Mario Draghi “conferma” il sistema contributivo per la pensione. Come funziona e quali sono le regole per l’accesso alla pensione e per il calcolo dell’assegno? Ecco una guida completa.
Per le pensioni Mario Draghi ha le idee chiare: non si può prescindere dal sistema - o regime - contributivo. Dichiarazioni che vanno interpretate, visto che comunque non era il regime contributivo a essere in discussione quanto la possibilità che ci potesse essere una flessibilità in uscita volta a mitigare gli effetti della Legge Fornero.
Cosa intende Draghi quando parla di “contributivo per la pensione”? E soprattutto cosa significa che bisogna fare “ritorno al regime contributivo”?
Va detto che questo sistema è stato introdotto ormai dal 1° gennaio 1996, con novità poi apportate dalla Fornero nel 2011. Le parole del Presidente del Consiglio, dunque, rischiano di generare confusione, allarmando coloro che pensano ci possa essere un peggioramento nei requisiti per andare in pensione, come pure per il calcolo dell’assegno. A tal proposito è importante fare chiarezza su cosa effettivamente si intende per regime e calcolo contributivo della pensione, guardando a come questo funziona e alle possibili novità in arrivo nei prossimi anni.
SISTEMA CONTRIBUTIVO PER LA PENSIONE
Pensione: cos’è il sistema contributivo
È la legge 335/1995 - la cosiddetta Legge Dini - ad attuare la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare che introduce il calcolo contributivo della pensione, disponendone la totale applicazione nei confronti di tutti gli assicurati a decorrere dal 1° gennaio 1996. La transizione al modello contributivo è stata poi completata con l’entrata in vigore del Decreto Legge 201/2011, convertito con modificazioni dalla Legge 214/2011, la cosiddetta riforma Fornero. Questo sistema ha esteso l’applicazione del regime contributivo anche a tutte le anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012, con l’applicazione di un calcolo “pro rata”.
Riassumendo, oggi sono interamente nel regime contributivo coloro che hanno un’anzianità assicurativa successiva al 1° gennaio 1996. Chi può vantare contributi anche nel periodo precedente rientra invece nel sistema misto, così suddiviso:
- regime retributivo per la parte antecedente al 1° gennaio 1996;
- regime contributivo per la parte successiva al 1° gennaio 1996.
Piccola differenza per coloro che invece alla data del 31 dicembre 1995 hanno maturato 18 anni di contributi. Per questi il retributivo si estende fino al 31 dicembre 2011, con il contributivo che dunque subentra dal 1° gennaio 2012.
Cosa prevede il contributivo? Come spiegato da Mario Draghi nella conferenza di presentazione della Legge di Bilancio 2022, questo è un sistema che garantisce sostenibilità alla spesa pensionistica. Questo perché vengono previste regole più severe per andare in pensione, così come un calcolo più svantaggioso dell’assegno.
Andare in pensione con il regime contributivo
Coloro che rientrano interamente nel regime contributivo della pensioni, quindi chi ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 e non può vantare contributi nel periodo antecedente, possono accedere alla pensione secondo quanto stabilito dalla Legge Fornero. Nel dettaglio, le opzioni a loro disposizione sono:
- pensione di vecchiaia: oltre ai 67 anni di età e ai 20 anni di contributi richiesti per la generalità dei lavoratori, i contributivi puri devono anche soddisfare un requisito economico, ossia l’importo della pensione maturata non deve essere inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale;
- pensione anticipata: per i contributivi puri valgono le stesse regole previste per gli altri lavoratori. Serve dunque aver maturato 42 anni e 10 mesi di contributi (uomini), o 41 anni e 10 mesi di contributi (donne);
- pensione di vecchiaia contributiva: per i contributivi puri ci sono poi delle opzioni di pensionamento a loro riservate. Una di queste è la pensione di vecchiaia contributiva, alla quale si può accedere con 5 anni di contributi e al compimento dei 71 anni di età;
- pensione anticipata contributiva: al pari, vi è un’opzione contributiva per la pensione anticipata. Questa prevede 64 anni di età, 20 anni di contributi e un assegno di importo non inferiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.
Anche per i contributivi puri, comunque, vi è la possibilità di godere di misure di flessibilità che anticipano l’accesso alla pensione. È il caso ad esempio dell’Ape Sociale, come pure di Quota 100.
Calcolo della pensione con il regime contributivo
Maggiormente rilevanti sono gli effetti che l’introduzione del contributivo al posto del retributivo ha avuto sul calcolo della pensione.
Con il retribuito l’importo della pensione viene calcolato facendo una media delle migliori retribuzioni percepite dal lavoratore durante gli ultimi anni di lavoro, sulla quale si applica la relativa aliquota di rendimento. Questo sistema, però, si applica solamente per la quota di contributi accreditata entro il 31 dicembre 1995.
