Pensioni, addio 67 anni. Ecco qual è la nuova età pensionabile

Simone Micocci

19 Novembre 2025 - 10:08

Pensioni, la legge di Bilancio non lascia alcun dubbio. Addio alla possibilità di andarci a 67 anni, l’età pensionabile è destinata ad aumentare.

Pensioni, addio 67 anni. Ecco qual è la nuova età pensionabile

La legge di Bilancio 2026, al netto delle novità che potrebbero essere introdotte con gli emendamenti presentati in Parlamento, aumenta l’età pensionabile.

Inutile negarlo, tanto nel 2026 quanto nel 2027 e 2028, si andrà in pensione più tardi rispetto a oggi, tanto che l’età effettiva di pensionamento, che lo scorso anno è stata di poco inferiore ai 65 anni, è destinata ad aumentare.

Le ragioni per cui si parla di andare in pensione più tardi sono diverse: si va dalla cancellazione delle misure di flessibilità che in questi anni hanno rappresentato un’alternativa alla legge Fornero per una platea - seppur ridotta - di lavoratori, ossia Quota 103 e Opzione Donna, all’adeguamento tra requisiti di pensionamento e aspettative di vita che scatterà nel 2027 con un ulteriore scatto nel 2028.

D’altronde è come avevamo già anticipato: dobbiamo prepararci al fatto che le pensioni come le conosciamo non esisteranno più, visto che più si andrà avanti negli anni e più l’età pensionabile è destinata ad aumentare.

Addio pensione a 67 anni in legge di Bilancio

La legge di Bilancio 2026 conferma ciò che da mesi era nell’aria: dal 1° gennaio 2027 l’età pensionabile tornerà ad aumentare, rendendo ormai superata la soglia dei 67 anni che per anni - dal 2019 per l’esattezza - ha rappresentato il punto fisso del sistema previdenziale italiano.

Il meccanismo di adeguamento alla speranza di vita produrrà un incremento graduale dei requisiti: un primo scatto di un mese nel 2027, seguito da altri due mesi nel 2028. Questo significa che la pensione di vecchiaia, oggi accessibile a 67 anni, richiederà 67 anni e 1 mese nel 2027 e 67 anni e 3 mesi dal 2028, mentre anche la pensione anticipata subirà un innalzamento dei contributi necessari rispetto agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.

La manovra prevede una tutela parziale solo per chi svolge mansioni gravose o usuranti, categorie individuate dal decreto legislativo 67/2011 e dall’Allegato B della legge di Bilancio 2018, che comprendono, ad esempio, infermieri, maestre d’infanzia, operai edili, autisti di mezzi pesanti, addetti alle pulizie, turnisti notturni e lavoratori alla catena di montaggio. Per questi lavoratori l’aumento legato alla speranza di vita non si applicherà, ma solo se ricorrono condizioni precise, come aver svolto tali attività per almeno sette anni negli ultimi dieci (o sei negli ultimi sette) e avere maturato non meno di trent’anni di contributi. Chi non soddisfa tali requisiti sarà esposto allo stesso incremento previsto per tutti gli altri.

Questa esclusione, però, nasconde un paradosso. Per gli stessi lavoratori gravosi e usuranti, infatti, dal 2027 viene meno la deroga che consentiva di accedere alla pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi, anziché 67 anni, a fronte di almeno 30 anni di contributi. Era una tutela prevista dal decreto legislativo 67/2011 e ribadita da diverse circolari Inps, che non viene rinnovata dalla manovra. Di conseguenza, anche chi svolge le attività più faticose vedrà aumentare il proprio requisito anagrafico, passando da 66 anni e 7 mesi a 67 anni, cioè 5 mesi in più, pur restando escluso dall’ulteriore scatto di un mese che nel 2027 interesserà la generalità dei lavoratori. Nella sostanza, l’incremento che colpirà questa categoria sarà più pesante di quello previsto per gli altri.

Un trattamento differenziato riguarda invece il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco, per i quali è previsto un ulteriore aumento di 3 mesi nei requisiti di accesso alla pensione a partire dal 2027, andando così ad aggiungersi agli incrementi generali determinati dall’adeguamento alla speranza di vita.

In questo scenario, l’unico strumento di flessibilità che rimarrà in vigore nel 2026 sarà l’Ape Sociale, confermata con gli stessi requisiti e lo stesso importo: accesso a partire da 63 anni e 5 mesi con almeno 30 anni di contributi, o 36 per chi svolge lavori gravosi, e appartenenza a una delle categorie tutelate come disoccupati di lunga durata, caregiver, invalidi civili con almeno il 74% di invalidità o addetti a mansioni particolarmente pesanti. L’indennità continuerà a essere erogata fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia, con un massimo di 1.500 euro lordi mensili senza tredicesima.

Al contrario, dal 1° gennaio 2026 usciranno definitivamente di scena sia Quota 103, che consentiva il pensionamento con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi, che Opzione Donna, che permetteva l’uscita anticipata con 35 anni di contributi e un’età di almeno 61 anni, riducibile in presenza di figli. La loro mancata proroga segna un ritorno rigido alle regole strutturali del sistema, in un contesto in cui l’età effettiva di pensionamento è destinata a salire ulteriormente.

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