Donazione d’azienda: atto pubblico obbligatorio e vantaggi fiscali se l’attività prosegue per 5 anni nel rispetto della quota di legittima.
In Italia, la produzione è dominata da micro e piccole imprese a conduzione familiare. Secondo i dati ISTAT, Unioncamere e Osservatorio AUB, oltre il 75% delle imprese italiane è controllato da nuclei familiari e più del 60% degli imprenditori ha superato i 55 anni. Tuttavia, meno di un’impresa su quattro ha pianificato formalmente il passaggio generazionale.
Tra gli strumenti giuridici disponibili, la donazione dell’azienda in vita a favore dei figli consente di realizzare una transizione ordinata, ridurre il rischio di liti successorie e accedere a specifiche agevolazioni fiscali, se ricorrono i presupposti di legge.
Come funziona la donazione d’azienda ai figli?
La donazione d’azienda è uno degli strumenti per realizzare il passaggio generazionale dell’impresa quando il genitore è ancora in vita. È un contratto a titolo gratuito:
“Con cui un soggetto (donante) trasferisce volontariamente la titolarità dell’azienda a un altro soggetto (donatario), in genere un figlio, senza richiedere alcun corrispettivo.” (artt. 769 c.c. e ss. c.c.)
Con la donazione, l’imprenditore sceglie in modo attivo a chi trasferire l’azienda, può vigilare sul proseguimento dell’attività e prevedere delle condizioni. Al contrario, nella successione testamentaria o legittima il trasferimento avviene solo alla morte del disponente, e gli eredi legittimari hanno diritto alle rispettive quote anche se l’intenzione del testatore era diversa.
Dal punto di vista pratico, la donazione consente un controllo diretto sulla transizione, evitando l’incertezza e le potenziali liti ereditarie post mortem. Inoltre, in caso di successione, il valore dell’azienda confluisce nell’asse ereditario e può dar luogo a imposte successorie più elevate, se non pianificate con anticipo.
Cosa serve per rendere valida la donazione: atto pubblico, testimoni, registrazioni
La donazione d’azienda non può avvenire con una semplice scrittura privata.
L’art. 782 c.c. stabilisce che:
“La donazione deve essere formalizzata mediante atto pubblico notarile, a pena di nullità. È richiesta la presenza di due testimoni, che non devono essere parenti, coniugi, affini né soggetti aventi interesse nell’atto.”
Oltre all’atto, occorre adempiere a taluni obblighi formali. L’operazione deve essere iscritta al Registro delle Imprese, indicando i beni trasferiti, i contratti aziendali ceduti, l’eventuale avviamento commerciale e i rapporti di lavoro in corso. Inoltre, se l’azienda comprende rapporti con dipendenti, fornitori o contratti in corso, il trasferimento deve rispettare gli obblighi di continuità ex art. 2112 c.c., garantendo la conservazione delle condizioni contrattuali in capo al nuovo titolare.
Oltre agli adempimenti civilistici, occorre considerare anche quelli in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro D.lgs. n. 81/2008 e protezione dei dati personali (Reg. UE 2016/679 - GDPR), qualora l’azienda comprenda dipendenti o tratti dati sensibili. L’atto deve inoltre essere registrato presso l’Agenzia delle Entrate, anche nei casi di esenzione da imposta di donazione.
Quali sono i benefici fiscali quando si dona un’azienda?
“Se l’azienda viene donata da un imprenditore individuale e il beneficiario prosegue l’attività, l’operazione non genera plusvalenze imponibili e si applica la continuità dei valori fiscali” (art. 58 del TUIR).
Ciò significa che il fisco non tassa l’eventuale incremento di valore maturato dall’azienda nel tempo. Tale beneficio si attiva solo in presenza di tre condizioni cumulative:
- il donante deve essere un imprenditore individuale, non una società;
- l’oggetto della donazione deve essere una vera azienda, ex art. 2555 c.c., non un semplice bene strumentale;
- il donatario deve mantenere la continuità dei valori fiscali dell’azienda, cioè ereditare i medesimi valori contabili del donante.
L’effetto è la neutralità fiscale dell’operazione: le plusvalenze latenti restano “congelate” e si trasferiscono sul beneficiario, che le sconterà solo in caso di successiva vendita. Un’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate - confermata dalla circolare n. 341/E/2007 - ha chiarito che la neutralità si applica anche in assenza di vincoli familiari: dunque, il beneficiario non deve per forza essere un figlio o un parente. Invece, ai fini delle imposte indirette, i legami familiari sono determinanti.
leggi anche
Cos’è il patto di famiglia?

