Cos’è il capital gain, come si calcola e tassazione

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4 Giugno 2025 - 18:09

Come si fa il calcolo del capital gain, noto anche come plusvalenza o guadagno in conto capitale? Ecco di cosa si tratta e le tasse previste in Italia.

Cos’è il capital gain, come si calcola e tassazione

Il capital gain rappresenta la differenza positiva tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto di uno strumento finanziario. Quando un investitore vende azioni, ETF, certificati o altri strumenti finanziari realizzando un profitto, questo guadagno viene tassato generalmente al 26% in Italia. Tuttavia, per i titoli di Stato come BOT, BTP e CCTeu, l’aliquota applicata è più vantaggiosa, pari al 12,5%.

Il significato di capital gain, infatti, è strettamente legato alla plusvalenza generata dalla compravendita di strumenti finanziari. È importante sottolineare che gli investitori possono compensare le perdite (minusvalenze) con futuri guadagni entro un periodo di 4 anni successivi a quello in corso, offrendo così un’opportunità di recupero fiscale.

Cosa si intende per capital gain?

Nel linguaggio finanziario, il termine capital gain identifica la differenza positiva tra il prezzo di vendita (o rimborso) e il prezzo di acquisto (o sottoscrizione) di uno strumento finanziario. Questo concetto è fondamentale per comprendere la tassazione degli investimenti e merita un’analisi approfondita.

Il capital gain, tradotto in italiano come «guadagno in conto capitale» o «plusvalenza», rappresenta l’incremento di valore realizzato dalla vendita di strumenti finanziari come azioni, obbligazioni convertibili, warrant, opzioni o operazioni a premio.

Innanzitutto, è importante sottolineare che questo termine si riferisce esclusivamente a situazioni in cui la differenza tra prezzo di vendita e acquisto risulta positiva.

In ambito fiscale italiano, il capital gain rientra nella categoria dei «redditi diversi» di natura finanziaria, come stabilito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 52/E/2004. Infatti, questa plusvalenza costituisce solo una parte del rendimento totale di un investimento, poiché non considera l’eventuale percezione di frutti periodici come i dividendi.

Differenza tra capital gain e capital loss

Quando si vende uno strumento finanziario a un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto, la differenza negativa viene definita «minusvalenza» o «capital loss». Questa distinzione è fondamentale anche dal punto di vista fiscale.

Per chiarire con un esempio pratico: se un investitore acquista azioni per 10.000 euro e le rivende a 12.000 euro, realizza una plusvalenza di 2.000 euro. Al contrario, se il valore scende a 8.000 euro e decide di vendere, registrerà una minusvalenza di 2.000 euro.

Le minusvalenze possono essere compensate con eventuali plusvalenze realizzate successivamente. In particolare, il sistema fiscale italiano permette di utilizzare le perdite come credito fiscale entro quattro anni (più quello in corso al momento della minusvalenza). Quindi, un investitore con una minusvalenza di 5.000 euro che successivamente realizza una plusvalenza di 13.000 euro, potrà pagare le tasse solo sulla differenza di 8.000 euro.

Quando si realizza un capital gain

Il capital gain si realizza esclusivamente in caso di cessioni a titolo oneroso, come:

  • compravendita di strumenti finanziari;
  • conferimento in società;
  • datio in solutum (cessione di beni in pagamento);
  • costituzione o cessione di diritto d’usufrutto.

Al contrario, non danno origine a capital gain le successioni e le donazioni, essendo trasferimenti a titolo gratuito. Inoltre, non producono capital gain nemmeno il concambio di azioni in caso di fusioni o scissioni, le operazioni di recesso tipico, la riduzione del capitale o la liquidazione di un ente soggetto a IRES.

Dal punto di vista temporale, la plusvalenza viene determinata al momento del trasferimento della proprietà, ma diventa imponibile solo quando si percepisce effettivamente il corrispettivo. Per gli acconti, l’imponibilità si verifica al perfezionamento della cessione, mentre per i pagamenti dilazionati si applica il criterio di cassa.

Come si calcola il capital gain

Il calcolo del capital gain richiede una metodologia precisa che tiene conto di diversi fattori. Innanzitutto, bisogna considerare la differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario, operazione apparentemente semplice ma che può presentare complessità in determinate situazioni.

