Aumento di stipendio obbligatorio se la busta paga è troppo bassa, chi ne ha diritto e perché

Simone Micocci

6 Aprile 2023 - 14:28

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Il contratto collettivo non è garanzia di stipendio adeguato al ruolo svolto: bisogna infatti attenersi a quanto stabilito dall’articolo 36 della Costituzione.

Aumento di stipendio obbligatorio se la busta paga è troppo bassa, chi ne ha diritto e perché

Nonostante la mancanza di una legge che fissa un salario minimo in Italia, sulla quale Giorgia Meloni non sembra essere disposta a concessioni, al lavoratore va comunque garantito uno stipendio proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.

Il diritto al giusto stipendio, infatti, è tutelato dalla Costituzione che ovviamente prevale sul contratto collettivo. Può succedere, dunque, che un giudice ritenga inadeguato lo stipendio percepito da un lavoratore anche nel caso in cui la busta paga rispetti i criteri indicati dall’accordo collettivo.

Ed è quanto successo a una lavoratrice padovana, la quale ha fatto ricorso al giudice del Lavoro di Milano lamentando uno stipendio molto basso, nonostante in linea con quanto stabilito dal contratto di categoria. Una sentenza destinata a fare giurisprudenza e che potrebbe portare a dei risvolti fino a oggi impensabili: laddove non si dovesse intervenire con il salario minimo, infatti, potrebbero essere i giudici a obbligare non solo i datori di lavoro ad aumentare lo stipendio ma le stesse associazioni datoriali a sedersi al tavolo di confronto con le parti sociali così da rivedere le tabelle stipendiali allegate al contratto collettivo.

Quando lo stipendio è troppo basso e quindi incostituzionale

Fino a oggi l’unico obbligo per il datore di lavoro è quello di attenersi alle tabelle stipendiali indicate nell’accordo collettivo così da definire il giusto stipendio da riconoscere al dipendente. Ovviamente la retribuzione deve essere commisurata al ruolo e alla qualifica.

Tuttavia, la recente sentenza del Tribunale di Milano potrebbe cambiare tutto. La vicenda, infatti, riguarda una lavoratrice padovana che - assistita dagli Adl Cobas e dagli avvocati Giorgia D’Andrea e Giacomo Gianolla - ha fatto causa alla Civis (Istituti Vigilanza Padova) per il basso stipendio che le è stato riconosciuto.

Attenendosi a quanto stabilito dal contratto collettivo, infatti, l’azienda l’ha retribuita con una paga di 3,96 euro l’ora, a fronte di un reddito netto di circa 640 euro mensili.

La lavoratrice, ritenendo che si trattasse di una “paga oraria da fame” si è quindi rivolta a un giudice, il quale ha dovuto valutare se lo stipendio riconosciuto fosse in linea con quanto stabilito dalla normativa. Dopo un’attenta valutazione ha dato ragione alla lavoratrice scomodando persino la Costituzione: anche se la legge non fissa un importo minimo di salario, infatti, non si può non ricordare che il diritto a uno stipendio adeguato è tutelato dalla Carta costituzionale.

L’articolo 36 della Costituzione, infatti, stabilisce che il lavoratore ha diritto “a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Per questo motivo la Civis è stata obbligata a versare un risarcimento di 372 euro (lordi) in più per ogni mese, ossia la differenza tra lo stipendio riconosciuto e quello che si ritiene essere adeguato per un servizio di portierato che nonostante sia un lavoro “povero” deve comunque restare entro determinati confini, “ben superiori” rispetto a quelli previsti dai contratti firmati negli anni scorsi dalle principali sigle sindacali del settore.

Cosa può succedere adesso?

Ovviamente una sola sentenza non è sufficiente per far sì che tutti coloro che hanno una busta paga molto bassa abbiano diritto a un aumento di stipendio.

L’iter è ancora lungo ma la decisione del Tribunale del Lavoro di Milano potrebbe comunque fare giurisprudenza: altre cause pendenti sulle stesse criticità, infatti, potrebbero essere risolte in favore del lavoratore obbligando l’azienda ad aumentare lo stipendio e renderlo adeguato non solo alle mansioni svolte ma anche al costo della vita.

Sentenze che potrebbero rappresentare un incentivo al rinnovo di contratto in quei settori fermi da anni, dove le paghe minime non sono commisurate alla situazione attuale.

Come spiegato da Mauro Zanotto di Adl Cobas - a oggi sono 100 mila i lavoratori che potrebbero essere interessati da una sentenza simile. Per questo motivo sarebbe utile un confronto nazionale sul tema: a tal proposito, Zanotto ha chiesto l’apertura di un tavolo che coinvolga università, Esu, Regione, Provincia e tutti gli altri soggetti coinvolti dalla sentenza affinché “si metta fine a questa logica di sfruttamento”.

Lavoro povero in Italia, un problema che persiste da anni

Oggi avere un lavoro potrebbe non essere sufficiente per uscire dalla soglia di povertà. Basti pensare che in alcuni casi chi lavora riesce ad accedere anche al Reddito di cittadinanza, beneficiando di un’integrazione dello stipendio percepito.

A tal proposito, un recente report Inps (luglio 2022) ha rilevato una crescente quota di lavoratori con busta paga inferiore alla soglia di fruizione del Reddito di cittadinanza: nel dettaglio, circa 1 dipendente su 4 - comprendendo però anche i part-time - guadagna meno di 780 euro al mese.

Un problema che secondo quanto dichiarano esponenti della maggioranza potrà essere risolto potenziando la contrattazione collettiva, ad esempio limitando gli accordi da parte di sindacati minori che spesso prevedono stipendi inferiori rispetto a quelli fissati dai contratti sottoscritti dai sindacati confederati (il cosiddetto fenomeno del dumping contrattuale). No invece al salario minimo a 9 euro l’ora, sul quale tuttavia potrebbero presto intervenire i giudici laddove dovessero continuare nella strada tracciata dal Tribunale milanese.

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