Cos’è il patto di famiglia?

Giorgia Dumitrascu

30 Luglio 2025 - 13:29

Come funziona e quali effetti giuridici produce il patto di famiglia? Ecco come avviene il passaggio generazionale dell’impresa, le imposte e i casi di scioglimento o impugnazione.

Cos’è il patto di famiglia?

Il patto di famiglia è stato introdotto nell’ordinamento civile con la l. n. 55 del 2006, che ha inserito gli articoli 768 bis e ss. nel Codice Civile. L’obiettivo è quello di coadiuvare le famiglie a gestire il passaggio dell’impresa ai figli. L’imprenditore può decidere già in vita a chi lasciare l’azienda o le quote societarie, evitando contese tra eredi e garantendo la continuità dell’attività.

Che cos’è il patto di famiglia e quali sono i suoi effetti giuridici?

“Il patto di famiglia è un contratto mediante il quale l’imprenditore può trasferire in tutto o in parte l’azienda, oppure le partecipazioni societarie, a uno o più discendenti. (artt. 768 bis e ss. c.c.)”

E’ un contratto inter vivos, cioè efficace tra vivi, che consente di pianificare il passaggio generazionale dell’impresa. Il contratto deve essere redatto per atto pubblico a pena di nullità, con l’intervento di un notaio. A differenza della donazione, il patto di famiglia non è un atto unilaterale, ma un contratto con effetti obbligatori e reali, che richiede la partecipazione congiunta di più soggetti, inclusi i legittimari del disponente. Il trasferimento dell’azienda o delle quote produce effetti immediati, non subordinati alla morte del titolare.

“Il patto di famiglia è un’eccezione al divieto dei patti successori (art. 458 c.c.).”

Tale deroga trova giustificazione nella volontà di assicurare continuità all’impresa familiare, evitando le liti ereditarie e la paralisi gestionale che spesso derivano dalla divisione del compendio aziendale tra più eredi.
Uno degli aspetti più rilevanti del patto di famiglia sono gli effetti in ambito successorio.
Ai sensi dell’art. 768 quater c.c.:

“I beni assegnati non sono soggetti né a collazione, né a riduzione, e dunque non vengono computati nel calcolo delle quote di riserva in sede di successione.”

Tale esclusione vale solo per i legittimari che partecipano al patto. Chi ne resta fuori, mantiene la possibilità di agire successivamente in sede successoria per tutelare la propria quota legittima, ma non può impugnare il patto se vi è stata adeguata liquidazione o rinuncia consapevole.

Cosa può essere trasferito con un patto di famiglia?

Il patto di famiglia può riguardare l’azienda, un ramo di essa oppure le partecipazioni societarie detenute dall’imprenditore.
Il concetto di “azienda” rilevante ai fini del patto è quello delineato dall’art. 2555 c.c.:

“Si tratta del complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.”

Ciò comprende non solo macchinari, immobili e merci, ma anche rapporti giuridici in essere, licenze, avviamento, clientela. Quando il trasferimento riguarda solo una parte funzionalmente autonoma, si parla di ramo d’azienda, anch’esso idoneo a essere oggetto del patto.

Nel caso di partecipazioni societarie, il patto può avere a oggetto quote di società di persone (come la s.n.c. o la s.a.s.) oppure azioni o quote di società di capitali (s.r.l., s.p.a.). In tali ipotesi, però, l’efficacia del trasferimento è condizionata al rispetto delle disposizioni statutarie, che possono prevedere limiti o condizioni alla cessione.

La scelta dell’oggetto da trasferire con il patto può essere guidata dalla strategia familiare e imprenditoriale. Può capitare che un imprenditore con due figli, dei quali solo uno coinvolto nella gestione aziendale, decida di assegnare all’interno del patto la totalità delle quote societarie a quel figlio e di compensare l’altro con beni immobili estranei all’impresa. In ogni caso, il trasferimento produce effetti reali immediati, con la conseguenza che il discendente assegnatario assume la piena titolarità e responsabilità giuridica dell’impresa al momento stesso della stipula.

Chi deve partecipare al patto di famiglia per essere valido?

In primo luogo deve esserci il disponente, cioè l’imprenditore che intende trasferire l’azienda. Accanto a lui, devono necessariamente intervenire nel contratto:

  • gli assegnatari, cioè i discendenti che ricevono l’azienda o le quote sociali;
  • il coniuge del disponente;
  • tutti gli altri legittimari, anche se non beneficiari della trasmissione.

