Walter Rizzetto (FdI) spiega a Money.it la riforma sul salario minimo: “No a una soglia unica, sì a retribuzioni eque e contratti di qualità”.
Mentre in molti titolano sull’arrivo del salario minimo, la verità - almeno secondo la maggioranza - è più complessa. Nelle scorse settimane, la Camera ha approvato la legge delega sul trattamento economico complessivo minimo, una riforma che punta a rafforzare la contrattazione collettiva e a combattere i contratti pirata, anziché introdurre una soglia oraria uguale per tutti.
Un cambio di prospettiva che ha diviso il dibattito politico e sindacale, ma che per il Governo rappresenta un passo reale contro il lavoro povero.
Per capire cosa cambia davvero per i lavoratori e le imprese, Money.it ha intervistato Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro della Camera per Fratelli d’Italia, che spiega in cosa consiste la riforma, perché il salario minimo legale sarebbe - secondo lui - “controproducente” e quali effetti ci si attende nel medio periodo su stipendi, produttività e mercato del lavoro.
Onorevole Rizzetto, in molti titolano “arriva il salario minimo”, ma il provvedimento approvato in realtà va in un’altra direzione. Ci spiega, in parole semplici, che cosa prevede davvero questa legge delega?
Questa è una riforma che intende tutelare i lavoratori legando l’individuazione delle retribuzioni ai contratti collettivi di qualità, anche e soprattutto per contrastare il dumping salariale e i contratti pirata. La legge delega non introduce una soglia unica di paga oraria uguale per tutti, ma garantisce un trattamento economico complessivo minimo che ha in sé maggiori tutele per il lavoratore. In sostanza l’obiettivo è quello di determinare retribuzioni eque collegate ai comparti e alla contrattazione collettiva, attraverso strumenti che valorizzano e responsabilizzano quelle forze sociali che rappresentano lavoratori e imprese.
Qual è la differenza sostanziale tra salario minimo legale e trattamento economico complessivo minimo che il governo ha scelto di introdurre?
Il salario minimo legale è una soglia oraria imposta per legge uguale per tutti i settori, indipendentemente dalla professionalità, dalla produttività e dal contratto applicato. Al contrario, il trattamento economico complessivo minimo tiene conto non solo della paga oraria, ma anche di tredicesima, quattordicesima, scatti di anzianità, Rol, Tfr, indennità e welfare contrattuale. È una visione più equa e reale degli stipendi, perché, a differenza del salario minimo, tiene conto di tutti i parametri della retribuzione.
Perché Fratelli d’Italia e la maggioranza di governo ritengono che il salario minimo a 9 euro lordi l’ora sarebbe una misura “controproducente”? Qual è il valore aggiunto, secondo voi, della contrattazione collettiva rispetto a una soglia fissa stabilita per legge?
Un salario minimo esteso a tutti i settori schiaccerebbe verso il basso tutte le retribuzioni oggi superiori ai 9 euro nei contratti maggioritari, diventando un tetto salariale. Inoltre indebolirebbe la contrattazione collettiva di qualità che difende la professionalità dei lavoratori settore per settore. La vera partita è combattere i contratti pirata e garantire salari più adeguati a tutti i comparti anche attraverso l’aumento della produttività delle imprese.
I critici sostengono che senza una soglia legale i lavoratori meno tutelati continueranno a percepire stipendi troppo bassi. Cosa risponde a chi accusa il governo di non voler affrontare il problema dei “working poor”?
Rispondo che stiamo facendo esattamente il contrario. Stiamo intervenendo dove nasce il problema, ossia dove si fa ricorso a strumenti contrattuali inadeguati che vanno a comprimere i salari e in generale tutti i diritti dei lavoratori garantiti dalla Costituzione. Con questa riforma diamo valore legale ai trattamenti minimi dei contratti di qualità, e allo stesso tempo rafforziamo vigilanza e controlli contro chi sfrutta la manodopera. La nostra è una riforma concreta non ideologica, che va dritta al cuore del lavoro povero.
Il testo parla di “rafforzare la contrattazione collettiva” e “rendere vincolanti i trattamenti minimi dei contratti più rappresentativi”. Come funzionerà questo meccanismo?
In applicazione dei criteri della delega, il Governo, con i decreti legislativi, introdurrà misure per l’applicazione dei minimi retributivi dei contratti nazionali leader in riferimento ai settori affini. Ciò significa che tutte le imprese dovranno adeguarsi ai contratti così individuati. In questo modo verranno esclusi i contratti pirata firmati da sigle sconosciute che determinano il lavoro povero. Inoltre, la delega prevede l’introduzione di misure che rafforzano la trasparenza e il sistema di informazione rispetto a retribuzioni e contrattazione collettiva.
È previsto anche un intervento per incentivare i rinnovi contrattuali e per contrastare i ritardi che spesso penalizzano i lavoratori. Come intendete agire su questo fronte?
Sì, la delega interviene in modo concreto sui ritardi contrattuali. Sono previste misure per favorire il rinnovo dei contratti collettivi nazionali nei tempi stabiliti dalle parti sociali, anche attraverso strumenti di sostegno ai lavoratori per compensare la perdita di potere d’acquisto. Inoltre, se un contratto resta scaduto troppo a lungo o manca del tutto, è previsto l’intervento del Ministero del Lavoro per garantire comunque i trattamenti economici minimi complessivi di settore.
Possiamo aspettarci un aumento delle retribuzioni nel breve periodo, o si tratta più di una riforma strutturale a lungo termine?
È una riforma strutturale ma ci attendiamo un impatto in tempi ragionevoli soprattutto a beneficio dei lavoratori oggi sotto-contrattualizzati. Colpendo il dumping salariale, crescono le retribuzioni più basse. Nel medio periodo, la combinazione tra rinnovi contrattuali, “certificazione” dei contratti di qualità e sistema dei controlli produrrà un effetto positivo anche sui salari medi.
Che impatto si attende sul mercato del lavoro e sulla competitività delle imprese?
Prevediamo un impatto positivo grazie alle iniziative che vanno a contrastare la concorrenza sleale di chi compete sottopagando il lavoro. Ne trarranno quindi beneficio le imprese virtuose che rispettano le regole sul lavoro. Più qualità del lavoro significa anche più produttività, quindi maggiore competitività del sistema Italia. È una riforma che favorisce crescita, legalità e sviluppo.
E se tra qualche anno i risultati non dovessero essere quelli sperati, il governo sarebbe disposto a riaprire il dibattito su un salario minimo legale?
Non ci siamo mai sottratti al dibattito sul salario minimo, abbiamo difatti ritenuto che la proposta dell’opposizione in tal senso fosse strumentale e inefficace: salario minimo non è sinonimo di aumento degli stipendi e contrasto al lavoro povero. Siamo convinti che bisogna puntare sulla forza del lavoro e delle parti sociali, non su una cifra simbolica imposta dalla legge. Come per ogni riforma, ci sarà un monitoraggio dell’applicazione delle nuove misure per poter intervenire e correggere. La priorità resta innalzare le retribuzioni dove serve e non fare propaganda politica.
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