In settimana Mes, riunione Bce, Consiglio UE e ok ai vaccini: una tempesta perfetta per l’Italia

Mauro Bottarelli

5 Dicembre 2020 - 13:00

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L’Italia sta per entrare in una tempesta perfetta: in settimana si attende il Mes in aula, la riunione della Bce, il Consiglio europeo sul Recovery Fund e la Fda sull’ok ai vaccini. Un potenziale catalizzatore di mercato enorme.

In settimana Mes, riunione Bce, Consiglio UE e ok ai vaccini: una tempesta perfetta per l’Italia

Parte il conto alla rovescia per l’Italia. Ciò a cui stiamo assistendo, quasi fosse un rito laico e tragico nella sua ironica versione di farsa, è una composta quanto dissimulata consapevolezza dell’ineluttabilità.

Da giorni, questo Paese vive unicamente in punta di un dibattito: quante persone potremo invitare al pranzo di Natale? E al veglione di Capodanno? Ma, soprattutto, potrò spostarmi in un altro comune per santificare le feste? Problemi esiziali, sicuramente. O, quantomeno, utili a nascondere la reale natura del countdown in stile Suburra che sta scandendo la discesa sempre più veloce della sabbia nella clessidra.

Fra il 9 e l’11 dicembre, infatti, l’Italia capirà molto di se stessa e del proprio destino. Potrà uscirne più forte. O dovrà arrendersi. Entro mercoledì prossimo, infatti, Giuseppe Conte riferirà in Parlamento rispetto alle determinazioni con cui il Paese si presenterà il giorno successivo al Consiglio Europeo: comunicazioni e poi voto sulle mozioni. Il Movimento 5 Stelle, di fatto la forza politica di riferimento del premier, si presenta a quell’appuntamento diviso: una nutrita fronda interna ha già detto che o si traccerà un tratto di penna sul via libera alla riforma del Mes (riforma, non attivazione) oppure è pronta alle barricate in Aula. Tradotto, rischio per l’esecutivo di andare platealmente sotto e presentarsi come un’anatra zoppa all’appuntamento di Bruxelles, dove in discussione ci sono i mitologici 209 miliardi del Recovery Fund. I quali, quantomeno nella forma manzonianamente alluvionale a cui la retorica governativa ci ha abituato dallo scorso giugno, in realtà non arriveranno mai.

Ma anche qui, si ricama per rendere esteticamente più gradevole l’ineluttabile: già circolano liste di manager e super-esperti per gestire quella messe di denaro, destinata a tramutare l’Italia in una Svizzera del Terzo Millennio con un colpo di bacchetta magica. Si scherza con il boia, in attesa che faccia il suo lavoro. E per esorcizzare la paura. Altrimenti, perché sfidare lo stigma e chiedere la cancellazione del debito alla Bce?

Il giorno seguente, poi, l’attesa non sarà solo per il Consiglio Europeo, nato già sotto una cattiva stella a causa del veto di Ungheria e Polonia sul Budget che minaccia di bloccare i lavori e che ha spinto Angela Merkel ad azzardare l’ipotesi di una prosecuzione a 25, un vulnus che distruggere de facto la credibilità dell’Unione. Giovedì, mentre i leader cercheranno un’intesa, a Francoforte una sempre più indebolita Christine Lagarde proverà a convincere i mercati rispetto all’efficacia del nuovo bazooka che la Bce intende mettere in campo per contrastare il rischio di una seconda recessione da pandemia nell’eurozona, in attesa del vaccino di massa. Di per sé, già opera titanica, stante la potenza di fuoco sfoderata finora e le opzioni rimaste a disposizione. Ma non basta.

Nelle stesso giorno, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense sarà chiamata proprio e dare il via libera all’utilizzo dei vaccini che hanno presentato domanda di somministrazione emergenziale. Di fatto, il driver di tutti i driver di mercato. Perché se si accenderà la luce verde, la prezzatura sarà quella verso una normalizzazione degli outlook macro. Se invece il semaforo resterà rosso o prenderà tempo, lampeggiando in giallo, il castello di scommesse long di questi giorni rischia di precipitare. Ma attenzione, vale anche il ragionamento opposto: se Pfizer e Moderna potranno cominciare commercializzazione, distribuzione e somministrazione, il mercato fattorizzerà anche altro: il lento ma graduale ritiro delle misure di stimolo anti-pandemico della Fed. Anche alla luce del dialogo riannodato fra Democratici e Repubblicani al Congresso sul rinnovo del pacchetto di stimolo federale, in attesa che la Georgia decida di quale colore sarà il Senato Usa. Di converso, una bocciatura e una messa in stand-by del processo di normalizzazione sanitaria offrirà speranza per una prosecuzione del regime di doping monetario: cosa sperare, insomma?

Il mercato, paradossalmente, è chiamato a razionalizzare le sue scelte in tempo reale, dopo trimestri interi di reazioni pavloviane.

