome Powell.

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