Quando si può chiedere la riduzione del canone d’affitto?

Giorgia Dumitrascu

28 Agosto 2025 - 12:54

Puoi chiedere la riduzione se ci sono vizi gravi, impossibilità parziale o lavori prolungati. Niente autoriduzione: serve accordo scritto o il giudice.

Quando si può chiedere la riduzione del canone d’affitto?

In Italia i canoni di locazione sono aumentati del 4,6% nel secondo trimestre 2025, toccando i 14,9 euro per mq. Con prezzi ai massimi degli ultimi anni, cresce il numero di conduttori che chiede uno sconto. Ma non sempre è possibile, la riduzione del canone è ammessa solo nei casi previsti dalla legge.

Riduzione del canone: quando spetta per legge

La legge prevede alcuni casi in cui l’inquilino può chiedere la riduzione del canone d’affitto. Non si tratta di una possibilità libera, legata a semplici difficoltà economiche, ma di ipotesi tassative regolate dal Codice civile.
L’art. 1578 c.c. stabilisce che:

“Se al momento della consegna la cosa locata ha vizi che la diminuiscono in modo apprezzabile per l’uso a cui è destinata, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione proporzionale del corrispettivo.”

Quindi, il diritto alla riduzione scatta se l’immobile presenta difetti gravi, che limitano l’uso pattuito: infiltrazioni strutturali, impianto di riscaldamento guasto, muffa diffusa, parti della casa inagibili. Non bastano i piccoli guasti facilmente riparabili, il difetto deve incidere sul godimento in modo concreto e apprezzabile.

Accanto ai vizi presenti sin dalla consegna, il Codice prevede anche l’ipotesi dei vizi sopravvenuti. L’art. 1581 c.c. stabilisce infatti che:

“Se durante la locazione emergono difetti che riducono l’uso convenuto, il conduttore può chiedere la riduzione del canone o la risoluzione del contratto.”

È il caso, ad esempio, di un impianto che smette di funzionare dopo alcuni mesi o di danni strutturali comparsi nel tempo.
A queste ipotesi si aggiunge l’art. 1464 c.c., che disciplina l’impossibilità parziale della prestazione:

“Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta.”

In pratica, se l’inquilino non può più utilizzare una parte rilevante dell’immobile per cause non imputabili a lui, ad esempio un crollo che rende inaccessibile una stanza, il canone deve essere ridotto proporzionalmente.

Infine, l’art. 1584 c.c. regola i casi in cui l’immobile rimane inutilizzabile a causa di lavori o riparazioni:

“Se le riparazioni si protraggono per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo proporzionata alla durata e all’entità del mancato godimento.”

Anche qui la riduzione è temporanea e commisurata al disagio subito.

Riduzione “legale” o riduzione “pattuita”: cosa cambia?

Nel caso della riduzione prevista per legge è il giudice a riconoscere il diritto, se l’inquilino prova l’esistenza dei vizi o del mancato godimento. Invece, se la riduzione è negoziata, è possibile concordare con il proprietario una modifica temporanea o definitiva del canone, formalizzandola in una scrittura privata.

In nessun caso l’inquilino può autoridursi il canone, decidendo da solo di pagare meno: questa condotta espone al rischio di morosità e di sfratto.

“La modalità legittima è documentare i difetti, chiedere al locatore la riduzione e, in caso di rifiuto, rivolgersi al tribunale.”

Affitto ridotto per vizi dell’immobile: la casistica di riferimento

La riduzione del canone non trova spazio per qualunque difetto, ma solo se il vizio è grave e permanente, tale da rendere l’immobile meno fruibile rispetto all’uso pattuito.

Un esempio è quello delle infiltrazioni d’acqua che costringono a non usare interi ambienti, oppure del riscaldamento guasto che rende la casa invivibile nei mesi invernali. A più riprese la giurisprudenza ha riconosciuto la riduzione anche di fronte a muffa e condensa persistenti, qualificati dalla Cassazione come vizi idonei a giustificare lo sconto se mettono a rischio la salute degli inquilini (Cass. sent. 16216/2018).

