Nuove regole per il calcolo della busta paga da gennaio 2026? Ecco le proposte avanzate dal ministero del Lavoro in vista della prossima legge di Bilancio.
Da gennaio 2026 cambierà il calcolo della busta paga, a condizione che il governo decida di accogliere tutte le indicazioni provenienti dal ministero del Lavoro in vista della legge di Bilancio.
In queste ore, infatti, il dicastero guidato dalla ministra Marina Elvira Calderone ha presentato un elenco di misure a sostegno dei salari che vorrebbe finanziare con la prossima manovra. Resta da capire quali tra queste riceveranno effettivamente le risorse necessarie per la loro attuazione, ma una cosa è certa: ci sono buone possibilità che, a partire da gennaio 2026, le regole per il calcolo della busta paga - in particolare per la trasformazione dal lordo al netto - risultino molto diverse rispetto a quelle attuali.
Nel dettaglio, oltre alla riforma Irpef che potrebbe rivedere l’aliquota del secondo scaglione (quello che oggi riguarda i redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro), potrebbero arrivare ulteriori novità legate ai rinnovi contrattuali, agli straordinari e ai premi di produttività. L’obiettivo è chiaro: aumentare il peso degli stipendi dei lavoratori italiani, consolidando il recente trend di crescita dei salari che, tuttavia, restano ancora inferiori ai livelli registrati nel 2021.
Vediamo quindi nel dettaglio quali sono queste novità su cui punta il ministero del Lavoro e come potrebbero influire sulle retribuzioni degli italiani.
La nuova Irpef
Ne abbiamo parlato spesso in questi giorni e per questo non ci dilungheremo ancora (se volete approfondire lo potete fare qui). Qui vi basti sapere che la riforma dell’Irpef sarà una delle misure principali della prossima legge di Bilancio, con la quale il governo punta a ridurre la pressione fiscale per i redditi fino a 50.000 euro, una platea che comprende circa 13 milioni di contribuenti.
Nel dettaglio, il calcolo dell’Irpef resterà progressivo, ma cambierà l’aliquota del secondo scaglione che scenderebbe dal 35% al 33% per la parte di reddito compresa tra 28.000 e 50.000 euro. In pratica, chi guadagna meno di 28.000 euro non noterà alcuna differenza, mentre chi si avvicina ai 50.000 euro potrà beneficiare di un risparmio più consistente.
Per fare qualche esempio, con un reddito di 30.000 euro il vantaggio sarebbe di circa 40 euro all’anno, mentre con 40.000 euro si arriverebbe a 240 euro. Il beneficio massimo si otterrebbe con 50.000 euro, pari a 440 euro annui, ovvero poco meno di 34 euro in più ogni mese.
Meno tasse sui rinnovi di contratto
Tra le proposte avanzate dalla ministra Calderone c’è anche lo sconto fiscale sui rinnovi contrattuali, pensato per sostenere gli aumenti salariali e spingere le parti sociali a chiudere gli accordi in tempi più rapidi. Più precisamente, gli aumenti di stipendio derivanti dai contratti collettivi firmati tra il 2026 e il 2028 saranno tassati con un’aliquota Irpef ridotta al 10%, anziché con quella ordinaria.
Non solo: se il rinnovo contrattuale dovesse arrivare oltre 24 mesi dalla scadenza, scatterà un adeguamento automatico all’inflazione Ipca fino al 5% annuo, così da compensare almeno in parte la perdita di potere d’acquisto dovuta ai ritardi.
In questo modo il ministero del Lavoro intende tutelare i lavoratori e al tempo stesso stimolare la contrattazione nei settori dove da tempo si fatica a trovare un accordo. Basti pensare, ad esempio, a comparti come quello sanitario, scolastico o degli enti locali, dove i rinnovi dei contratti pubblici procedono spesso a rilento. In questi casi, l’adeguamento automatico e la tassazione agevolata potrebbero rappresentare un incentivo per sbloccare le trattative e accelerare la firma dei nuovi accordi.
Per fare un esempio, un lavoratore che con il rinnovo ottiene un aumento di 150 euro lordi al mese, oggi ne vedrebbe in busta paga circa 95 netti. Con la tassazione agevolata al 10%, invece, il netto salirebbe a circa 115 euro, con un vantaggio di oltre 200 euro l’anno.
Flat tax su straordinari, notturni e festivi
Un’altra misura di rilievo riguarda la tassazione agevolata sugli straordinari e sulle indennità legate al lavoro in orari disagiati. Secondo le intenzioni del dicastero, a partire dal 2026 le maggiorazioni per ore extra, lavoro notturno, festivo e di turno nel settore privato saranno tassate con un’aliquota Irpef del 10%, anziché ordinaria, fino a un limite di 4.000 euro l’anno. I contributi previdenziali resteranno invece invariati.
In pratica, un lavoratore che oggi percepisce 500 euro lordi di straordinari al mese ne porta a casa circa 320 netti. Con l’aliquota ridotta, lo stesso importo diventerebbe circa 380 euro netti, con un vantaggio di oltre 700 euro l’anno.
Premi e fringe benefit, più ampi i margini
Anche sul fronte dei premi di produttività e dei fringe benefit potrebbero essere in arrivo importanti novità fiscali. I premi di risultato godranno infatti di un tetto più alto: il limite per l’agevolazione potrebbe aumentare da 3.000 a 4.000 euro l’anno, mantenendo l’aliquota sostitutiva al 10%. Inoltre, il beneficio verrà esteso anche a chi percepisce redditi tra 80.000 e 100.000 euro, finora escluso.
Sul versante dei fringe benefit l’esenzione fiscale potrebbe essere riconosciuta fino a 4.000 euro annui per i lavoratori con figli a carico e fino a 2.000 euro per gli altri. Una soglia che potrà raddoppiare per i due anni successivi se i benefit verranno inseriti all’interno di piani di welfare aziendale concordati con i sindacati.
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