Prezzo di acquisto e prezzo di vendita

Per determinare il capital gain è necessario stabilire due valori fondamentali: la base (prezzo di acquisto) e il corrispettivo percepito (prezzo di vendita). Il calcolo avviene sottraendo il prezzo di acquisto dal prezzo di vendita, ottenendo così il capital gain in termini assoluti. È possibile esprimere questo valore anche in termini percentuali, utilizzando la formula:

  • Capital Gain (%) = (Prezzo di vendita – Prezzo di acquisto) / Prezzo di acquisto × 100

Ad esempio, se un’azione acquistata a 10 euro viene rivenduta a 15 euro, il capital gain sarà di 5 euro in termini assoluti, corrispondente al 50% in termini percentuali.

Calcolo medio ponderato in caso di più operazioni

Quando si effettuano più acquisti dello stesso titolo a prezzi diversi, il calcolo del capital gain può seguire due metodologie principali.

  • Metodo LIFO (Last In First Out): utilizzato nel regime dichiarativo, considera venduti per primi i titoli acquistati per ultimi. Come stabilito dall’art. 67, comma 1-bis del TUIR, «si considerano cedute per prime le partecipazioni, i titoli, gli strumenti finanziari acquisiti in data più recente».
  • Metodo del costo medio ponderato: applicato nel regime amministrato, calcola il prezzo medio di ciascuna categoria di titoli ponderato per le quantità acquistate. Se in un solo giorno vengono effettuate più operazioni, il prezzo medio viene calcolato ponderando i prezzi di ogni transazione per le rispettive quantità.

Capital gain: un esempio pratico

Per chiarire questi concetti, consideriamo un esempio concreto: un investitore acquista azioni per 10.000 euro e le rivende a 15.000 euro. La plusvalenza (capital gain) sarà di 5.000 euro e verrà tassata al 26%, quindi con un’imposta di 1.300 euro. Il guadagno netto, al netto delle imposte, sarà quindi di 3.700 euro.

Al contrario, se lo stesso investitore registra una minusvalenza di 5.000 euro (ad esempio vendendo a 5.000 euro titoli acquistati a 10.000), potrà utilizzare questa perdita entro 4 anni per compensare future plusvalenze. Quindi, se successivamente realizza una plusvalenza di 13.000 euro, pagherà le tasse solo su 8.000 euro (13.000 - 5.000), con un risparmio fiscale significativo.

Nel caso di acquisti multipli dello stesso titolo, il calcolo può diventare più complesso. Consideriamo questa sequenza di operazioni con il metodo del costo medio ponderato:

  • acquisto di 500 azioni a 1,2 euro (15/01/2025): 600 euro
  • acquisto di 1000 azioni a 1,5 euro (28/02/2025): 1.500 euro
  • vendita di 500 azioni a 1,8 euro (30/06/2025)

Il valore di carico delle azioni vendute sarà

600+1500)/(500+1000

×500 = 700 euro, generando una plusvalenza di 200 euro.

Tassazione del capital gain in Italia

La normativa fiscale italiana prevede specifiche aliquote per la tassazione del capital gain, che variano in base alla tipologia di strumento finanziario. Questo regime di imposizione fiscale è stato modificato più volte negli anni, con l’ultimo significativo cambiamento entrato in vigore nel 2019.

Aliquota del 26% su strumenti finanziari

Dal 1° gennaio 2019, il capital gain è assoggettato all’imposta sostitutiva del 26%, sia per le partecipazioni qualificate che per quelle non qualificate. Questa aliquota si applica alle plusvalenze realizzate dalla vendita di azioni, obbligazioni, certificati, futures e altri strumenti finanziari.

Per la determinazione della plusvalenza imponibile, si effettua la differenza tra il corrispettivo pagato e il costo o valore di acquisto, aumentato di ogni onere inerente, compresa l’eventuale imposta di successione e donazione. Il regime fiscale prevede tre possibili modalità di tassazione:

  • regime dichiarativo: il contribuente assolve agli obblighi tributari tramite la dichiarazione dei redditi;
  • regime del risparmio amministrato: un intermediario residente determina plusvalenze e minusvalenze;
  • regime del risparmio gestito: un intermediario applica l’imposta sul risultato positivo maturato nel periodo.