Fonte: Bloomberg

Questo grafico, ad esempio, mostra la reazione degli indici Usa all’annuncio di Pfizer di dimezzamento delle dosi di vaccino disponibili per il 2020, a causa di problemi sulla catena di fornitura. Tonfo. Digerito in tempo record dall’Asia e pressoché ignorato dall’Europa ieri mattina: ma se fosse la FDA a mettere un freno ufficiale alle speranze e non l’ennesimo annuncio di parte, cosa accadrà, alla luce dei numeri sempre peggiori degli Usa?

Il giorno successivo, 11 dicembre, giornata formalmente conclusiva del Consiglio Europeo. E reazione dei mercati, nell’ultima seduta delle settimana, proprio alle decisioni della Bce e sui vaccini. Ma con un occhio già puntato al Comitato monetario della Fed che si riunirà il 15 e 16 dicembre.

Praticamente, la tempesta perfetta. A cui l’Italia si approssima con animo appesantito e irritato per il Natale a numero chiuso e il Capodanno a rischio di irruzione di una squadra speciale dei Nocs per eccesso di partecipanti alle danze. Finora, d’altronde, la Bce ha tolto al nostro Paese tutte le castagne dal fuoco. Ha calmierato lo spread, a prescindere da quali fossero le risposte politiche o economiche del governo alla crisi, a prescindere dai dati macro e dai conti pubblici. A prescindere da tutto: Francoforte ha alzato lo scudo, come farebbe un supereroe dei fumetti. E la realtà ci ha sbattuto contro, rimbalzando lontano. Ma non sufficientemente distante da essere ritenuta uno scampato pericolo. Nel mondo anglosassone, un atteggiamento come quello che ha preso il controllo del Paese in questi giorni viene definito last hurrah: ovvero, godiamoci il momento, visto che la resa dei conti è dietro l’angolo.

L’Italia pare attendere l’ineluttabile con spirito leggero da personaggio di Simenon, un misto fra il rassegnato che mostra al destino un sorriso beffardo di sfida e l’inconsapevole che si aspetta una multa e si ritrova invece alla sbarra di un processo in piena regola. Magari, quella tre giorni da incubo, quel trittico da tempesta perfetta, si concluderà per il meglio. Grillini che si ricompattano in Aula e governo salvo. Bce che mette mano alla «cassetta degli attrezzi» e stupisce tutti. Fda che benedice i vaccini, mercato che approva e consolida un altro rally. Consiglio Europeo che redime l’asse polacco-ungarico. E, magari, pone anche le basi per un ammorbidimento delle condizioni del Brexit. Può essere, certo. E quasi sicuramente sarà così.

Ma se così non fosse, come si sveglierà il mattino dopo l’Italia? Sotto quale cielo di pioggia torrenziale e incessante? Cosa faremo, se tutto andrà male? Se lo spread tornerà a salire, nonostante il backstop della Bce. Se si arrivasse all’extrema ratio accarezzata nel 2011 da Giulio Tremonti, ovvero chiudere Piazza Affari per evitare tracolli, a fronte di una tensione sul comparto bancario che in certe stanze è già oggi palpabile. Quasi febbrile.

E se per caso, nonostante gli sforzi già messi in campo e quelli che verranno a breve, la Bce non riuscisse a fermare la corsa di un euro già sopra quota 1,22 sul dollaro: su quali basi si poggerà a quel punto la ripartenza post-pandemia che i vaccini dovrebbero lastricare, fattorizzando ex ante un export azzoppato, come mostrano i grafici seguenti?

Fonte: Bloomberg/Zerohedge

Fonte: Goldman Sachs/Market/Haver

Cosa farà il governo italiano per rispondere alla sfida, dopo mesi di mimetizzazione fra il fogliame dall’emergenza Covid e impegnato solo nel tracciare i confini e i colori delle zone, come in un immaginario Risiko sanitario?

E il problema reale, paradossalmente, non risiede nemmeno nelle conseguenze dirette di quell’incastrarsi diabolico di eventi: quale fosse il destino del nostro debito, una volta sfondata la soglia psicologica del 150% sul Pil, era noto. Da subito. Ristrutturazione, a colpi di abbassamenti forzati e condizionati dello stock. Non a caso, ai box Mario Draghi pare in fase di completamento del suo stretching pre-agonistico.

Il problema è il livello di impreparazione e inconsapevolezza alla durezza della realtà che attraversa e pervade il Paese: quando a marzo terminerà il blocco dei licenziamenti - non più prorogabile per ragioni di cassa, le quali a quel punto non potranno più essere nascoste sotto il tappeto della partita di giro con i fondi SURE -, il Paese capirà davvero quale sia la diagnosi del suo male. E potrebbe farlo di colpo, una mattina, dopo il caffè e prima di stendere la schiuma da barba sul viso. Rendendosi conto, mentre si affaccia alla finestra per vedere che tempo fa, di come sia arrivata l’Apocalisse. Senza bisogno di autocertificazione.

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