Nel 2025 oltre metà dei lavoratori italiani opera da remoto. Lo smart working cresce in grandi aziende e PA, evolvendo da misura emergenziale a modello stabile e produttivo.
Nel 2025, lo smart working non è più una sperimentazione, ma una componente stabile del mondo del lavoro. A dirlo è l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, secondo cui circa il 53% dei dipendenti delle grandi imprese e della pubblica amministrazione lavora da remoto. È un dato che riporta l’Italia ai livelli raggiunti durante la pandemia. Oggi, però, lavorare da casa è frutto di decisioni strategiche, non di emergenze sanitarie.
Negli ultimi mesi anche il settore del credito e delle assicurazioni, tra i più avanzati in materia di flessibilità, ha esteso il lavoro agile alle filiali grazie a nuovi accordi sindacali. Lo smart working non viene più concepito soltanto come strumento per migliorare la conciliazione vita-lavoro, ma anche come leva per ottimizzare i costi energetici e di gestione degli uffici. Diverse aziende hanno introdotto chiusure parziali, ad esempio il venerdì o durante i periodi di minor attività, per ridurre sprechi e consumi.
Perché le imprese scelgono lo smart working?
Secondo gli esperti del Politecnico, il dibattito interno alle aziende è cambiato. Non si discute più se riportare i dipendenti in sede, ma piuttosto come e perché farlo. La crescita, oggi, non è più trainata da obblighi normativi. Dal gennaio 2024, ad esempio, è cessato il diritto automatico allo smart working per i lavoratori fragili, ma le imprese hanno scelto di continuare a utilizzarlo. Questo segnale testimonia la volontà di adottare un modello ormai percepito come parte integrante dell’organizzazione.
Nelle grandi aziende gli smart worker sfiorano i 2 milioni, un numero vicino ai 2,1 milioni raggiunti nel periodo pandemico, mentre nella pubblica amministrazione si contano circa mezzo milione di lavoratori agili.
Il potenziale delle piccole e medie imprese
Il vero bacino di crescita, tuttavia, si trova nel mondo delle PMI, che rappresentano il 95% del tessuto produttivo nazionale. Secondo l’Osservatorio, il 45% dei lavoratori che oggi non operano da remoto potrebbero svolgere almeno metà delle proprie attività a distanza, senza riduzioni di efficienza. Se questo potenziale venisse sfruttato, gli smart worker in Italia potrebbero superare i 6 milioni, oltrepassando il picco registrato durante la pandemia.
Il divario tra grandi aziende e PMI resta però evidente. Le prime hanno ormai consolidato politiche strutturate, con il 95% delle organizzazioni che dispone di accordi formali. Tra le piccole e medie imprese, invece, la percentuale scende al 45%, in calo rispetto all’anno precedente. Nelle realtà minori prevale una gestione informale, in cui la flessibilità dipende più dal rapporto diretto tra lavoratore e responsabile che da linee guida aziendali.
Come cambia il modo di lavorare
Nelle grandi imprese, l’85% dei dipendenti sfrutta tutti i giorni di smart working previsti dagli accordi, mentre solo il 15% lavora da casa meno del consentito, spesso per esigenze operative o urgenze. Nella pubblica amministrazione, invece, il 28% dei lavoratori sceglie di non utilizzare pienamente le giornate disponibili, ritenendo sufficiente il numero già previsto.
L’approccio conta anche in termini di performance. Le ricerche dell’Osservatorio dimostrano che chi organizza le giornate di lavoro agile in modo collaborativo, con autonomia e coordinamento all’interno del team, ottiene risultati migliori. L’efficacia cresce soprattutto nella comunicazione e nelle decisioni, segno che la fiducia e la responsabilizzazione dei lavoratori sono elementi chiave.
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Benefici e svantaggi dello smart working
Lo smart working porta vantaggi concreti sia alle persone sia alle organizzazioni. Sul piano individuale, favorisce una migliore conciliazione tra vita privata e professionale. Per le imprese, aumenta la produttività e riduce i costi di gestione. Gli studi del Politecnico stimano un incremento medio di produttività tra il 15 e il 20%.
L’impatto positivo si estende anche all’ambiente. Lavorare da remoto due giorni a settimana consente di risparmiare fino a 900 euro l’anno in spese di trasporto e di evitare circa 460 chilogrammi di emissioni di CO₂ per persona. Ma il lavoro agile non è privo di ombre. La difficoltà di “staccare” resta una delle criticità principali: tra i lavoratori da remoto, il 35% ammette di fare fatica a disconnettersi, una percentuale più alta rispetto a chi lavora sempre in presenza.
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