Negli anni ’80 la Nuova Zelanda rivoluzionò la politica monetaria dando alla banca centrale un solo obiettivo: controllare l’inflazione, libera da pressioni politiche.
C’è un ampio consenso sul fatto che gli obiettivi delle banche centrali dovrebbero essere stabiliti attraverso il processo legislativo e politico. Ma quanti obiettivi dovrebbero esserci? Uno solo o diversi? E dovrebbero essere fissi o variabili? Il processo politico dovrebbe solo fissare gli obiettivi, oppure anche indicare come attuarli?
A partire dalla metà degli anni ’80, la Nuova Zelanda fu il primo Paese ad adottare quello che divenne noto come «targeting dell’inflazione». In questo approccio alla politica monetaria, il potere politico stabilisce che la banca centrale debba perseguire un solo obiettivo: il controllo dell’inflazione. Nel caso neozelandese, l’obiettivo era un tasso di inflazione annuo tra lo 0% e il 2%. Una volta fissato l’obiettivo, al banca centrale veniva garantita l’indipendenza necessaria per perseguirlo, senza ingerenze politiche. Il Canada seguì l’esempio, poi decine di altri paesi nel mondo, inclusa la Banca Centrale Europea. Ma Oliver Sikes si concentra sull’esperienza originale neozelandese nell’articolo “How one Kiwi tamed inflation” (Works in Progress, 12 giugno 2025). Sottolinea come, sebbene in seguito gli economisti abbiano giustificato il targeting dell’inflazione, la scelta iniziale fu una risposta politica ai fallimenti di altri approcci.
Negli anni ’70, l’inflazione esplose in molti paesi. La Nuova Zelanda, importatrice di petrolio, fu duramente colpita dall’impennata dei prezzi causata dall’OPEC. Inoltre, perse l’accesso preferenziale al mercato britannico dopo l’ingresso del Regno Unito nella Comunità Economica Europea. [...]
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