Salario minimo arriva in Italia, cosa prevede e importi

Simone Micocci

26 Settembre 2025 - 10:49

Salario minimo, passi in avanti verso il rafforzamento della contrattazione collettiva. Ecco come cambierebbero gli stipendi.

Salario minimo arriva in Italia, cosa prevede e importi

Il salario minimo arriva in Italia? Non proprio.

Se intendiamo il salario minimo come una soglia fissa uguale per tutti i lavoratori, al di sotto della quale nessun datore di lavoro può andare se non violando la legge, non ci sono novità in programma, almeno non con questo governo.

Il governo Meloni, infatti, già lo scorso anno ha respinto la proposta di introdurre un salario minimo - a 9 euro lordi l’ora - in quanto ha ritenuto che si tratti di una misura controproducente che poco si sposa con la struttura del mercato del lavoro italiano.

La definizione degli stipendi in Italia, infatti, è rimandata alla contrattazione collettiva che copre gran parte dei lavoratori (siamo sopra il 99%), e il rischio è che fissando un salario minimo comune a tutti possa esserci un livellamento al ribasso.

Piuttosto si ritiene che sia necessario puntare sugli strumenti già a disposizione, andando a potenziare la contrattazione collettiva assicurandosi che tutti i lavoratori ne siano adeguatamente tutelati. Questo significa due cose: la prima è che servirà una contrattazione collettiva anche in quei pochi settori in cui ne siamo ancora scoperti. La seconda è che ogni Ccnl dovrà prevedere una retribuzione adeguata al ruolo e alle mansioni, andando così a contrastare il fenomeno dei “contratti privata”, quegli accordi collettivi nati appositamente per prevedere degli stipendi più bassi rispetto alle medie di settore.

Pertanto, è stata appena approvata una (nuova) legge delega al governo con cui si punta a introdurre in Italia un trattamento economico complessivo minimo, da non confondere però con il salario minimo.

Come vedremo di seguito, infatti, la legge andrà solamente a definire nuovi obblighi per la contrattazione collettiva e non un importo minimo che sia uguale per tutti.

Salario minimo? No, rafforzamento della contrattazione collettiva

Come anticipato, il dibattito politico ed economico in Italia sul tema dei salari ruota attorno a due approcci distinti e contrapposti: da una parte l’introduzione di un salario minimo legale, sui cui puntano le opposizioni, dall’altra il rafforzamento della contrattazione collettiva come strumento principale di tutela dei lavoratori, aspetto su cui invece sta lavorando la maggioranza di governo.

Nel dettaglio, per salario minimo si intende una soglia oraria fissa e uguale per tutti i lavoratori, al di sotto della quale non si può scendere senza violare la legge. Le opposizioni avevano proposto di fissarlo a 9 euro lordi l’ora, in linea con la direttiva europea e con l’obiettivo di tutelare soprattutto quei lavoratori oggi schiacciati da stipendi molto bassi. Questa impostazione è stata però respinta dal governo Meloni, che l’ha giudicata una misura controproducente per il mercato del lavoro italiano. Il rischio individuato è quello di un livellamento al ribasso, ossia che i salari più alti possano subire una compressione verso la soglia minima, anziché crescere in base al merito e alla professionalità.

La maggioranza, quindi, ha scelto una strada diversa, approvando una legge delega che non istituisce un salario minimo uguale per tutti, ma punta a rafforzare la contrattazione collettiva. L’idea di fondo è che oltre il 99% dei lavoratori sia già coperto da un Ccnl, il quale fissa trattamenti economici complessivi generalmente superiori ai 9 euro lordi l’ora. La novità introdotta è che i trattamenti minimi stabiliti dai contratti collettivi più rappresentativi di ciascun settore diventeranno la condizione economica minima da garantire a tutti i lavoratori della stessa categoria, obbligando i datori di lavoro ad adeguarsi. Si parla così di trattamento economico complessivo minimo.

Non ci sarebbe quindi un importo comune a tutti, ma ogni busta paga del settore avrebbe almeno la sicurezza di essere pari a quella prevista dai contratti più rappresentativi dello stesso.

Inoltre, la legge delega prevede strumenti per:

  • estendere le tutele ai settori non coperti da contrattazione, applicando il contratto affine più diffuso;
  • contrastare i “contratti pirata”, nati con l’unico scopo di abbassare il costo del lavoro;
  • incentivare i rinnovi contrattuali nei tempi stabiliti, anche con intervento diretto del Ministero del Lavoro in caso di ritardi;
  • promuovere la contrattazione di secondo livello per adeguare i salari al costo della vita e alle differenze territoriali;
  • rafforzare i controlli, soprattutto nel sistema cooperativo, e introdurre maggiore trasparenza nei dati retributivi.

Quindi, mentre il salario minimo legale rappresenta una misura rigida, valida per tutti i settori indistintamente, il modello scelto dal governo italiano punta su un sistema maggiormente dinamico e settoriale, che riconosce i minimi retributivi fissati dai contratti collettivi più rappresentativi.

In questo modo si intende rispettare l’articolo 36 della Costituzione, che garantisce il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente, senza introdurre un valore unico ma adeguando i salari alle specificità di ciascun comparto.

I prossimi step

Bisogna comunque ricordare che la vicenda del salario minimo in Italia non è nata oggi, ma ha attraversato diversi passaggi negli ultimi anni. Già a febbraio 2024, con la legge di delegazione europea 2022-2023, il governo Meloni aveva ricevuto dal Parlamento un primo mandato per recepire la direttiva europea sul salario minimo.

Quella delega, però, non fu mai esercitata: l’esecutivo, infatti, preferì lasciare la questione in sospeso, ritenendo non opportuno introdurre una soglia unica valida per tutti i lavoratori.

Nei mesi successivi furono le opposizioni a riportare il tema al centro del dibattito, presentando un disegno di legge che prevedeva l’introduzione immediata di un salario minimo legale fissato a 9 euro lordi l’ora. Il testo, però, durante l’esame alla Camera cambiò volto. La maggioranza lo trasformò in una delega al governo, dando mandato all’esecutivo per rafforzare la contrattazione collettiva e rendere vincolanti i trattamenti economici minimi dei contratti più rappresentativi di ciascun settore.

L’ultimo passaggio è arrivato in Senato, dove a settembre 2025 il provvedimento è stato approvato in via definitiva. Ora la palla passa al governo, che avrà 6 mesi di tempo per tradurre la delega in decreti legislativi. Sarà quello il momento decisivo per capire se e come questa riforma potrà incidere davvero sulle buste paga degli italiani.

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