Borse: sfida all’ultimo trimestre

Marco Ticciati

07/10/2020

12/01/2022 - 15:49

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Il settembre negativo per le borse ha frenato l’avanzata dei tech negli USA ma non ha eliminato la fase laterale dei listini europei. Che fare nell’ultimo trimestre? Secondo alcuni, si dovrebbe puntare sui ciclici.

Borse: sfida all’ultimo trimestre

L’inizio dell’ultimo trimestre del 2020 fotografa ancora una situazione di borsa a due velocità: Wall Street e Shanghai con il segno più da una parte e i listini europei ancora in affanno dall’altra.

Questo divario nel mercato borsistico, però, con la riduzione del peso dei tech e «pandemia permettendo», potrebbe non durare ancora a lungo. Ecco perché.

Il tech accomuna Stati Uniti e Cina. Ha spinto la borsa in alto fino ad adesso, ma non è detto che lo faccia anche in futuro

Siamo entrati da poco nell’ultimo trimestre del 2020, un anno difficile che, oltre a mettere l’economia globale in ginocchio, ha creato due mondi diversi nei mercati di borsa globali: da una parte gli Stati Uniti e la Cina, i cui listini mostrano un segno più a doppia cifra da inizio anno (tra cui il Nasdaq e lo Shenzen con +25% nel 2020), e dall’altra l’Europa dove le borse stentano ancora a riprendersi dalla pandemia (-14% per l’Eurostoxx 50 e -28% per il listino spagnolo). Perché?

La risposta sta nel peso del settore tech sui listini di borsa. Sia Wall Street che la borsa cinese sono state spinte dal settore dei tecnologici che, in questo 2020, ha fatto registrare delle performance senza precedenti.

Questo è quello che manca all’Europa: un paniere di titoli in grado di replicare la performance delle FAANG stocks (Facebook, Apple, Amazon e Google) e di Tesla per compensare la contrazione sia del settore dei beni di lusso che di quello automobilistico e ridurre l’esposizione a fornitori di servizi di telecomunicazione.

Tuttavia, questo predominio della tecnologia nelle borse, sembrerebbe non durare ancora a lungo.

A «distruggere» il piedistallo su cui poggia il settore tech in borsa potrebbero essere un mix di fattori politici ed economici, tra cui:

  • lo «stallo» delle elezioni negli Stati Uniti e la probabile vittoria di Biden. Questo potrebbe innescare un’ulteriore fase di incertezza a Wall Street, incentivando gli investitori a ridurre le esposizioni verso il comparto azionario in vista di un incremento della tassazione;
  • elevate valutazioni di mercato rispetto ai dati di bilancio. Le elevate valutazioni delle azioni tech in termini di P/E (Price/Earning) rispetto a quelle di altri settori come quello bancario, potrebbero indurre gli investitori ad alleggerire le esposizioni verso le prime;
  • nuovi contagi ed effetti della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. I timori di nuovi lockdown per limitare i nuovi contagi e le tensioni tra Stati Uniti e Cina potrebbero ridurre sia la produzione che il commercio internazionale delle imprese tech. Questo, potrebbe compromettere la loro capacità di produrre utili in futuro.

Cosa accomuna gli Stati Uniti all’Europa? La performance dei bancari e del settore utility

Sono due i fattori ad accomunare gli Stati Uniti all’Europa e a determinare, in parte, il gap tra le due borse: la performance dei bancari e quella del settore utility.

Se Sparta piange, Atene non ride. Nonostante infatti il calo dei tecnologici, i bancari, sia negli Stati Uniti che in Europa stanno ancora pagando il costo più elevato della pandemia lasciando sul terreno fino a 30 punti percentuali da inizio anno (con il picco di oltre 50 punti percentuali fatti registrare dalla statunitense Wells Fargo ).

In questo scenario, però, chi soffre di più è l’Europa. I bancari, infatti, stanno zavorrando le borse del Vecchio Continente (dove hanno un’importanza rilevante) in una fase laterale, acuendo il divario con i listini a stelle e strisce.

Una boccata di ossigeno per ridurre questo gap potrebbe arrivare dal Recovery Fund che finirebbe per «depressurizzare» il mercato obbligazionario europeo con effetti positivi su banche e assicurazioni e ridurre anche il rischio sovrano degli Stati tramite l’emissione di obbligazioni comunitarie (gli Stati europei, in questo contesto, emetterebbero meno obbligazioni contribuendo a far aumentare di meno il debito pubblico).