La stessa logica vale per i rumori o i difetti permanenti che superano la normale tollerabilità, riducendo di fatto il godimento promesso dal contratto. Anche nelle locazioni commerciali i principi non cambiano. Un locale parzialmente inagibile per infiltrazioni, impianti difettosi o condizioni ambientali che pregiudicano l’attività può dare luogo a una riduzione proporzionale del canone, purché il conduttore dimostri che il difetto compromette l’uso promesso dal contratto.

Difetti di microclima e secchezza dell’aria: quando incidono sul canone

Nello stesso solco si collocano i difetti di microclima. Un isolamento inadeguato o un impianto di ventilazione malfunzionante può produrre un’eccessiva secchezza dell’aria, con conseguenze respiratorie. In casi simili, se il fenomeno è imputabile a carenze strutturali e non all’uso del conduttore, il vizio rientra tra quelli che riducono il godimento dell’immobile. La giurisprudenza di merito ha già riconosciuto la riduzione del canone per carenza di abitabilità dovuta a insufficiente areazione dei vani, principio estensibile ai casi di secchezza estrema quando vi sia prova tecnica e sanitaria del pregiudizio (Trib trieste sent. n. 162/2019). A conferma, la Cassazione ha ricondotto ogni problema di salubrità e abitabilità nel perimetro dell’art. 1578 c.c., ribadendo che anche le condizioni ambientali rientrano tra i vizi che giustificano la riduzione del canone (Cass. sent. n. 15378/2018).

Ad esempio, un appartamento con involucro difettoso e impianto di mandata d’aria che mantiene l’umidità relativa sotto il 40% - 50% durante l’inverno (secondo gli standard CNGeGL 2024). Gli occupanti accusano tosse, irritazioni e difficoltà respiratorie, e sono costretti a installare apparecchi correttivi. Se una perizia tecnica collega il fenomeno ai difetti strutturali e la documentazione medica ne conferma l’impatto sulla salute, il conduttore ha titolo per chiedere una riduzione proporzionale del canone, ex artt. 1578 e 1581 c.c., fino al ripristino delle condizioni di salubrità.

Vizi e mancato godimento: come provarli in giudizio

Per ottenere la riduzione del canone di locazione non basta lamentare il disagio, la riduzione si fonda sulla prova del vizio e sul suo impatto sull’uso del bene. Occorre una perizia tecnica che attesti le cause del difetto e la sua incidenza sull’abitabilità. Alla prova tecnica può affiancarsi la documentazione sanitaria, se il difetto ha prodotto conseguenze respiratorie.

La riduzione, inoltre, non può essere arbitraria: deve essere proporzionata al difetto. Non si può azzerare il canone se il problema riguarda solo una parte dell’immobile, ma solo ridurlo nella misura corrispondente al mancato godimento. In caso di rifiuto del proprietario, sarà il tribunale a verificare la gravità del vizio e a disporre, se necessario, la riduzione del canone o persino la risoluzione del contratto.

Come chiedere la riduzione del canone d’affitto?

La riduzione del canone non si “autodichiara”, deve essere chiesta per iscritto e, se il proprietario accetta, formalizzata in un accordo. Solo così la riduzione è opponibile e priva di rischi.

Il primo passo è la richiesta formale, da inviare con PEC o raccomandata A/R. Nel testo occorre indicare il vizio o il mancato godimento che incide sull’uso, proporre l’entità e la durata della riduzione, specificare la decorrenza e concedere al locatore un termine ragionevole per rispondere. La PEC serve a fissare data e contenuto della richiesta, i messaggi informali o gli accordi verbali difficilmente hanno valore probatorio.

Se il proprietario accetta, si redige una scrittura privata che riporti i dati del contratto originario, il nuovo importo, la durata della riduzione e le modalità di pagamento.