Imposta sostitutiva capital gain su titoli di Stato (12,5%)

I titoli di Stato italiani (BOT, BTP, CCT) beneficiano di un’aliquota agevolata del 12,5%. Questo trattamento fiscale favorevole si applica sia agli interessi percepiti che alle plusvalenze realizzate dalla compravendita.

La riduzione dell’aliquota rappresenta un incentivo per gli investitori a finanziare il debito pubblico. Inoltre, questo stesso trattamento agevolato si estende anche ai titoli emessi da enti pubblici (regioni, province, comuni), alle obbligazioni di organismi internazionali come la World Bank e la BEI.

ETF, fondi comuni e white list: il trattamento fiscale differente

Gli ETF e i fondi comuni d’investimento sono generalmente soggetti all’aliquota del 26%. Tuttavia, esistono importanti eccezioni: la componente investita in titoli di Stato o titoli emessi da Paesi inclusi nella «white list» beneficia dell’aliquota ridotta del 12,5%.

La «white list» comprende i Paesi con i quali l’Italia ha stabilito accordi per lo scambio di informazioni fiscali. Questa lista permette un regime di esenzione quasi generalizzato per i capital gain non qualificati realizzati dai non residenti.

Un aspetto particolare riguarda la tassazione degli ETF armonizzati, le cui plusvalenze sono considerate redditi di capitale e tassate al 26%, mentre gli ETF non armonizzati seguono le aliquote IRPEF ordinarie. Questa distinzione è fondamentale per la pianificazione fiscale degli investimenti.

Minusvalenze e compensazione fiscale

Come più volte ribadito, il sistema fiscale italiano prevede meccanismi specifici per gestire le perdite derivanti dagli investimenti finanziari. Quando un investitore vende uno strumento finanziario a un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto, genera una minusvalenza che può essere utilizzata per ridurre l’impatto fiscale su future plusvalenze.

Le minusvalenze originate dalla vendita di strumenti finanziari creano un credito d’imposta che può essere recuperato nell’anno in corso e nei quattro anni successivi. Questo significa che una minusvalenza realizzata nel 2024 potrà essere utilizzata per compensare plusvalenze fino al 31 dicembre 2028. Dopo tale data, il credito fiscale scade definitivamente e non può essere più utilizzato.

Per ottimizzare il vantaggio fiscale, è possibile adottare strategie specifiche. Ad esempio, se si possiede un titolo in perdita e uno in guadagno, vendendo prima quello in perdita e successivamente quello in guadagno, si può compensare il credito fiscale e potenzialmente azzerare la tassazione.

Redditi diversi vs redditi da capitale

Il Fisco distingue nettamente tra:

  • redditi diversi: plusvalenze e minusvalenze derivanti da compravendita di azioni, obbligazioni, ETC, ETN, certificati e derivati;
  • redditi di capitale: dividendi, cedole, interessi e plusvalenze da ETF e fondi comuni.

Questa distinzione è fondamentale perché solo i redditi diversi permettono la compensazione con minusvalenze pregresse. I redditi di capitale sono tassati «al lordo» (senza riconoscimento di spese o perdite), mentre i redditi diversi sono tassati «al netto» (con riconoscimento di spese e minusvalenze).

Cosa non è compensabile: dividendi e cedole

Non tutti i profitti possono essere compensati con minusvalenze pregresse. Infatti, i redditi da capitale non sono mai compensabili con i redditi diversi. Quindi, non è possibile utilizzare minusvalenze per ridurre la tassazione su:

  • Dividendi azionari
  • Cedole obbligazionarie
  • Interessi su conti correnti e depositi
  • Plusvalenze da ETF e fondi comuni

Una peculiarità importante riguarda i fondi comuni e gli ETF: le loro minusvalenze sono considerate redditi diversi, mentre le plusvalenze sono considerate redditi da capitale. Questo significa che se un investitore vende un fondo realizzando +100€ e un altro fondo realizzando -100€, non potrà compensare i due valori, dovendo versare le imposte sul guadagno.

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