Il gruppo tedesco Freudenberg annuncia la chiusura dello stabilimento di Rho e licenzia 42 dipendenti. Dietro questa scelta ci sarebbero i dazi imposti dal governo Trump.
Il gruppo tedesco Freudenberg ha annunciato la chiusura dello stabilimento italiano di Rho, alle porte di Milano, con il conseguente licenziamento di 42 dipendenti, di cui 25 assunti a tempo indeterminato, 15 somministrati e 2 a termine.
La multinazionale, che fornisce materiali in diverse branche dell’automotive e della meccanica tessile, ha deciso di delocalizzare la produzione, spostandola in Slovacchia e negli Stati Uniti, nello stabilimento di Hopkinsville, nel Kentucky.
Secondo l’azienda, alla base della decisione ci sarebbero i dazi commerciali imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che avrebbero reso meno competitiva la produzione europea destinata al mercato americano. Freudenberg ha spiegato che la crescente incidenza dei costi di trasporto e di produzione, unita all’instabilità dei mercati internazionali, ha spinto la società a riorganizzare la sua presenza a livello globale.
In quest’ottica, la scelta di spostare la produzione più vicino al mercato nordamericano e ai Paesi dell’Est Europa è apparsa più conveniente. Tuttavia, questa operazione rischia di avere conseguenze pesanti per il tessuto industriale e occupazionale italiano.
Il contesto dello stabilimento di Rho e la reazione dei sindacati
Lo stabilimento di Rho, situato in via Risorgimento 34, operava da anni nella produzione di filtri industriali per conto del gruppo Freudenberg. È stato sempre considerato un impianto solido, senza cali di commesse o segnali di crisi.
Nonostante ciò, il 5 novembre 2025 la direzione ha comunicato ai lavoratori la cessazione definitiva delle attività e l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo. La notizia ha colto di sorpresa sia i dipendenti che i sindacati, che hanno definito lo stabilimento “un sito di eccellenza” che avrebbe potuto continuare a operare con profitto.
La Fillea CGIL ha definito la decisione “inaccettabile”, sottolineando come l’azienda abbia scelto di chiudere un impianto perfettamente funzionante solo per ragioni economiche e strategiche. “Non si può buttare tutto nella spazzatura da un giorno all’altro”, hanno commentato i rappresentanti dei lavoratori.
I sindacati hanno chiesto un confronto con il gruppo Freudenberg per valutare possibili alternative, come l’attivazione di ammortizzatori sociali o la ricerca di una nuova industria disposta a subentrare nello stabilimento. Anche le istituzioni locali sono state chiamate a intervenire per tentare di evitare la chiusura, che colpirebbe un territorio già provato da altre recenti delocalizzazioni.
Le conseguenze per il territorio e i dubbi sulle motivazioni di Freudenberg
La chiusura dello stabilimento di Rho rappresenta un altro duro colpo per il comparto manifatturiero lombardo. Oltre ai 42 posti di lavoro persi, a rischio c’è anche l’indotto di piccole imprese e fornitori che gravitavano intorno al sito.
Il caso Freudenberg si inserisce in una tendenza più ampia che riguarda un numero sempre più alto di aziende europee. Di fronte all’incertezza dei mercati globali e alla guerra dei dazi, molte imprese preferiscono rilocalizzare la produzione in aree dove i costi sono più bassi o dove possono evitare barriere doganali.
Resta, tuttavia, da capire se i dazi siano davvero la causa principale della chiusura o solo una delle motivazioni dietro una scelta più ampia di ristrutturazione industriale. La strategia del gruppo tedesco sembra infatti orientata a concentrare la produzione in aree più vicine ai mercati di riferimento, come gli Stati Uniti, e in Paesi che offrono un costo produttivo più conveniente.
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