Regime dei minimi: il Governo vuole aumentare l’aliquota, ma potrebbe essere incostituzionale. Ecco perché

Vittoria Patanè

6 Ottobre 2014 - 13:58

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Il Governo vuole modificare il regime dei minimi, aumentando l’aliquota dal 5 al 15%, ma l’ipotesi potrebbe violare la Costituzione. Ecco perché

Regime dei minimi: il Governo vuole aumentare l’aliquota, ma potrebbe essere incostituzionale. Ecco perché

Il regime dei minimi è regime fiscale agevolato introdotto dalla legge 244 del 24 dicembre 2007(e successivamente modificato), che prevede dei vantaggi fiscali per i contribuenti che, in possesso dei requisiti richiesti (incassi inferiori a 30mila euro, nessuna spesa per lavoratori dipendenti o collaboratori, nessun pagamento sotto forma di utili da partecipazione agli associati con apporto di solo lavoro, ecc.) vi aderiscono.

Regime di minimi, aumenta l’aliquota
La normativa attuale prevede che aprendo la partita IVA con il regime dei minimi, a fine anno si dovrà versare un’imposta sostitutiva pari al 5% del reddito, anziché applicare l’IRAP (3,90%) e l’Irpef agli scaglioni di reddito.

Secondo le ultime indiscrezioni, il Governo starebbe pensando di modificare i parametri del regime dei minimi che nel corso degli ultimi anni ha consentito a molti giovani di aprire una partita Iva usufruendo delle agevolazioni previste dalla legge.
La volontà dell’esecutivo sarebbe di:
aumentare l’aliquota dal 5 al 15%,
- innalzare la soglia dei ricavi da 30mila a 55mila euro,
- ampliare il periodo di copertura da cinque a dieci anni.

Nessuna modifica è invece prevista per l’esenzione Irap e Iva e l’esclusione dagli studi di settore.

Regime dei minimi: aumento incostituzionale?
Ma l’ipotesi attualmente sotto studio, come previsto, ha mandato su tutte le furie parecchie persone. A dire la sua sulla questione è intervenuta l’Acta, Associazione dei Consulenti del Terziario Avanzato, che ha messo in luce diverse problematiche: l’impossibilità di detrarre l’Iva sugli acquisti, la non applicabilità delle detrazioni Irpef per il lavoro autonomo e, in ultimo, la mancata possibilità di detrarre gli interessi sui mutui, le spese mediche e altri oneri come i figli a carico.

Ma l’Acta non si ferma qui. Secondo l’associazione infatti, l’ipotesi attualmente al vaglio del Governo andrebbe contro i principi di equità contenuti all’interno della Costituzione italiana. Insomma le modifiche sarebbero incostituzionali perché:

«il nuovo regime dei minimi è estremamente svantaggioso per chi ha un imponibile sotto i 15mila euro, mentre il vantaggio sarebbe innegabile sopra i 30mila euro e consistente sopra i 40-45mila euro di imponibile».

Il risultato sarebbe un accentuazione del carattere regressivo che non rispetterebbe l’articolo 53 della Costituzione, secondo il quale:

«il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Il rischio è quello di penalizzare proprio i più giovani e cioè coloro cui il regime dei minimi sarebbe destinato. Una vera e propria discriminazione anagrafica che non può essere tollerata.

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