Tassa sui buyback, nuovo agguato del governo Meloni alle banche in tempi di manovra. Cosa succede

Laura Naka Antonelli

1 Settembre 2025 - 09:33

Rumor su piano governo Meloni anti-banche con tassa sui buyback. Salvini VS Tajani. Sileoni (FABI): “Più che un pizzicotto alle banche mi pare una boutade estiva”.

Tassa sui buyback, nuovo agguato del governo Meloni alle banche in tempi di manovra. Cosa succede

Una tassa ideata dal governo Meloni per colpire i buyback lanciati dalle banche italiane, ovvero quelle operazioni conosciute come riacquisti di azioni proprie.

È la nuova edizione del consueto spauracchio estivo che, come ormai da tradizione con il governo Meloni, mette in agitazione il sistema finanziario dell’Italia nel mese di agosto, ormai da tre anni.

La prima edizione dello spauracchio piombò a Piazza Affari agli inizi di agosto del 2023, prendendo la forma della tassa sugli extraprofitti. Tassa che fece una fine piuttosto misera, visto che venne annacquata in modo quasi imbarazzante nel giro di poche settimane.

La seconda proposta anti-banche si ripresentò puntuale come un orologio un anno dopo, nell’agosto del 2024, traducendosi nella imposizione alle banche del cosidetto contributo di solidarietà: un contributo concepito per salvare non solo l’Italia, ma anche (soprattutto?) la faccia di quei politici che dell’assedio alle banche ’brutte e cattive’ hanno fatto il loro cavallo di battaglia.

Quest’anno, nel mese di agosto del 2025 che si è appena chiuso, il terzo atto della crociata del governo Meloni contro le banche ha preso la forma di una tassa sui buyback degli istituti di credito.

Che qualcosa stesse bollendo in pentola, le dirette interessate e i cittadini italiani lo avevano fiutato già agli inizi di agosto, con le dichiarazioni del vicepremier, leader della Lega e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, che era ritornato sulla questione. “ Cedano parte degli utili ”, aveva detto Salvini, accanendosi non contro gli extraprofitti delle banche - tra l’altro non pervenuti nel vocabolario della finanza italiana - ma contro gli stessi utili.

Ma anche stavolta, a indossare le vesti di strenuo paladino delle banche italiane era stato subito l’altro vicepremier, ministro degli Affari esteri e segretario di Forza Italia Antonio Tajani, che aveva bollato qualsiasi misura eventuale volta a colpire il mondo finanziario italiano con un commento alquanto gelido:

Dobbiamo difendere il sistema bancario. Certo che devono rispettare le regole e pagare le tasse, come tutti, ma non dobbiamo partire all’assalto delle banche come se fosse un’assalto alla diligenza ”, aveva detto Tajani, riferendosi a proposte a suo dire da “Unione Sovietica”.

La nuova trovata della tassa sui buyback in tempi di manovra e pre elezioni regionali. Il pizzicotto di Giorgetti

Non è stato tuttavia certo Tajani, pronto a fare da scudo alle banche italiane, a fermare le ambizioni della Lega, che sono state sbandierate non solo, come in ogni mese di agosto, in vista della prossima legge di bilancio, il cui varo, come avviene da tempi immemori ovunque nel mondo, è considerato dai politici delle maggioranze dei governi come l’occasione perfetta per cantare serenate varie al proprio elettorato, offrendo su un piatto di argento promesse più o meno credibili.

Quest’anno, le minacce contro il settore finanziario sono state lanciate anche pochi giorni prima di appuntamenti cruciali, per tutti i partiti: quelli delle elezioni regionali, che si terranno nelle prossime settimane in Calabria, Campania, Toscana, Valle d’Aosta, Marche, Puglia, Veneto, con il via che partirà nelle Marche e in Valle d’Aosta il 28 e 29 settembre.

Motivo in più, avranno pensato diversi politici, per rincarare la dose contro gli istituti di credito, in un momento in cui araldo della tassa sugli extraprofitti, idea del governo Meloni che ha finito con il fare un enorme buco nell’acqua, è diventato da un po’ il Movimento 5 Stelle.

