La joint venture tra Generali e BCPE-Natixis non va in porto. A pesare sul fallimento della trattativa sono stati ostacoli industriali e politici che si sono rivelati insormontabili.
Si chiude definitivamente la trattativa tra Generali e il gruppo francese BPCE-Natixis per la creazione di un grande polo europeo dell’asset management. Dopo mesi di negoziati, le parti hanno preso atto dell’impossibilità di arrivare a un accordo condiviso, sancendo la fine di un’operazione che avrebbe portato alla nascita di uno dei maggiori operatori mondiali del risparmio gestito. Sin dall’inizio, l’operazione (mancata) aveva sollevato interrogativi industriali e politici, soprattutto per il peso che avrebbe avuto sul controllo dei risparmi italiani.
Il progetto puntava alla creazione di una joint venture tra Generali Investments e Natixis Investment Managers, destinata a dare vita a una piattaforma con patrimoni in gestione da 1.900 miliardi di euro e 4,1 miliardi di ricavi. L’operazione era stata presentata come una risposta europea alla crescente concentrazione del settore e alla pressione competitiva dei grandi player globali.
Con il passare del tempo, tuttavia, l’impianto industriale ha mostrato diverse fragilità, dai meccanismi di governance all’equilibrio del potere decisionale, fino al ruolo concreto delle due parti nella nuova struttura, questioni che sono diventate via via centrali nel confronto.
Le resistenze interne e il fattore politico
Uno degli elementi decisivi nello stop alla trattativa è stato il fronte interno a Generali. Secondo fonti vicine alla questione, una parte rilevante degli azionisti italiani non ha mai visto di buon occhio l’operazione, temendo che, nonostante le promesse di una governance formalmente paritaria, il baricentro decisionale potesse spostarsi progressivamente verso la Francia.
Le perplessità non riguardavano solo l’assetto societario, ma anche il rischio che una quota significativa del risparmio gestito italiano finisse sotto un controllo percepito come estero, riducendo l’autonomia strategica del gruppo triestino.
Accanto alle tensioni tra soci, ha pesato anche il contesto politico. La trattativa Generali-Natixis è stata osservata con attenzione dalle istituzioni italiane, sensibili al tema della tutela del risparmio, considerato un asset strategico.
L’ipotesi di un intervento pubblico attraverso strumenti di salvaguardia, come il golden power, ha accompagnato l’intera trattativa, contribuendo a rendere il quadro più complesso. In questo scenario, l’operazione ha progressivamente perso slancio, fino alla decisione condivisa di interrompere i negoziati.
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La posizione di Donnet e il futuro dei risparmi degli italiani
Philippe Donnet, Amministratore Delegato di Generali, ha preso atto della situazione, rinunciando a un’alleanza che avrebbe rappresentato una svolta nella strategia di crescita esterna del gruppo.
La chiusura del tavolo con BPCE-Natixis viene presentata come una scelta pragmatica, che consente a Generali di concentrarsi sul proprio percorso industriale senza aprire ulteriori fronti di conflitto interno. Il gruppo continuerà a sviluppare autonomamente il business dell’asset management, considerato centrale ma non più legato a un grande progetto di integrazione internazionale.
La fine della trattativa ha un valore che va oltre il singolo accordo e rappresenta un segnale chiaro: i risparmi degli italiani restano sotto un controllo nazionale, evitando un passaggio delicato verso una gestione condivisa con un grande gruppo estero.
È una scelta che rassicura chi teme la perdita di sovranità finanziaria ma che, allo stesso tempo, solleva interrogativi sulla capacità del sistema italiano di competere in autonomia in un mercato sempre più dominato da dimensioni globali.
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