Dimissioni, a cosa è dovuto il boom di uscite dal lavoro in Italia?

Giacomo Andreoli

25/01/2023

25/01/2023 - 16:55

condividi

Il 2022 ha segnato il record di dimissioni volontarie: l’anno prima il fenomeno era stato alimentato maggiormente da professionisti che cercano di guadagnare di più e lavorare meglio.

Dimissioni, a cosa è dovuto il boom di uscite dal lavoro in Italia?

L’aumento di dimissioni volontarie in Italia nel 2022 potrebbe essere stato alimentato per lo più da professionisti qualificati che cercano un altro lavoro, pagato meglio e più soddisfacente. Almeno questo sembrano dire i dati raccolti dalla Fondazione studi Consulenti del Lavoro, che fanno però riferimento al periodo tra il 2019 e il 2021.

All’indomani del dato sul boom di uscite dal lavoro nel 2022, per volontà dei lavoratori stessi, (sono state 1,6 milioni lo scorso anno, 300mila in più del 2021), è possibile quindi fare un ragionamento sul tipo di professioni che potrebbero essere coinvolte.

Quello che sembra essere un fenomeno di Great Resignation con caratteristiche peculiari della società e del mercato del lavoro italiano, come spiegato a Money.it da Fabrizio Pirro, docente di Sociologia del lavoro alla Sapienza, potrebbe pertanto essere alimentato per lo più da alcuni tipi di lavoratori. Si tratta di persone qualificate e di classe medio-alta: ingegneri, informatici, chimici, medici, architetti, geometri, ma anche periti e operai specializzati.

Si tratta di persone che cercano di cogliere le opportunità che la ripresa dell’occupazione dopo il biennio con le fasi più dure del Covid può offrire, considerando il fatto che c’è alta richiesta da parte delle aziende per profili specializzati.

Boom di dimissioni, chi sono i professionisti che lasciano il lavoro

Great Resignation è il termine nato negli Stati Uniti, per opera di uno psicologo americano, pensato per descrivere un fenomeno osservato dopo la prima ondata di Covid-19 nel Paese. La teoria è che centinaia di migliaia di persone, passate tramite l’esperienza dei lockdown, abbiano ripensato al loro modello di lavoro, alla sua qualità e al suo ruolo nelle vite di ciascuno, risultando più propense ad abbandonare la loro occupazione, se non soddisfacente.

Quello che si è visto in Italia nel 2022 sembra un paradosso: inflazione record e contemporaneamente boom di dimissioni. Il professor Pirro aveva quindi invitato ad andare a vedere che tipo di lavori e di professionisti sono coinvolti.

Dai dati della Fondazione studi Consulenti del Lavoro emerge ora che le percentuali più alte fino al 2021 riguardano le professioni tecniche (+22,4%), a elevata specializzazione (+19%) e i laureati (+17,7%).

La ricerca di stipendi più alti

L’ultima indagine della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, realizzata su un campione di mille lavoratori, parla poi di un 35,1% che desidera una nuova occupazione, per lo più per avere uno stipendio più alto. Emerge poi che tra i giovani il 49% vorrebbe maggiore equilibrio e benessere personale.

La perdita di importanza del lavoro

Secondo Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, il fenomeno non è nuovo, anche se in Italia non si è mai raggiunto il grado di dinamicità di altri Paesi, come ad esempio gli Usa. Per lui, quindi, l’accentuazione dell’ultimo periodo sarebbe dovuta “alla ripresa del mercato del lavoro e dell’economia dopo lo stop creato dalla pandemia”.

Quindi spiega che i giovani “puntano in molti casi a trovare un migliore equilibrio tra ’senso’ e reddito e tra vita privata e professionale. Sta cambiando il valore che viene attribuito al lavoro”.

Secondo Pirro “non si può dunque dire che il fenomeno americano è stato trapiantato in Italia, ma in generale “il lavoro sta perdendo centralità in generale, il valore dell’operosità sta venendo meno”. Questo per il professore ha a che fare innanzitutto con “l’esplodere dell’individualismo e la disgregazione dei legami sociali”.

Iscriviti a Money.it