Per chi potrebbero diminuire le tasse nel 2026 grazie agli interventi previsti nella Legge di Bilancio? Vediamo gli interventi ipotizzati e chi riguardano.
La Legge di Bilancio 2026 porterà a una diminuzione delle tasse, ma non per tutti i contribuenti. Al momento non si hanno notizie certe di quello che l’esecutivo inserirà realmente nella manovra di fine anno, ma le varie ipotesi avanzate fanno notare che c’è una certa attenzione, come ogni anno, alla pressione fiscale che grava sui lavoratori.
Tutte le forze politiche sembrano concordare su un intervento volto alla riduzione delle imposte per le persone fisiche. Il taglio dell’Irpef, infatti, non sarebbe limitato solo ai dipendenti, ma coinvolgerebbe anche i lavoratori autonomi, i pensionati e chiunque abbia un reddito. L’intervento, in linea con la riforma fiscale, dovrebbe ridurre l’Irpef del secondo scaglione di reddito, anche se non si sa ancora in che misura e in che perimetro di azione.
Vediamo quali sono tutte le misure a cui si sta pensando che potrebbero portare a un taglio delle tasse nel prossimo anno, con una panoramica che, oltre al taglio Irpef per il ceto medio, prenda in considerazione anche la detassazione di tredicesime, premi produzione e straordinari e l’ampliamento della flat tax per gli autonomi.
Taglio Irpef al ceto medio, cosa c’è nei piani?
L’intervento nei confronti di chi ha redditi superiori a 28.000 euro è atteso dallo scorso anno. L’intenzione è quella di ridurre l’aliquota Irpef del secondo scaglione di reddito dal dal 35 al 33 per cento. L’intervento garantirebbe un beneficio compreso tra poche decine di euro e circa 440 euro annui per i redditi più alti.
L’ultimo intervento sull’Irpef (nel 2024) che ha accorpato i primi due scaglioni di reddito, ha influito sui redditi fino a 28.000 euro, ma ha interessato tutti i contribuenti. Nel primo anno, tuttavia, per i redditi fino a 50.000 euro era stata prevista una sterilizzazione del beneficio a causa di un taglio delle detrazioni spettanti, nel 2025 il vincolo è venuto meno.
Anche l’intervento sul ceto medio, per risparmiare risorse, potrebbe essere limitato fino a un certo reddito. Va tenuto presente che, escludendo dal beneficio chi supera i 100.000 euro di reddito, il risparmio per lo Stato sarebbe di soli 200 milioni di euro.
Detassazione tredicesima, straordinario e premi produzione
Un’altra ipotesi avanzata dalle forze politiche per ridurre la pressione fiscale è la detassazione di tredicesime, straordinari e premi di produzione. In questo caso le somme, invece di essere assoggettate all’Irpef ordinario, sarebbero soggette a una flat tax.
Appare assai improbabile che, però, questa misura possa essere inserita nella Legge di Bilancio 2026 poiché avrebbe un costo che impatterebbe molto sulla finanza pubblica e non sembrano esserci le coperture sufficienti per l’approvazione.
Flat tax per gli autonomi
L’estensione della flat tax dei lavoratori autonomi era stata auspicata anche lo scorso anno e si era conclusa con un niente di fatto. La proposta è la stessa dello scorso anno: estendere la tassa piatta al 15% (regime forfettario) per i lavoratori autonomi, innalzando il limite dagli attuali 85.000 a 100.000 euro di reddito annuo.
L’intervento permetterebbe a molti lavoratori autonomi di permanere nella flat tax con redditi più elevati, ma anche in questo caso il problema di una possibile attuazione va ricercato nelle poche risorse disponibili. Il Governo, ovviamente, dovrà stabilire un ordine di priorità per le misure da attuare per cercare di portare beneficio al più alto numero di contribuenti restando nel budget preventivato.
Il problema del fiscal drag
Oltre alle misure sopra menzionate i sindacati premono per una restituzione del fiscal drag, il cosiddetto drenaggio fiscale. Anche se, in realtà, le imposte non aumentano, i contribuenti subiscono una tassazione maggiore causata dall’inflazione. Il reddito percepito cresce con l’aumentare dei prezzi, ma gli scaglioni di reddito e le aliquote non sono indicizzati all’inflazione (rimangono sempre invariati) con la conseguenza che con l’aumentare del reddito si va verso scaglioni e aliquote più elevate e una pressione fiscale più alta.
Per spiegare con parole semplici il fenomeno, i salari aumentano per permettere ai lavoratori di acquistare con il proprio stipendio gli stessi beni (con i prezzi aumentati dall’inflazione) e di fatto l’aumento è solo teorico, mentre la tassazione maggiore è reale e rende più poveri i contribuenti, anche a fronte di aumenti di stipendio.
leggi anche
Isee famiglia 2026, cos’è e chi può richiederlo

© RIPRODUZIONE RISERVATA