Richiesta di anticipo TFR senza motivazione, è possibile?

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10 Ottobre 2025 - 17:34

Il dipendente può ottenere l’anticipo del TFR senza una valida motivazione? Cosa si «rischia» quali conseguenze ci sono in busta paga? Ecco i dettagli.

Richiesta di anticipo TFR senza motivazione, è possibile?

Il trattamento di fine rapporto (o TFR) è un elemento retributivo la cui erogazione è posticipata alla cessazione del rapporto di lavoro. Ciò significa che, al pari di altri istituti, in primis le mensilità aggiuntive (tredicesima ed eventuale quattordicesima), il TFR aumenta di importo per ogni mese di vigenza del contratto. Si parla comunemente di “ratei”.

All’interruzione del contratto (sia per scadenza del termine, che per licenziamento, dimissioni o risoluzione consensuale) i ratei maturati per tutti i mesi di lavoro vengono sommati, ottenendo così l’ammontare da liquidare al dipendente.

Alla regola generale secondo cui il pagamento del TFR è previsto alla cessazione del contratto di lavoro, fanno eccezione le ipotesi in cui, nel rispetto di determinati requisiti imposti dalla legge, una quota dello stesso è anticipata al lavoratore, previa sua richiesta.

L’anticipazione è regolata dall’articolo 2120 del Codice Civile, il quale disciplina le motivazioni legittime che possono giustificare tale richiesta, nonché il tetto all’ammontare anticipabile e i requisiti soggettivi (anzianità di servizio in azienda).

Fatta questa premessa, è lecito chiedersi se il lavoratore possa inoltrare richiesta di anticipo TFR senza alcuna motivazione. Analizziamo questa particolare casistica secondo la normativa vigente.

Le motivazioni per l’anticipo Tfr

L’anticipo del TFR può essere chiesto per:

  • acquisto prima casa per sé o per i figli (documentato da una dichiarazione del notaio o altri documenti idonei);
  • spese mediche per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle sedi ASL;
  • spese durante i periodi di congedo per formazione o astensione facoltativa per maternità (l’anticipazione è riconosciuta unitamente alla retribuzione del mese precedente la data di inizio del congedo).

Per quanto riguarda il primo punto, si intende per «prima casa» un immobile destinato ad abitazione e residenza per la famiglia.

La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha riconosciuto che l’anticipo può essere ammesso anche in ipotesi quali:

  • riscatto di abitazione già occupata ad altro titolo;
  • acquisto del suolo al fine di costruire l’abitazione;
  • acquisto della casa per il figlio, effettuato non dal lavoratore ma dal figlio stesso;
  • acquisto con mutuo ipotecario, quando la somma residua complessiva sia almeno pari alla parte di credito richiesto con l’anticipo.

Al contrario, non sono state ritenute circostanze meritevoli di anticipo:

  • la ristrutturazione della casa già di proprietà del lavoratore;
  • la copertura di debiti contratti dal lavoratore per il pagamento del prezzo dell’immobile o per evitare l’espropriazione forzata;
  • la mancanza del requisito della piena proprietà del bene (es. usufrutto da parte del comproprietario o del nudo proprietario);
  • l’acquisto dell’immobile da parte del coniuge (a meno che non sussista un regime di comunione legale che legittimi l’operazione).

Gli altri requisiti

Oltre alle motivazioni sopra, l’articolo 2120 c.c. prescrive che:

  • l’anticipo può essere chiesto una sola volta nel corso del rapporto di lavoro;
  • il dipendente deve aver maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro;
  • l’anticipazione non può eccedere il 70 % del TFR cui avrebbe avuto diritto in caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta;
  • le richieste, ogni anno, devono essere soddisfatte entro il limite del 10 % degli aventi titolo e, in ogni caso, entro il 4 % del numero totale dei dipendenti (una prassi giurisprudenziale conferma che tale limite del 4 % può non trovare applicazione nelle aziende con meno di 25 dipendenti, quando il calcolo dia un risultato inferiore a 1).

I contratti collettivi o i patti individuali possono prevedere condizioni di maggior favore. Tali accordi possono anche definire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste; quando non siano previsti criteri, le richieste devono essere soddisfatte in base all’ordine cronologico di presentazione.

Cosa accade se si richiede il TFR senza motivazione?

Non esiste una norma che consenta un’anticipazione del TFR in modo indiscriminato e privo di motivazione.

Se l’anticipo viene erogato in assenza dei requisiti previsti dall’art. 2120 o di condizioni migliorative valide, l’operazione rischia di essere riqualificata come retribuzione ordinaria, con conseguenze contributive e fiscali non trascurabili.

Secondo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4670 del 22 febbraio 2021, il datore di lavoro che ha anticipato quote di TFR senza che sussistano i presupposti dell’art. 2120 è tenuto al versamento dei contributi previdenziali (come se fosse retribuzione), essendo lui l’onerato della prova dei requisiti dell’anticipazione.

In particolare, la Corte ha affermato:

«solo la sussistenza dei prescritti elementi costitutivi qualifica l’erogazione datoriale come anticipazione del TFR; in difetto della relativa prova l’anticipazione è assimilata a retribuzione».

Inoltre, con la nota INL n. 616/2025, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito che l’erogazione mensile del TFR in busta paga, al di fuori dei casi previsti dalla legge, non è conforme alla normativa vigente: tale prassi è considerata una mera integrazione retributiva e viene assoggettata a contributi previdenziali e fiscali.

Secondo l’INL, anche se sia stato stipulato un patto individuale o collettivo che preveda la corresponsione mensile dei ratei TFR, ciò non può costituire una vera anticipazione: trasformerebbe la somma in retribuzione ordinaria soggetta a contributi.

Recentemente, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13525 del 20 maggio 2025 ha ribadito che il pagamento mensile del TFR, anche se previsto da patti individuali, non può essere qualificato come anticipazione, in quanto snatura la funzione dell’istituto e lo rende assimilabile alla retribuzione.

In sostanza, chi eroga un “anticipo senza motivo” si espone a:

  • dover ricalcolare il TFR come se quella somma non fosse stata anticipata, e richiedere al lavoratore eventuali restituzioni o recuperi;
  • essere obbligato al versamento dei contributi Inps su quell’importo, con eventuali sanzioni o interessi;
  • subire controlli ispettivi che possono con l’adozione di provvedimenti di disposizione (art. 14 D.Lgs. n. 124/2004) intimino al datore di lavoro di “accantonare” le quote indebitamente anticipate.

Infine, l’azienda ha titolo a opporre un legittimo rifiuto alla richiesta se non sussistono i requisiti o se ritenuta non conforme alla normativa.

L’importanza della documentazione

Per ridurre il rischio di contestazioni, è fondamentale che l’azienda conservi una documentazione solida:

  • la richiesta scritta del lavoratore, con data certa e indicazione della motivazione;
  • eventuali documenti allegati dal lavoratore che comprovino la genuinità della motivazione: ad esempio, il contratto preliminare / atto di acquisto per la prima casa, certificazioni mediche o documenti ASL per le spese sanitarie, comunicazioni relative a congedi o periodi di assenza;
  • nei casi di contratti collettivi o accordi aziendali con condizioni migliorative, la previsione normativa chiara che consenta tali deroghe (a condizione che non snaturino l’istituto del TFR);
  • in fase ispettiva, una chiara ricostruzione dei calcoli, delle somme anticipate e delle motivazioni, per dimostrare la corretta applicazione dell’art. 2120 o delle clausole migliorative.

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