In quali casi si ottiene l’esenzione da imposta di donazione?
Diverso è il discorso per quanto riguarda le imposte indirette, cioè l’imposta di donazione. L’esenzione da questa imposta si applica solo in presenza delle condizioni stabilite dall’art. 3, co. 4 ter del D.lgs. n. 346/1990.
In particolare, l’esenzione si applica se:
- il trasferimento avviene a favore di discendenti o del coniuge;
- riguarda un’azienda, un ramo di azienda, quote o azioni;
- il beneficiario si impegna a proseguire l’attività di impresa per almeno 5 anni, rilasciando apposita dichiarazione.
In tali casi, il trasferimento è esente dall’imposta di successione e donazione. È bene ricordare che si tratta di un’esenzione condizionata: in caso di cessazione anticipata dell’attività, il donatario decade dal beneficio e deve corrispondere l’imposta dovuta, oltre a una sanzione del 30% e agli interessi di mora.
Va anche evidenziato che, nel caso in cui l’azienda comprenda immobili, non si applicano le imposte ipotecaria e catastale, purché restino valide le condizioni per l’esenzione.
La donazione può essere impugnata dagli altri eredi?
L’ ordinamento riconosce il diritto dei legittimari – coniuge, figli e, in assenza di questi, ascendenti – a ottenere una quota minima del patrimonio ereditario. Tale diritto si estende anche alle donazioni fatte in vita dal defunto, se queste compromettono la cosiddetta quota di riserva.
Se la donazione supera la quota disponibile e lede i diritti dei legittimari, questi possono agire in riduzione per recuperare la loro parte, anche a distanza di anni dall’apertura della successione.
Cosa rischia il donatario se la donazione viola le quote di legittima?
Il rischio principale è che il beneficiario della donazione sia chiamato a restituire parte del bene ricevuto o a versare un’indennità economica agli altri eredi. Ciò accade quando la donazione eccede la cosiddetta quota disponibile, cioè quella parte del patrimonio su cui il disponente può liberamente disporre.
Alla morte del donante, l’asse ereditario viene ricostruito tenendo conto di tutti i beni esistenti (relictum) e delle donazioni fatte in vita (donatum). Se da questo calcolo emerge che un legittimario è stato danneggiato, può agire con l’azione di riduzione artt. 554 e ss. c.c..
Ad esempio, se un imprenditore dona l’intera azienda a uno solo dei figli, escludendo gli altri, e il valore di quella donazione supera la quota disponibile, gli esclusi possono agire in giudizio. Il figlio donatario, in tal caso, potrebbe dover restituire parte dell’azienda o corrispondere una somma di denaro, con il rischio concreto di compromettere l’equilibrio aziendale post successione.
Cosa sono l’azione di riduzione e la collazione ereditaria?
L’azione di riduzione è lo strumento attraverso il quale un legittimario può impugnare una donazione lesiva dei propri diritti. Ha natura personale e può essere esercitata entro 10 anni dall’apertura della successione, senza bisogno di preventiva impugnazione del testamento o della donazione. L’effetto, se riconosciuto dal giudice, è la restituzione del bene o del suo equivalente in denaro.
Parallelamente, l’obbligo di collazione art. 737 e ss. c.c. è un obbligo che ricade in capo ai figli e al coniuge, di conferire all’asse ereditario le donazioni ricevute in vita dal defunto, per garantire una divisione equa tra gli eredi. La collazione si applica in assenza di esplicita dispensa e riguarda solo i coeredi, non i terzi. Nel caso dell’azienda, la valutazione da effettuare in sede di collazione è molto delicata. Non si considera il valore nominale dei singoli beni che la compongono, ma il valore complessivo dell’azienda come complesso unitario organizzato per fini produttivi, al momento della morte del donante.
È meglio donare l’intera azienda o solo le quote?
Nel passaggio generazionale d’impresa, una delle scelte concerne se donare direttamente l’azienda oppure se prima conferirla in una società – tipicamente una S.r.l. – e poi trasferire le relative partecipazioni. Entrambe le opzioni sono lecite, ma offrono conseguenze diverse sia sotto il profilo giuridico che fiscale, nonché nella gestione dei rapporti tra eredi.