Della tassa sui buyback nello specifico si è iniziato a parlare pochi giorni fa, a seguito delle stoccate lanciate in direzione delle banche italiane, oltre che da Salvini, dall’altro esponente della Lega e, anche, ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.

Intervenendo lo scorso 23 agosto al Meeting di Rimini, il titolare del Tesoro ha ammesso di tirare ancora “ un piccolo pizzicotto alle banche ”, spiegando che, dopotutto, le stesse oggi “mutuano a condizioni più favorevoli”: particolare che significa che “ tutto questo deve tradursi poi alla fine in benefici concreti a favore delle famiglie ”.

D’altronde, è il ragionamento di Giorgetti, le banche italiane hanno beneficiato di un bel po’ di frutti del buon lavoro fatto dal governo Meloni, soprattutto del calo dello spread BTP-Bund (che, con la sua incessante flessione ha bucato in modo deciso anche il target del ministro), così come della revisione al rialzo del rating sul debito pubblico italiano (che, tra l’altro, secondo Giorgetti, neanche “riflette ancora interamente come è percepito effettivamente il nostro Paese”.

Dunque, evidentemente, qualcosa queste banche devono dare in cambio, a fronte dei vantaggi di cui stanno godendo.

Quelle dichiarazioni di Giorgetti hanno innescato subito una valanga di rumor, come è avvenuto l’anno scorso, bene o male nello stesso periodo pre-legge di bilancio, quando in prima linea contro il settore si era messo in evidenza di nuovo e soprattutto Salvini, insieme a tutta la sua Lega, Giorgetti incluso, con la ben nota frase con cui il numero uno del MEF aveva chiesto “sacrifici” ad alcune società ben precise.

Nuovo anno, nuova estate, nuova tassa, dunque, con la differenza che stavolta nel mirino non sono finiti gli extraprofitti (che non esistono), ma qualcosa che invece c’è davvero, ovvero i buyback delle banche, tra i pilastri insieme alla erogazione dei dividendi, delle remunerazioni che le banche assicurano ai loro azionisti.

Non si tratta neanche di una vera e propria doccia fredda, visto che qualche commento anti-dividendi lo aveva fatto recentemente lo stesso Giorgetti, ancora prima del meeting di Rimini.

La tassa sui buyback spacca il governo (come la tassa sugli extraprofitti): Salvini VS Tajani

La tassa sui buyback delle banche rimane per ora ancora solo nel regno delle possibilità, osteggiata tra l’altro in modo fermo da Forza Italia di Antonio Tajani.

Sotto i riflettori le dichiarazioni rilasciate ad Affari Italiani dal responsabile economico di Forza Italia Maurizio Casasco, che ha affermato che tassare le operazioni di riacquisti di azioni effettuate dalle banche italiane “non ha senso”, elencando i quattro motivi del no del partito di Tajani a una tale proposta.

Si penalizza il risparmiatore che ha investito in azioni, merce rara nel mercato italiano con un mercato azionario di piccole dimensioni e si disincentiva l’investimento futuro, proprio nel momento in cui serve più capitale di rischio per finanziare la crescita e la transizione tecnologica; si penalizza, retroattivamente, il valore e quindi l’attrattiva delle aziende virtuose che hanno annunciato buyback; si scoraggiano e allontanano gli investitori istituzionali internazionali (di cui tanto abbiamo bisogno per sostenere il nostro sviluppo) che, ancora una volta, vedrebbero l’Italia come Paese poco affidabile - dopo il grande merito del Governo di aver garantito stabilità, occupazione, rating e spread straordinari rispetto a Germania e Francia -, in quanto si allontana dagli standard internazionali, anche retroattivamente; si penalizzano i fondi pensione e quindi, indirettamente, i cittadini, incentivando, di conseguenza, gli investimenti esteri (il contrario di quel che è desiderabile e che, a parole, chiede il governo, anche con misure forti quali il ricorso al golden power)”.