Invece, per coloro che entro questa data hanno maturato almeno 18 anni di contributi, il sistema retributivo si applica fino alla quota maturata entro il 31 dicembre del 2011. Anche per coloro che pur avendo versato dei contributi prima della suddetta data non raggiungono i richiesti 18 anni si applica il sistema misto. In tal caso, però, per i contributi versati prima del 31 dicembre 1995 si applica il sistema retributivo, mentre per quelli maturati successivamente il metodo contributivo.
Non è un segreto che il calcolo con il metodo contributivo sia meno conveniente rispetto a quello retributivo, ma per quale motivo? Mentre con il metodo retributivo si tiene conto delle migliori retribuzioni percepite dal pensionato nel corso della sua carriera lavorativa, con quello contributivo l’importo della pensione è determinato esclusivamente dai contributi effettivamente maturati.
Per questo sistema di calcolo, infatti, si moltiplica il montante contributivo individuale del lavoratore per il coefficiente di trasformazione (fissato ogni due anni dall’INPS) relativo all’età del lavoratore e alla decorrenza della pensione.
Nel dettaglio, per calcolare la pensione con il sistema contributivo si procede con:
- moltiplicare la retribuzione pensionabile annua con l’aliquota di computo, ossia la percentuale della retribuzione pensionabile che ogni anno viene accantonata come contribuzione ai fini previdenziali (ad esempio per i lavoratori dipendenti è pari al 33%);
- moltiplicare il tutto per il tasso di rivalutazione annuo. Come disposto dalla riforma Dini, infatti, il montante contributivo è annualmente rivalutato in base all’andamento della crescita nominale del PIL negli ultimi 5 anni.
Infine, il montante previdenziale rivalutato in base ai tassi di rendimento viene trasformato in assegno pensionistico con l’applicazione di un coefficiente di trasformazione che, come vedremo di seguito, viene stabilito ogni due anni.
Coefficienti di trasformazione calcolo contributivo della pensione
Una volta che il lavoratore maturerà i requisiti per la pensione, quindi, il montante contributivo sarà moltiplicato per il coefficiente di trasformazione. È grazie a quest’ultimo, quindi, che il montante contributivo del lavoratore viene trasformato in pensione annua. Per capire quale sarà l’importo mensile, quindi, basterà dividere il risultato ottenuto con il calcolo contributivo per 13 mensilità.
Come anticipato il coefficiente di variazione varia a seconda dell’età anagrafica del lavoratore che accede alla pensione; si parte da 57 anni fino ai 70 e più l’età aumenta e maggiormente elevato sarà il relativo coefficiente di trasformazione. Andare in pensione più tardi, quindi, permetterà al lavoratore di avere un assegno pensionistico più elevato.
La riforma Fornero ha stabilito che - così come i requisiti per il pensionamento - i coefficienti di trasformazione debbano essere aggiornati ogni due anni in virtù dell’adeguamento previsto con le speranze di vita rilevate dall’ISTAT.
I coefficienti di trasformazione vigenti sono quelli indicati nel 2021, quindi il prossimo aggiornamento è in programma per il 2023. Ecco a tal proposito una tabella dove sono indicati i valori dei coefficienti di trasformazione per il 2021 e per il 2011.
Età di uscita | Valori 2019-2020 | Valori 2021-2022 |
---|---|---|
58 | 4,304% | 4,289% |
59 | 4,414% | 4,399% |
60 | 4,532% | 4,515% |
61 | 4,657% | 4,639% |
62 | 4,790% | 4,770% |
63 | 4,932% | 4,910% |
64 | 5,083% | 5,060% |
65 | 5,245% | 5,220% |
66 | 5,419% | 5,391% |
67 | 5,604% | 5,575% |
68 | 5,804% | 5,772% |
69 | 6,021% | 5,985% |
70 | 6,257% | 6,215% |
71 | 6,513% | 6,466% |
“Ritorno al regime contributivo”: cosa voleva dire Draghi?
Cosa voleva dire, allora, Mario Draghi quando ha parlato di “ritorno al regime contributivo”? Semplicemente il premier sembra aver escluso la possibilità che in futuro ci possano essere riforme che vadano a modificare sia l’accesso alla pensione che il calcolo dell’assegno.
Un chiaro riferimento a Quota 100, misura che nell’intenzione avrebbe dovuto superare quanto deciso dalla riforma del 2011, salvo poi non riuscirci in quanto la platea di coloro che ne hanno avuto accesso è stata inferiore rispetto alle aspettative.
Non per questo, però, non ci potranno essere misure di flessibilità, anzi. E Draghi non esclude che in futuro non ci possa essere una salvaguardia per i giovani, per evitare che questi siano svantaggiati dall’applicazione piena delle regole del contributivo.
Ma di queste novità se ne parlerà in futuro, in quanto le discussioni con i sindacati riprenderanno solamente con l’inizio del prossimo anno. Per il momento si va verso il ritorno pieno alle regole dettate dalla riforma Fornero per il regime contributivo, con la possibilità di accedere a una Quota 102, oppure all’Ape Sociale o ad Opzione Donna.
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