Un anno di tagli, rally e sorprese: nel 2025 i mercati hanno fatto esattamente l’opposto di ciò che tutti prevedevano.
Il 2025 è partito con dei presupposti particolari, molto insoliti. Gli investitori erano pronti a un anno di rallentamento economico, di tassi bassi e di mercati azionari sotto pressione dopo la rielezione di Trump. Le previsioni di Wall Street erano quasi unanimi, ma facciamo questa domanda: rispetto a inizio anno, è andato tutto secondo i piani?
Ecco 3 cose che in pochi si aspettavano, ma che sono accadute.
1) I mercati hanno superato i massimi storici
All’indomani della vittoria elettorale di Trump, le parole “guerra commerciale” e “recessione” dominavano i titoli dei giornali. Diversi modelli previsionali, dal NY Fed Recession Probability Model all’Economic Policy Uncertainty Index, segnalavano una probabilità di recessione superiore al 60%. Il ragionamento era lineare: nuovi dazi, calo dell’export, utili aziendali in flessione, correzione dei mercati.
E invece, l’S&P 500 e le borse europee hanno fatto esattamente il contrario: hanno superato più volte i massimi storici.
Ma com’è stato possibile?
La risposta sta nell’effetto combinato di tre fattori:
- eccesso di liquidità residuale: nonostante il quantitative tightening, l’economia globale si è mantenuta su livelli di stimolo elevati, con i bilanci delle banche centrali ancora gonfi.
- euforia sugli utili tech e AI: i margini delle società tecnologiche hanno continuato ad espandersi, sostenendo l’indice Nasdaq e contaminando di ottimismo l’intero mercato.
- repricing del rischio: gli investitori hanno progressivamente accettato multipli più elevati in cambio di crescita visibile, spingendo i P/E medi sopra la media storica.
In sostanza, mentre gli analisti si preparavano al collasso, i mercati hanno scontato il peggio troppo presto. Quando i dati macro non hanno confermato la recessione, il flusso di denaro è tornato a spingere in alto le borse. Una lezione importante: quando “tutti pensano che scenderà”, il mercato spesso fa esattamente l’opposto.
2) La Fed taglia i tassi, ma le obbligazioni non salgono
“Quando la Fed taglierà, le obbligazioni voleranno”. Questa era la narrativa dominante tra fine 2024 e inizio 2025. I Treasury a lunga scadenza sembravano l’occasione perfetta: rendimento reale positivo, inflazione in rallentamento e ciclo dei tassi vicino al picco. E invece…non è andata così.
Il presidente Powell ha iniziato a tagliare i tassi solo dopo mesi di pressioni politiche da parte di Trump e di un Congresso sempre più ostile a una politica monetaria restrittiva. Ma nonostante questo, i prezzi delle obbligazioni non sono saliti come previsto. Perché?
La spiegazione è tecnica ma cruciale: i tagli della Fed agiscono sulla parte corta della curva, mentre i rendimenti lunghi (10-30 anni) riflettono le aspettative di inflazione futura. Se l’inflazione rimane sopra il 3%, gli investitori pretendono un premio reale positivo; dunque, i rendimenti lunghi non scendono, anzi a volte risalgono.
Il risultato è stato un bear steepening della curva dei Treasury: i tassi a breve scendono, quelli a lungo restano alti. E questo ha penalizzato gli ETF obbligazionari più sensibili, costringendo molti investitori a rivalutare il proprio concetto di “safe asset”.
Il 2025 ha dimostrato che non basta un taglio dei tassi per far salire i bond. Serve credibilità monetaria e un’inflazione sotto controllo. Fino ad allora, il mercato obbligazionario rimane un campo minato, più vicino alla logica del trading che del buy & hold.
3) L’oro “troppo caro” che ha continuato a salire
“L’oro è troppo alto.” Quante volte lo si è sentito dire negli ultimi anni? Ogni rally veniva bollato come “insostenibile”, un eccesso speculativo destinato a sgonfiarsi. Eppure, nel 2025, il metallo giallo ha raggiunto nuovi record.
Il paradosso? Non è stato un rally guidato dalla paura, ma dalla domanda strutturale. Il conflitto in Medio Oriente e la nuova ondata di tensioni commerciali tra USA e Cina hanno indebolito il dollaro, spingendo i Paesi emergenti ad accumulare oro come riserva strategica alternativa. Le banche centrali, soprattutto Cina, India e Turchia, hanno continuato ad acquistare tonnellate di oro fisico, mentre gli investitori istituzionali riscoprivano il metallo come hedge contro la svalutazione valutaria.
Ma la vera lezione è un’altra: l’oro non ha un fair value come un’azione o un’obbligazione.
È un asset che risponde alla fiducia nel sistema monetario. Quando il dollaro si indebolisce o la politica diventa imprevedibile, il prezzo dell’oro incorpora quella sfiducia. Non è “troppo alto” o “troppo basso”: è semplicemente richiesto.
Nel 2025 l’oro ha dimostrato che la domanda geopolitica può prevalere sulla logica economica, e che il metallo resta, nel bene e nel male, la valuta della paura e della sfiducia.
Ha senso aspettarsi l’inaspettato
C’è un detto che dice: “in borsa, l’unica certezza è l’incertezza”. Il 2025 ne è la prova vivente. I mercati hanno smentito i modelli previsionali, i bond non hanno reagito ai tagli della Fed e l’oro ha continuato la sua corsa “illogica”. Ma forse è proprio questo il punto: se tutti la vedessero allo stesso modo, nessuno guadagnerebbe.
Nel mondo degli investimenti, l’errore più grande non è sbagliare previsione, ma credere che esista una previsione giusta. Perché i mercati, esattamente come la vita, non seguono mai i piani scritti a inizio anno.
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