Tra l’altro, ha aggiunto Casasco, “in tempi recenti il Governo ha siglato un accordo con l’ABI (Associazione bancaria italiana), che, nei fatti, verrebbe smentito”.

Lo scorso 27 agosto, si era fatto risentire sulla questione di una possibile tassa contro le banche lo stesso Tajani che, in un intervento a Zona Bianca su Rete 4, aveva ribadito come la questione di un prelievo sugli extraprofitti delle banche fosse di per sé un’idea sovietica, opponendosi a qualsiasi misura punitiva contro il settore del credito sotto forma di nuovi balzelli.

“Le banche devono pagare le tasse come tutte le imprese, è giusto che sia così, devono dare il loro contributo e noi come governo dobbiamo discutere con le banche perché possano contribuire ai conti pubblici, ma pensare di fare tasse o blitz, questo è assolutamente inaccettabile. L’idea di extraprofitto è un’idea da Unione Sovietica, non esiste l’extraprofitto, esiste il profitto”.

Idem il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, intervenuto ad Agorà su Rai 3.

Gasparri ha ricordato che, con le banche italiane, nel 2024 “è stato concordato un intervento che ha portato nelle casse dello Stato 3 miliardi e mezzo di euro”, aggiungendo che “vanno concordati interventi con le banche, senza annunci di tasse o di prelievi forzosi che deprimerebbero i mercati e che farebbero aumentare il costo del denaro”.

Lo scorso anno”, ha rimarcato il presidente dei senatori di FI, “ed è quello che dobbiamo fare, abbiamo concordato di contribuire alle azioni della finanza pubblica, ma senza annunci terroristici che creerebbero più danni che vantaggi ”.

Ancora Gasparri:

Ricordiamo che le banche hanno un’addizionale che già pagano, oltre alla percentuale di tasse dovute. E se ci sono più utili, ci saranno più tasse che vengono pagate. In conclusione, aspettiamo, come l’anno scorso, un confronto per evitare che ci siano conseguenze negative con un terrorismo fiscale che fa costare di più il denaro e quindi i finanziamenti all’imprese e alle famiglie, che invece dobbiamo spingere le banche ad erogare a tassi sempre più bassi e convenienti. Noi siamo favorevoli a tutte le misure compatibili con gli equilibri di bilancio”.

Ipotesi anti-banche al vaglio del governo Meloni. C’è anche opzione tassazione capital gain più salata

Indiscrezioni sulla tassa sui buyback sono state diffuse anche dall’articolo pubblicato su Politico “Meloni eyes squeezing businesses to close deficit in next budget”, che ha citato alcuni documenti di cui ha preso visione, che portano la data del 28 agosto. “ Diverse le opzioni contemplate per scoraggiare l’utilizzo dei riacquisti di azioni, un processo utilizzato dalle aziende per distribuire il cash in eccesso agli azionisti, in generale, sostenendo i prezzi dei titoli ”, si legge nell’articolo, che fa riferimento a tre alternative che il governo Meloni starebbe considerando.

Tra queste, anche alzare la tassazione sul capital gain, dunque sui redditi di natura finanziaria, dall’attuale 26% al 30%.

Così Politico:

Il vantaggio principale di questa opzione risiede nella sua semplicità amministrativa ”, stando a quanto emerge dalla documentazione. Nel ricorrere a questa soluzione, “non ci sarebbe bisogno di introdurre nuove regole o definizioni specifiche per i buyback. (L’innalzamento della tassazione) sarebbe sufficiente a modificare l’attuale regime fiscale che si adotta nei confronti dei redditi finanziari”.

Il problema è che l’effetto sarebbe “ diffuso e non focalizzato ”, finendo per punire chi fa trading sull’azionario e anche i piccoli risparmiatori, dunque gli investitori retail (quelli tanto cari, come sappiamo, al governo Meloni).

Le altre 2 opzioni confermano la complessità del caso

Un’altra opzione sarebbe quella di applicare una tassa sul “ valore totale delle operazioni di buyback ”: in questo caso il prelievo andrebbe a colpire sia l’azienda emittente di azioni che gli azionisti che decidessero di redimere i titoli.

