Secondo la Cassazione la sola richiesta di un rimborso spese più alto del dovuto non giustifica il licenziamento.
La quantificazione dei rimborsi spese è uno dei motivi più dibattuti in un’azienda.
Da una parte ci sono i lavoratori, che vogliono ottenere la restituzione di tutte le somme spese per lavoro il prima possibile. Dall’altra, il datore che deve accertare la correttezza degli importi per non pagare più di quanto dovuto. Chiedere un rimborso superiore a quello spettante è un errore grave, ma se il datore di lavoro ha predisposto un sistema di controllo si evitano spiacevoli conseguenze per entrambe le parti.
L’azienda, ovviamente, evita di rimborsare somme maggiori, mentre il dipendente non rischia il licenziamento. Questo perché secondo la Corte di Cassazione l’esistenza stessa di un meccanismo di controlli integrato prima del pagamento impedisce che richieste di rimborso superiori al dovuto integrino violazioni tanto gravi da costituire una giusta causa di licenziamento.
È quanto stabilito dall’ordinanza n. 23189/2025, che ha salvato una lavoratrice, colpevole di aver inserito nel sistema informatico aziendale somme irregolari. Ciò non significa che questa condotta non possa avere delle ripercussioni, ma il dipendente ha tutto il modo di dimostrare la propria buona fede e correttezza.
Licenziamento per il rimborso spese non dovuto
L’ordinanza n. 23189/2025 della Cassazione riguarda una lavoratrice, licenziata per aver chiesto un rimborso indebito di 265,96 euro. In seguito a una trasferta la dipendente aveva indicato nel portale informatico aziendale la somma totale di 927,86 euro, liquidata soltanto in parte per la mancanza di scontrini (in alcuni casi sostituiti dalle ricevute della carta di credito) e la non attinenza di alcune voci di spesa.
L’azienda ha ritenuto che 265,96 euro non fossero dovuti, giudicando la richiesta non come un errore, ma come un tentativo fraudolento di ottenere più soldi di quelli spettanti. La verifica della documentazione allegata dalla dipendente è avvenuta a distanza di mesi dalla richiesta di rimborso, ma la somma in questione è stata stornata senza problemi. Nonostante ciò, l’azienda ha ritenuto l’errore un grave inadempimento e ha quindi disposto il licenziamento disciplinare. La sanzione è stata contestata dalla lavoratrice, che ha ottenuto ragione nel giudizio di primo grado ma ha perso in appello.
Secondo il tribunale non era riuscita a giustificare la richiesta del rimborso, un inadempimento assimilabile al furto. Come già detto, tuttavia, questa tesi è stata ribaltata dalla Cassazione, secondo cui l’esistenza di un controllo a posteriori qualifica la condotta come un semplice errore procedurale.
Cosa succede se vengono chiesti rimborsi maggiori
In base alla recente pronuncia della Cassazione la semplice richiesta di un rimborso maggiore di quello dovuto o comunque non documentato adeguatamente non costituisce un furto o un grave inadempimento, neanche se avviene su un sistema informatico.
Questo, però, soltanto se è presente un meccanismo per la verifica finale da parte dell’azienda. Il dipendente non può davvero sottrarre delle somme al datore di lavoro se quest’ultimo effettua i controlli attraverso il portale stesso e in ogni caso la sua condotta non può essere considerata fraudolenta.
Il semplice inserimento di somme apparentemente superiori non prova che il lavoratore volesse effettivamente ottenere un rimborso non spettante, soltanto se esiste un sistema di verifica e a patto di non produrre documenti falsi. Sul punto bisogna quindi rifarsi al regolamento aziendale, tenendo conto comunque della condotta del dipendente nel suo complesso. Limitarsi a caricare una richiesta di rimborso che poi viene controllata ed eventualmente negata non è un illecito secondo gli Ermellini, ma può comunque incidere sul rapporto di lavoro.
Pur non portando a un licenziamento in tronco, l’errore verrà tenuto conto nella valutazione dell’affidabilità e della buona fede. Errori ripetuti o particolarmente gravi possono comunque giustificare il licenziamento e ancor prima sanzioni disciplinari più leggere. D’ora in poi, però, le aziende rischiano di essere penalizzate proprio dai sistemi di sicurezza adottati e per questa ragione dovranno ottimizzarli per assicurare verifiche complete.
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