Aumentano gli stipendi nel 2026? Tra conferme e novità ci sono ottime notizie per i lavoratori dipendenti. Ecco perchè.
Come cambieranno gli stipendi nel 2026? È una domanda che molti lavoratori si pongono, memori di una situazione che si è ripetuta costantemente negli ultimi anni. Sia il governo Draghi che quello Meloni, infatti, hanno approvato diverse misure volte a ridurre il cuneo fiscale, ossia la differenza tra lo stipendio lordo e quello netto.
Tuttavia, le misure introdotte avevano una durata ben definita, con scadenza fissata alla fine dell’anno. Per questo motivo, con ogni legge di Bilancio è stato necessario individuare una soluzione per confermare il taglio del cuneo fiscale ed evitare che gli stipendi risultassero più bassi.
Per il 2026, però, c’è una buona notizia: a differenza degli anni scorsi, il taglio del cuneo fiscale è già previsto, poiché il meccanismo introdotto dall’ultima manovra è strutturale. Non sarà quindi necessaria una nuova approvazione, anche se non si escludono eventuali correttivi.
Ma le buone notizie non finiscono qui: per quanto riguarda il calcolo degli stipendi nel 2026, potrebbero esserci due importanti novità. Da un lato, una nuova riforma delle aliquote Irpef, che andrebbe a ridurre ulteriormente la pressione fiscale; dall’altro, l’introduzione di norme sulla trasparenza salariale, che invece potrebbero favorire aumenti in quelle aziende dove esistono forti disparità tra colleghi.
Taglio del cuneo fiscale confermato
Prima di vedere le novità del 2026, ricordiamo che nel 2025 il taglio del cuneo fiscale ha cambiato forma: si è passati, infatti, da uno sgravio sui contributi a carico del lavoratore a un beneficio fiscale che si realizza in un trattamento integrativo per i redditi fino a 20.000 euro e in un aumento delle detrazioni per lavoro dipendente fino alla soglia dei 40.000 euro. Nel dettaglio, per i lavoratori con redditi fino a 20.000 euro lordi annui, viene riconosciuto un trattamento integrativo calcolato in misura percentuale a seconda dell’importo di riferimento:
- 7,1%, se il reddito di lavoro dipendente non è superiore a 8.500 euro;
- 5,3%, se il reddito di lavoro dipendente è superiore a 8.500 euro ma non a 15.000 euro;
- 4,8%, se il reddito di lavoro dipendente è superiore a 15.000 euro.
Per i redditi compresi tra 20.001 e 40.000 euro, invece, è prevista una maggiorazione della detrazione per lavoro dipendente. Questa detrazione è pari a 1.000 euro annui per i redditi fino a 32.000 euro e si riduce progressivamente sopra tale soglia fino ad azzerarsi al raggiungimento dei 40.000 euro. Il calcolo per la fascia che va da 32.001 a 40.000 euro segue invece la seguente formula:
950 euro * [(95.000 – reddito complessivo)] / 95.000 euro
Quindi, per ogni 1.000 euro oltre i 32.000, il beneficio si riduce di 125 euro, fino ad arrivare a zero al raggiungimento della soglia dei 40.000 euro.
Ricordiamo che, come specificato in apertura, queste regole sono confermate anche per il 2026, in quanto nella legge di Bilancio scorsa si è intervenuti per rendere strutturale il taglio dello sgravio contributivo così previsto. Almeno su questo fronte, quini, non bisogna aspettarsi sorprese in negativo, per quanto non è escluso che qualche correttivo, volto a risolvere alcune storture emerse in questi mesi, possa esserci.
Stipendi, ottime notizie per il taglio Irpef
Nel contempo, il governo sta lavorando a una nuova riforma fiscale che potrebbe portare a un taglio dell’Irpef, aumentando così ulteriormente il netto in busta paga a parità di lordo. A beneficiare dei maggiori vantaggi sarebbe il ceto medio.
Dopo l’intervento della legge di Bilancio 2024, che ha ridotto da quattro a tre gli scaglioni Irpef unificando i primi due con aliquota al 23%, l’attenzione del governo si concentra ora sul secondo scaglione, ossia quello che comprende la fascia di reddito tra 28.000 e 50.000 euro, dove a oggi si applica un’aliquota del 35%.
L’ipotesi sul tavolo è di abbassare questa percentuale al 33%, con un effetto positivo per tutti i contribuenti che rientrano nella suddetta fascia. Il risparmio, facilmente calcolabile, consiste nel 2% in meno sulla parte di reddito compresa tra 28.000 e 50.000 euro (o 60.000 se si deciderà di estendere la soglia). Si tratta quindi di una misura universale, che riguarda lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati, e che garantirebbe un beneficio massimo di 640 euro annui, pari a circa 49 euro al mese.
Al momento, però, non ci sono certezze a riguardo. La fattibilità della riforma Irpef in legge di Bilancio, infatti, dipenderà da diversi fattori, in primis dalla copertura finanziaria per un’operazione stimata in circa 5 miliardi di euro. Soldi che potrebbero arrivare da concordato preventivo, contrasto all’evasione, gara del Lotto e altri strumenti, ma solo al rientro dalle vacanze estive se ne saprà di più.
Nel frattempo, qui trovate tutte le simulazioni con gli importi.
Aumento degli stipendi da giugno 2026? Ecco perché è una possibilità
Concludiamo con un’altra novità che, seppure non direttamente, potrebbe avere conseguenze positive per le buste paga. È bene sapere che a partire da giugno 2026, con l’entrata in vigore della direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale, i lavoratori avranno nuovi strumenti per conoscere e contestare eventuali disparità retributive.
Una rivoluzione culturale e normativa che potrebbe tradursi anche in aumenti degli stipendi, soprattutto per coloro che oggi subiscono ingiustificate differenze di trattamento. La direttiva impone infatti ai datori di lavoro l’obbligo di fornire informazioni sullo stipendio medio per mansioni equivalenti, distinguendo per genere, e di motivare ogni scostamento superiore al 5%, pena l’apertura di una procedura di valutazione congiunta.
Viene inoltre abolito il segreto salariale, permettendo di conoscere l’inquadramento retributivo sin dal colloquio o, su richiesta scritta, nel corso del rapporto di lavoro.
Non si avrà accesso diretto alle singole buste paga, ma sarà possibile ottenere dati aggregati e rappresentativi, utili per richiedere riallineamenti in presenza di trattamenti economici discriminatori. In questo nuovo contesto, basato su trasparenza, onere della prova a carico dell’azienda e possibilità di ricorso effettivo, i lavoratori guadagneranno potere negoziale, e per le imprese sarà sempre più difficile giustificare trattamenti ingiustamente penalizzanti.
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