L’intervento di tali soggetti è costitutivo: se anche uno solo dei legittimari viene escluso dalla stipula, il patto è nullo.
L’art. 768 quater c.c. stabilisce che:

“Devono partecipare al contratto anche il coniuge e tutti coloro che, ove in quel momento si aprisse la successione, sarebbero legittimari.”

In presenza di legittimari incapaci (minorenni, interdetti, inabilitati, o soggetti ad amministrazione di sostegno), è possibile che partecipino al patto tramite un rappresentante legale. In questi casi, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare, al fine di garantire la piena tutela della quota di legittima e l’equità della liquidazione eventualmente pattuita.

Le unioni civili e il patto di famiglia: è possibile includere il partner?

La questione dell’inclusione del partner dell’unione civile nel patto di famiglia dopo l’entrata in vigore della l. n. 76/2016 è stata oggetto di riflessione giurisprudenziale. La legge riconosce alle unioni civili gli stessi diritti successori spettanti al coniuge, compreso il diritto alla legittima. Da ciò consegue che il partner unito civilmente è equiparato al coniuge ai fini della partecipazione al patto di famiglia. Di conseguenza anche la prassi notarile ammette la partecipazione del partner civilmente unito sia come legittimario, sia come soggetto titolato alla liquidazione qualora non beneficiario del trasferimento d’impresa.

Cosa spetta ai legittimari esclusi dal patto di famiglia?

I legittimari che non ricevono alcun bene in assegnazione dal patto di famiglia non sono ignorati dal sistema, ma devono essere compensati equamente art. 768 quater c.c.. Il valore di riferimento per la liquidazione è cristallizzato alla data di stipula del patto: ciò garantisce certezza giuridica e impedisce rivalutazioni retroattive. In alcuni casi, può accadere che nuovi legittimari sopravvengano dopo la stipula del patto: si pensi a un figlio nato successivamente o a un partner in unione civile riconosciuto dopo il contratto. Ai sensi dell’art. 768 sexies c.c., questi soggetti conservano il diritto di ricevere la quota di legittima al momento dell’apertura della successione del disponente, anche se il patto è ancora in essere.

Come funziona il patto di famiglia nelle imprese familiari e società?

Il patto di famiglia per essere efficace deve coordinarsi con il regime giuridico dell’impresa familiare e, quando applicabile, con le regole specifiche delle società di persone o di capitali.
L’impresa familiare prevede:

“La partecipazione stabile e continuativa di familiari del titolare, i quali, pur senza essere soci, maturano diritti economici e decisioni condivise.”

Quando si trasferisce un’ impresa familiare con patto di famiglia, occorre valutare i diritti dei collaboratori familiari. Questi ultimi, pur non essendo legittimari in senso stretto, possono vantare pretese economiche (frutti, incrementi, indennità) che devono essere tenute in considerazione nella fase di liquidazione e assegnazione.

Diverso è il discorso per le società di persone (s.n.c., s.a.s.) e per le società di capitali (s.r.l., s.p.a.). In questi casi, il patto di famiglia può avere ad oggetto le quote o azioni detenute dal disponente. Tuttavia, il trasferimento delle partecipazioni è soggetto a norme statutarie che possono imporre limiti alla cessione, clausole di prelazione o gradimento da parte degli altri soci.

Nelle società di persone, dove il vincolo fiduciario è dirimente, il trasferimento delle quote comporta anche una modifica dell’atto costitutivo e richiede il consenso unanime degli altri soci. Di conseguenza, l’inserimento del discendente nel patto può determinare una ridefinizione del rapporto sociale.

Nelle società di capitali, invece, il trasferimento è più agevole, ma va gestito con attenzione per quanto riguarda i diritti amministrativi e patrimoniali, specie se le quote trasferite attribuiscono il controllo della società.

Quando e come può essere impugnato un patto di famiglia?

Per quanto concerne l’annullabilità, l’art. 768 quinquies c.c. stabilisce che:

“Il patto può essere impugnato da una delle parti qualora risulti viziato da errore, violenza o dolo, ai sensi delle norme generali sui contratti (artt. 1427 ss. c.c.).”

In tali casi, il soggetto leso dispone di un termine di prescrizione di 1 anno dalla scoperta del vizio per proporre l’azione. Si tratta di un termine breve, che mira a garantire stabilità all’assetto patrimoniale derivante dal patto.