Così facendo il governo invierebbe un “forte segnale, indicando l’intenzione di scoraggiare l’utilizzo dei buyback come strumento primario di distribuzione dei profitti ”.

La terza opzione considerata “ più complessa da un punto di vista tecnico ” sarebbe quella di tassare soltanto gli utili incassati dalla società emittente di azioni, nel caso in cui la stessa rivendesse a un prezzo più alto i titoli che sono stati oggetto dei buyback precedentemente varati.

L’opzione, ha fatto notare il Tesoro, penalizzerebbe solo le aziende. Piccolo problema da non sottovalutare: per la fattibilità di questo piano, dovrebbe essere creata una normativa che rischierebbe di essere contorta e dunque poco chiara.

Sileoni (FABI): Più che un pizzicotto alle banche mi pare una boutade estiva da campagna elettorale

In evidenza intanto la reazione del segretario generale della FABI, il sindacato numero uno in Italia dei bancari, Lando Maria Sileoni, che ha manifestato tutto il proprio sconcerto nei confronti di una potenziale tassa sui buyback delle banche.

In una intervista al quotidiano La Stampa, commentando il fatto che questo prelievo esiste già in Francia e negli Stati Uniti, Sileoni si è così espresso:

“Conosco le banche: se entrasse in vigore questa imposta a pagarla sarebbero i dipendenti e i clienti, perché la prima cosa che gli istituti farebbero è alzare le commissioni”.

Per quanto riguarda gli utili ghiotti che gli istituti hanno incassato, il numero uno della FABI ha tenuto a precisare di difendere le “banche, perché pagano già tanto al Fisco: per le imposte IRES e IRAP versano molto di più di tante altre imprese. Tuttavia, credo che sia giusto dare un aiuto finanziario allo Stato se non serve a tappare i buchi della manovra”.

Come? Sileoni ha parlato della possibilità che gli istituti donino “ per esempio 1,5 miliardi per la sanità, oppure alle Università per la ricerca o ancora al welfare o al sociale ”. Che si diano insomma da fare per aiutare il sistema Italia.

Riferendosi alle dichiarazioni del ministro Giorgetti, il giudizio è stato alquanto netto: “ Più che un pizzicotto alle banche mi pare una boutade estiva da campagna elettorale. Molti politici credono di ottenere più consensi colpendo gli istituti di credito”.

La Lega tira dritto per centrare il bersaglio. I commenti di Claudio Borghi

La Lega di Matteo Salvini continua a tenere però il punto. Interpellato da Il Corriere della Sera, nel corso di una intervista che è stata pubblicata nel fine settimana Claudio Borghi, senatore ed economista della Lega, ha detto di non avere alcuna remora nei confronti di una possibile imposizione di una tassa sui buyback delle banche:

Questi anni sono stati difficili. Ma gli utili per le banche sono stati miliardari ”.

Borghi ha tenuto tuttavia a precisare di non avere nulla contro le banche: “Mi faccia dire che noi siamo davvero felici se un settore importante fa utili. Abbiamo portato alla rinascita di MPS che si avvia a diventare un polo centrale del sistema bancario ”, ha aggiunto il senatore della Lega, menzionando al contempo una frase che serba tristi ricordi per molti italiani rimasti scottati dalla decisione di affidare in passato parte dei loro risparmi ad alcuni istituti.

Il punto è che se le banche sono in difficoltà, paga lo Stato. Non vorrei che i cittadini pensassero che quando va male per le banche pagano tutti e quando va male qualcun altro, prego si arrangi. Ma ricordo che, secondo l’UE, se vanno male le banche, pagano i correntisti. Ricorda il bail-in? ”.

Intanto, dopo la raffica di buy che ha interessato le azioni delle banche italiane, inizia a serpeggiare da un po’ a Piazza Affari il dubbio che la fase d’oro che ha interessato il comparto, tra l’altro a dispetto dei tagli dei tassi da parte della BCE, potrebbe essere vicina al capolinea, per motivi diversi, che chiamano in causa la stessa Federal Reserve, ovvero la Banca centrale americana.