Quando conviene il conferimento in una nuova società?
Il conferimento dell’azienda in una società, solitamente di nuova costituzione, è una soluzione se si vuole separare la gestione operativa dalla proprietà, o quando si prevede di coinvolgere più discendenti nel tempo. L’imprenditore, in questo modo, trasferisce l’intero complesso aziendale alla società e riceve in cambio partecipazioni societarie, che può poi donare in tutto o in parte ai figli secondo un piano progressivo.
Dal punto di vista fiscale, il conferimento non genera plusvalenze immediate se effettuato in regime di neutralità fiscale ai sensi dell’art. 176 del TUIR. La successiva donazione delle quote societarie può beneficiare, a sua volta, dell’esenzione da imposta di donazione ai sensi dell’art. 3, co. 4 ter del D. lgs. n. 346/1990, purché venga mantenuto il controllo per almeno 5 anni.
Tale approccio consente una maggiore flessibilità nella governance aziendale: ad esempio, l’imprenditore può trattenere per sé la quota di controllo, riservarsi i diritti di voto o prevedere clausole statutarie che garantiscano una transizione ordinata, limitando i conflitti futuri.
Cosa cambia se si donano partecipazioni anziché il ramo d’azienda?
Donare le partecipazioni di una società che possiede l’azienda (anziché l’azienda in sé) ha un impatto diverso sia dal punto di vista civilistico che fiscale. Mentre la donazione diretta dell’azienda comporta il trasferimento immediato di tutti i contratti, rapporti di lavoro e beni aziendali, la donazione delle quote agisce a livello della proprietà della società, senza incidere direttamente sull’operatività dell’impresa.
Dal punto di vista successorio, le partecipazioni costituiscono beni mobili e sono soggette a valutazione distinta rispetto all’azienda. È importante ricordare che la quota societaria è un diritto personale, e non un diritto reale sui beni aziendali. Questo significa che, in caso di contenzioso tra coeredi, il bene da valutare non è l’immobile o il macchinario in sé, ma il valore della partecipazione come diritto a una parte dell’attivo netto della società.
Un altro aspetto riguarda l’applicazione della sopravvenienza attiva per il donatario. Se la donazione delle quote viene fatta a favore di una società commerciale (anziché a una persona fisica), potrebbe emergere un’imponibilità fiscale sulla differenza tra il valore della partecipazione e quello fiscalmente riconosciuto, come previsto dall’art. 88, co. 3, lett. b) del TUIR. È quindi fondamentale evitare la donazione a soggetti societari, salvo specifiche strategie aziendali.
Le clausole da inserire per tutelarsi (usufrutto, reversibilità, modale)
Uno degli strumenti più usati nella prassi è la clausola di riserva di usufrutto, che consente al donante di mantenere il controllo e i frutti dell’azienda per tutta la vita, evitando sorprese o repentini cambi di gestione. È utile se il donante desidera accompagnare il donatario nella transizione o garantirsi una rendita.
Altre clausole includono:
- clausola modale: impone al donatario un obbligo specifico, come il mantenimento del donante, la prosecuzione dell’attività o la tutela di determinati dipendenti. È una forma di donazione condizionata, ma deve essere calibrata per non compromettere la validità dell’atto o ledere le quote legittime;
- clausola di reversibilità: consente al donante di recuperare i beni donati nel caso in cui il donatario deceda prima di lui, proteggendo il patrimonio da dispersioni impreviste;
- termine o condizione sospensiva: permette di subordinare l’efficacia della donazione al verificarsi di un evento futuro incerto (es. superamento di una certa età, conseguimento di un titolo professionale);
- riserva di disporre: garantisce al donante la possibilità di riappropriarsi di determinati beni o somme, con effetto parziale sulla donazione. È utile, ad esempio, se si desidera lasciare libertà di disporre di una parte dell’azienda (come un immobile o un contratto chiave).
La dispensa dalla collazione e la dispensa dall’imputazione sono clausole per evitare che la donazione venga “rimessa nel conto” alla morte del donante, nel calcolo dell’eredità. Sono decisive soprattutto in presenza di più figli, per garantire che quanto donato resti fuori dalla massa ereditaria e non venga ricalcolato nella divisione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA