Materie prime: dove puntare (e dove no) verso la fine del 2017

Redazione

18/09/2017

21/11/2017 - 12:15

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Giancarlo Dall’Aglio, trader specializzato in materie prime, ci racconta l’andamento del settore tra petrolio, graminacee e caffè, e individua le migliori opportunità verso la fine dell’anno. Possibili sorprese positive dal succo d’arancia.

Materie prime: dove puntare (e dove no) verso la fine del 2017

Money.it ha incontrato Giancarlo Dall’Aglio, un trader ad alta specializzazione in materie prime e fondatore di CommoditiesTrading.it. Durante l’intervista, in occasione dell’evento Investing Roma 2017, Dall’Aglio racconta le prospettive per le commodities verso la fine del 2017 e individua quali sono gli asset migliori, secondo le sue analisi, su cui poter puntare.

Il succo d’arancia cela delle importanti opportunità, mentre il caffè continuerò a deludere. Focus inoltre sul petrolio e sulle granaglie (grano, mais e soia), che hanno performato tutte al ribasso.

Può farci una panoramica generale del mercato delle materie prime al momento?

Il focus attuale è sui tassi in generale. L’indice generale delle commodities non è andato benissimo nel 2017, soprattutto nel periodo di forza del dollaro. Sembra ci sia una pausa della Fed nella normalizzazione dei tassi, ciò ha permesso al dollaro di deprezzarsi. Alcuni asset hanno quindi cominciato a performare adesso.
L’altra faccia della medaglia è la BCE che dovrà necessariamente prima o poi iniziare il tapering, tanto invocato dalla Germania. Lì ci sono due forze contrapposte, da una parte i falchi tedeschi, che vorrebbero l’interruzione immediata di questa stampa di moneta; dall’altra parte c’è chi ha timore che un eccessivo apprezzamento dell’euro possa danneggiare le stesse major tedesche e francesi.
Sul settore delle agricole abbiamo avuto per il terzo anno consecutivo una stagione perfetta a livello di raccolti. Il tutto si è poi riversato sulle quotazioni.

Fra le materie prime, quale preferisce di più ad oggi?

Le granaglie hanno performato tutte a ribasso, soprattutto da giugno in poi, quando sono usciti i primi dati sulla resa per acro di grano, mais e soia. L’ultimo report, quello del 12 settembre, ha invece evidenziato per il mais e per la soia un nulla di fatto.

Rese per acro piuttosto alte e riviste al rialzo per il mais significano raccolti abbondanti e resa ottima. I prezzi sono quindi nella parte bassa del range.
Per la soia probabilmente vedremo dei rimbalzi a ottobre perché si comincerà a vedere il raccolto del Sud America. Argentina e Brasile sono infatti importanti attori di mercato.
Sul grano abbiamo già avuto nei giorni scorsi un tentativo di rimbalzo dopo i test in area 425.

Per quanto riguarda il settore energetico abbiamo il petrolio, che è sempre fra due forze. L’Opec è un ente ormai difficile da gestire perché nonostante i tagli voluti dall’Arabia Saudita ci sono quattro Paesi (Iran, Iraq, Libia e Nigeria) esentati da questi tagli, i quali continuano a produrre più di quanto l’Arabia Saudita vorrebbe. Quest’ultima vive il problema dell’emissione negli ultimi due anni di debito pubblico e della discesa sotto quota 500 miliardi delle scorte valutarie strategiche. Questo naturalmente perché sono mancati gli introiti che vi erano in passato da un petrolio sopra i 100 dollari. Difficilmente potremmo tornare a un valore sopra i 60 dollari nel breve termine, soprattutto perché le scorte statunitensi sono ancora molto ampie, circa 475 milioni. Inoltre verrà meno nell’ultimo trimestre la domanda forte estiva guidata dalla driving season che aumenta i consumi di benzina.

L’idea è quella che il prezzo possa rimanere fra i 40 e i 55 dollari, come aveva anche dichiarato il principe saudita un paio di mesi fa. Due valori che sono stati toccati entrambi nel 2017. L’idea per l’ultimo trimestre è che si possa andare più verso la parte bassa del range, piuttosto che andare a toccare o sforare la parte alta, a meno che non subentrino delle novità importanti a livello strutturale.

Da qui alla fine dell’anno, se dovessimo individuare una materia prima su cui puntare al rialzo, quale sarebbe?

Personalmente mi piace la configurazione assunta dal succo d’arancia (che è stato uno dei peggiori investimenti del primo semestre 2017, ndr), che è una materia prima molto di nicchia, ma che per prima cosa ha subito danni dall’uragano Irma, l’ultimo che ha colpito la Florida. La maggior parte degli aranceti sono in questo Stato. Non sono stati ancora contati i danni, probabilmente il mercato ha cominciato ad apprezzare in eccesso questo tipo di situazione, ma in caso di danni, questi sarebbero di durata lunga perché ci vorranno 5-7 anni prima che gli arbusti riprendano la loro efficienza. Indipendentemente da questo fatto, il prezzo del succo d’arancia tende a salire da fine ottobre sino alla fine dell’anno perché si dà un premio a rischio per le possibili gelate che potrebbero colpire la Florida e che potrebbero danneggiare i campi. Quindi questa potrebbe essere una materia prima su cui puntare al rialzo.

Il caffè è invece una materia prima su cui puntare al ribasso perché ha un raccolto molto abbondante per il 2017-2018, e si pensa a un raccolto altrettanto abbondante per l’anno successivo perché sarà un anno in cui le piantagioni dovrebbero avere una resa maggiore visti i cicli biennali di resa che hanno questo tipo di coltivazioni.

Domanda più personale: da dove viene questa volontà e passione per il trading sulle materie prime?

Questa specializzazione nasce dall’esigenza di avere un vantaggio competitivo rispetto ad altri settori di mercato e rispetto naturalmente agli operatori istituzionali, che come si sa hanno informazioni riservate o comunque informazioni che gli arrivano prima rispetto ai privati e inoltre muovono somme di denaro maggiori. Le materie prime si possono studiare individuandone la domanda e l’offerta. Rimangono l’unico e l’ultimo asset dove domanda e offerta hanno ancora un valore nel medio periodo. Ovviamente non parliamo di intraday, ma di 3-6 mesi di periodo. Questo è il motivo principale per cui mi sono negli anni concentrato su questo settore che è più veritiero e più tangibile rispetto all’azionario, al valutario e all’obbligazionario, che invece sono guidati soprattutto dalle politiche monetarie delle banche centrali.

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