L’ipotesi più frequente riguarda l’errore sul valore reale dell’azienda o delle partecipazioni societarie, che può incidere sulla congruità della liquidazione riconosciuta ai legittimari non assegnatari. In presenza di perizie approssimative o non aggiornate, un legittimario potrebbe sostenere di aver accettato una liquidazione non proporzionata alla propria quota legittima. Un’altra situazione ricorrente è la pressione psicologica esercitata nell’ambito familiare, che può configurare una forma di violenza morale.

Oltre ai vizi del consenso, esistono cause di nullità assoluta:

“Il patto di famiglia deve essere stipulato a pena di nullità mediante atto pubblico con l’intervento di un notaio (art. 768 ter c.c.).”

Qualsiasi forma diversa, anche se sottoscritta da tutte le parti interessate, è nulla. La forma solenne serve a garantire la consapevolezza piena degli effetti patrimoniali del contratto.

Un’ulteriore causa di nullità deriva dalla mancata partecipazione di tutti i legittimari (art. 768 quater c.c.). Se anche uno solo dei soggetti titolati alla legittima (coniuge, figli, o altri discendenti legittimari) non viene convocato o non partecipa alla stipula, il patto può essere impugnato per nullità. In questi casi, l’azione è imprescrittibile e può essere esercitata anche molti anni dopo la stipula, con gravi conseguenze sull’efficacia del trasferimento.

In quali casi è possibile sciogliere o modificare un patto di famiglia?

La legge riconosce la possibilità di sciogliere o modificare il patto. L’art. 768 septies c.c. anche per lo scioglimento richiede l’intervento di un notaio e l’osservanza della forma dell’atto pubblico.

Lo scioglimento del patto può avvenire in due modalità:

  • attraverso un nuovo contratto stipulato tra le stesse parti che hanno concluso il patto originario. In questo caso, è necessario che tutte le persone che vi hanno preso parte (disponente, legittimari, assegnatari) si rendano disponibili a rinegoziare o risolvere l’accordo, eventualmente restituendo le attribuzioni ricevute o modificando le clausole precedenti;
  • mediante recesso unilaterale: in sede di stipula, è possibile inserire una clausola che riconosca a uno o più soggetti la facoltà di recedere dal patto. Anche in questo caso, il recesso ha effetto retroattivo e comporta il venir meno dell’intero assetto patrimoniale previsto dal patto.

Ci possono essere anche cause sopravvenute che rendono opportuno o necessario sciogliere il patto. Un esempio è la nascita o il riconoscimento di un nuovo legittimario dopo la stipula del patto: un figlio nato successivamente, un figlio naturale riconosciuto tardi, oppure l’unione civile di un partner che diventa a tutti gli effetti erede legittimario. In tutti questi casi, se il nuovo soggetto non ha preso parte al contratto originario, il patto è inefficace nei suoi confronti, rendendo opportuno procedere a una revisione o a un nuovo accordo per evitare contenziosi.

Qual è il trattamento fiscale del patto di famiglia alla stipula?

Il patto di famiglia beneficia, in presenza di specifiche condizioni, di un trattamento fiscale favorevole. L’art. 3, co. 4 ter, del D. lgs. n. 346/ 1990 (Testo Unico sulle Successioni e Donazioni), prevede l’ esenzione dall’imposta di successione e donazione per gli atti di trasferimento d’azienda o di partecipazioni societarie a favore dei discendenti.

Per accedere a questa agevolazione, occorre che l’assegnatario prosegua l’attività d’impresa per almeno 5 anni dalla data dell’atto. Dal punto di vista delle imposte sul reddito, il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni non genera, in capo al disponente, plusvalenze tassabili.

L’art. 58 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) dispone che:

“In caso di trasferimento a titolo gratuito dell’azienda, non si realizzano componenti positivi di reddito, né per chi cede né per chi riceve. L’assegnatario subentra nei valori fiscali del cedente, conservando il medesimo regime fiscale del bene trasferito.”

Anche sotto il profilo delle imposte indirette, il patto di famiglia beneficia di un regime agevolato, non sono dovute imposte di registro, ipotecarie o catastali. Tuttavia, se le condizioni non sono rispettate o l’oggetto del patto è diverso (ad esempio beni immobili non strumentali all’impresa), si applicano le imposte ordinarie previste per gli atti gratuiti.

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