Inoltre, i soldi del Recovery Fund, favorendo la "riconversione energetica", potrebbero dare uno slancio al settore delle utility, già sostenuto dalla crescita prospettica di mega trend energetici come la transizione energetica o la decarbonizzazione. Il settore delle utility, sta già avendo successo anche negli Stati Uniti sulla scia degli investimenti in energie rinnovabili e nella rete elettrica tanto che, secondo alcuni, è l’unico settore in grado di «dribblare» l’incertezza elettorale.

Il suo valore, in entrambe le aree del Mondo, è molto sensibile ai tassi di interesse: secondo alcuni analisti, con i tassi di interesse negativi si ottiene sia un dividend yield sia un equity risk premium e un P/E ratio in linea con la media storica degli ultimi anni. In questo contesto, perciò, il fattore green potrebbe essere un punto di forza per questo settore e potrebbe renderlo più appetibile.

Il nuovo contesto economico, quindi, darebbe i ciclici e i value per favoriti

Nello scenario che sta prendendo forma, secondo alcuni, i titoli ciclici e quelli value, come gli industriali e le utilities ma anche le banche, sembrerebbero avere la meglio. A questo, bisogna aggiungere la tendenza positiva dei mega trend come salute, acqua e energie rinnovabili.

La spinta del Recovery Fund in Europa e il miglioramento dei dati macro a livello globale sembrerebbero confermare questa tendenza. In questo contesto, la ripresa sia del settore manifatturiero che delle vendite al dettaglio a livello globale insieme al miglioramento della disoccupazione negli Stati Uniti, sembrerebbero spingere il settore industriale e quello dei materiali di base, mentre le misure del Recovery Fund darebbero una boccata d’ossigeno ai bancari in Europa favorendo anche le imprese operanti nel settore della «riconversione energetica».

Inoltre, la svalutazione del dollaro favorirebbe i titoli value. Storicamente, con la svalutazione del biglietto verde (prevista in futuro da alcuni analisti), il comparto growth come quello dei tecnologici, ha avuto delle performance inferiori a quelle dei titoli value.

Il QE è ormai perenne

A questo è necessario aggiungere il quantitative easing perenne, che come ipotizzato da alcuni, potrebbe, a certe condizioni, far ripartire l’inflazione in futuro. Questo permetterebbe ai titoli value appartenenti a settori come gli industriali, i bancari o i titoli di imprese operanti nel settore dei consumi di base di riaffermarsi: in uno scenario di tassi nominali in rialzo, infatti, le società tecnologiche con elevati flussi di cassa disponibili in futuro e pochi nel periodo attuale, potrebbero avere un valore più basso adesso rispetto ai titoli value (che hanno maggiori flussi di cassa nel periodo attuale rispetto a quelli di alcune imprese tecnologiche).

La «rivincita» dei ciclici e dei value sui titoli tecnologici e la «spinta» dei megatrend sarebbe, perciò, «la chiave» per ridurre la polarizzazione geografica tra i listini globali (Europa, Stati Uniti e Cina in primis), riportando la situazione di borsa ai livelli pre-Covid.

Questo, però, nel best case scenario. Le imprese tech, infatti, spinte da lobbies di Washington, potrebbero ottenere le risorse necessarie per superare qualsiasi scoglio, anche quello di generare maggiori cash flow a distanze ravvicinate o allargare le dimensioni aziendali per rafforzare la posizione sul mercato. Questo genererebbe ulteriori fattori di incertezza legata ad un maggior peso del tech in una Wall Street, già «schiava» di un’eccessiva concentrazione (questa prima o poi dovrà crollare in quando l’S&P500 ha una valutazione di mercato superiore a quella storica), che vanno ad aggiungersi alla precaria congiuntura economica e alla situazione sanitaria in continua evoluzione.

In questo scenario, perciò, tutto è nelle mani delle Banche Centrali e degli investitori che dovranno "prendere in mano la situazione" considerando anche la dinamica sanitaria che «sta tornando a fare capolino». Questa, come sappiamo, potrebbe «cambiare le carte in tavola dei mercati» (chi aveva previsto il Covid lo scorso anno?).

Nel recente contesto, infatti, c’è molto «nervosismo» da parte degli operatori: il bilancio della Fed è rimasto invariato e permane ancora l’incertezza sugli stimoli fiscali futuri e questo potrebbe non essere sufficiente a fronteggiare i rischi sanitari sull’economia globale di nuovo in aumento. In questo scenario, quindi, è necessaria maggiore cautela in quanto il futuro è un libro ancora da scrivere.

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