Centro studi Unimpresa. Ecco dove e come è applicata la tassa sui buyback delle banche all’estero

A dire la sua sul nuovo polverone pre manovra finanziaria sollevato dal governo Meloni è stata anche Unimpresa, con il vicepresidente Giuseppe Spadafora che ha lanciato il seguente appello:

“Il dibattito sulla tassa sui buyback deve essere affrontato con equilibrio e senza facili slogan. Non si tratta di demonizzare uno strumento legittimo di gestione finanziaria, ma di comprendere se e in che misura i riacquisti di azioni proprie sottraggano risorse agli investimenti e alla crescita”.

Spadafora ha aggiunto che “gli esempi internazionali ci insegnano che non esiste un modello unico: gli Stati Uniti hanno scelto un prelievo leggero e diffuso, la Francia un’imposta più severa e selettiva, mentre altri Paesi, come i Paesi Bassi, hanno fatto marcia indietro per non compromettere l’attrattività dei propri mercati”.

Nello specifico, il Centro Studi di Unimpresa ha ricordato che “ è in Francia il livello più alto di tassazione sui buy back delle società quotate, con una imposizione fiscale pari all’8%. Mentre negli Stati Uniti dal 2023 è in vigore un prelievo dell’1% sul valore di mercato dei riacquisti di azioni proprie da parte delle società quotate, con alcune eccezioni per riorganizzazioni e piani ai dipendenti”.

Tornando in Europa, “ i Paesi Bassi hanno scelto di non procedere, revocando la proposta di una ritenuta del 15%”, mentre “ in Spagna è attiva una tassa sulle transazioni finanziarie dello 0,2% che non si applica ai riacquisti destinati a riduzioni di capitale o piani azionari”.

La situazione da noi? “ In Italia i buyback rientrano nella Tobin tax, con aliquote tra lo 0,1% e lo 0,2%, ma restano esclusi i riacquisti finalizzati all’annullamento delle azioni. Nessuna misura specifica è invece presente in Germania, dove valgono le regole generali, mentre in Irlanda i riacquisti restano soggetti all’imposta di bollo dell’1%”.

Gli analisti del Centro studi di Unimpresa hanno riconosciuto la complessità che una eventuale decisione dell’Italia di procedere a una tassa sui buyback comporterebbe, sottolineando che una possibilità sarebbe “ il modello statunitense, con un’imposta percentuale sul valore di mercato dei buyback, semplice da calcolare e dal gettito prevedibile, ma che richiede di stabilire soglie minime e meccanismi di compensazione per non penalizzare le piccole operazioni”.

Si potrebbe altrimenti adottare la strada francese, “ che colpisce solo i buyback con riduzione del capitale, in linea con l’attuale esclusione prevista dalla Tobin Tax”.

Oppure, si potrebbe valutare un “ prelievo aggiuntivo sulle transazioni finanziarie, che però rischierebbe di creare sovrapposizioni e doppie imposizioni”.

Gli esperti hanno definito le eventuali opzioni, da un punto di vista tecnico, “ delicate e decisive ”, ricordando che “ ogni soluzione porta con sé vantaggi e rischi, sia sul piano del gettito sia su quello della competitività dei mercati”.

Tra un rumor e un altro, le azioni delle banche italiane principali quotate sul Ftse Mib di Piazza Affari hanno concluso la scorsa settimana in rosso, con perdite su base settimanale fino a oltre il 5% per i titoli del MPS-Monte dei Paschi di Siena.

Oggi le azioni delle banche italiane tornano a salire, con UniCredit che si conferma tra le migliori dell’indice benchmark della borsa di Milano (la banca italiana guidata dall’AD Andrea Orcel è nota come regina dei dividendi), dopo il -3% delle ultime cinque sessioni.

Bene anche i titoli di Intesa SanPaolo, dopo il -4,2% delle ultime cinque sedute; di Banco BPM BPER, Mediobanca, dopo le vendite degli ultimi cinque giorni di contrattazioni a Piazza Affari.

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