RLI e fisco: quando registrare e perché conviene al locatore

La comunicazione all’Agenzia delle Entrate con il modello RLI non è un obbligo, ma è fortemente consigliata. L’accordo di riduzione può essere registrato online o allo sportello con la voce “Rinegoziazione del canone” ed è esente dall’imposta di registro e di bollo quando riguarda solo la diminuzione del canone art. 19 D.l. n. 133/2014.

Non c’è un termine perentorio per registrare la riduzione, ma è prudente farlo subito o almeno prima della dichiarazione dei redditi interessata. In questo modo l’effetto fiscale decorre coerentemente dalla data dell’accordo.

In alcuni casi l’esenzione non si applica. Ad esempio, se oltre alla riduzione vengono modificati altri elementi contrattuali (durata, cauzione, subentro). Con la cedolare secca, la registrazione resta comunque utile come prova.

Locazioni commerciali: quando si può ritoccare il canone

Per negozi e uffici non è sufficiente il calo di fatturato, la riduzione del canone si può ottenere solo se ricorre un presupposto tipico previsto dal Codice civile (un vizio grave che incide sull’utilizzo, l’impossibilità parziale della prestazione, o l’eccessiva onerosità sopravvenuta) oppure se vi è un accordo scritto con il locatore. In assenza, pagare meno da soli espone al rischio di sfratto per morosità.

La Corte di Cassazione, di recente ha chiarito che le restrizioni dovute all’emergenza Covid non comportano automaticamente la riduzione del canone nelle locazioni commerciali. Il giudice non può abbassare il corrispettivo “per equità”: servono sempre i presupposti tipici del Codice civile oppure un accordo scritto con il locatore (Cass. sent. n. 16113 del 16.06 2025).

Ad esempio, una palestra con infiltrazioni che rendono inutilizzabili gli spogliatoi configura un vizio rilevante e un mancato godimento documentabile con foto, perizia e PEC. Al contrario, un co-working che perde clienti per la sola crisi economica, senza impedimenti nell’uso dei locali, non ha diritto ad alcuna riduzione automatica: serve la trattativa col proprietario o, se ci sono i presupposti, l’azione giudiziale ex art. 1467 c.c., con la possibilità per il locatore di offrire una riduzione temporanea per evitare la risoluzione.

In quali casi conviene chiedere la riduzione?

Se il conduttore decide di pagare meno senza autorizzazione del giudice o consenso scritto del locatore, il proprietario può intimare lo sfratto e ottenere dal tribunale la risoluzione del contratto.

Se il locatore non accetta la riduzione del canone proposta, il conduttore ha comunque diverse opzioni:

  • rinegoziazione assistita, tentare un nuovo accordo con l’aiuto di un avvocato o di un organismo di mediazione civile. Un verbale di mediazione ha forza esecutiva e può evitare il procedimento giudiziario;
  • sospensione temporanea o dilazione, concordare con il proprietario una pausa nei pagamenti o un piano di rateizzazione che consenta di recuperare le mensilità arretrate in tempi più lunghi;
  • risoluzione consensuale, se la prosecuzione è diventata insostenibile, si può valutare la chiusura anticipata del contratto con un accordo di recesso che tuteli entrambe le parti;
  • accordi a scadenze, in alcuni casi è possibile stabilire un canone ridotto per alcuni mesi e un ritorno graduale all’importo pieno, modulando l’impegno finanziario.

Per il locatore, accettare una riduzione formalizzata non è mai una perdita secca. Oltre a evitare morosità e contenziosi, la registrazione dell’accordo tramite modello RLI consente di dichiarare solo i canoni effettivamente percepiti, riducendo la base imponibile sia in regime IRPEF sia con cedolare secca. È il motivo per cui, nella prassi, la riduzione ben gestita diventa una strategia “win-win”: l’inquilino ottiene sollievo economico, il proprietario riduce il rischio di insolvenza e paga meno tasse sul canone.

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