Gli stipendi degli italiani sono i più bassi d’Europa: -30% rispetto ai tedeschi

Sara Nicosia

13/09/2019

13/09/2019 - 17:09

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Gli stipendi italiani sono i più bassi d’Europa e circa il 52% degli appartenenti al ceto medio fatica ad arrivare a fine mese. Il lavoro diventa epicentro dell’insoddisfazione e l’Europa è uno sconosciuto di cui dubitare.

Gli stipendi degli italiani sono i più bassi d’Europa: -30% rispetto ai tedeschi

Stipendi bassi, incertezza sul futuro lavorativo ed economico, a cui si affianca lo spettro dell’immigrazione. Ecco l’istantanea di un popolo a cui tocca un primato davvero poco lusinghiero: gli italiani rimangono i più pessimisti d’Europa.

Costantemente preoccupati per i figli, per il futuro e per un portafogli sempre più sottile. Questo quanto emerge dal rapporto sui consumi e le spese familiari pubblicato da Coop che, impietosamente, restituisce il perfetto ritratto di un’Italia impaurita, e forse più di tutto stanca.
Stanca perché, senza troppe sorprese, vede gli italiani lavorare qualcosa come 360 ore in più all’anno rispetto agli amici tedeschi ma, oltre al danno la beffa, continuando a guadagnare molto meno.

In Italia gli stipendi sono più bassi di almeno il 30% rispetto alla vicina Germania e, nonostante un aumento costante registrato negli ultimi 5 anni, il nostro è l’unico Paese, affiancato dalla Spagna che dalla sua però ben altra vitalità economica, in cui le buste paga continuano ad alleggerirsi senza riuscire mai a tornare ai livelli pre-crisi.

Stipendi bassi e timori alle stelle

Se gli italiani hanno dei timori, dei dubbi circa lo stato presente e futuro del portafoglio familiare, i dati purtroppo non possono che confermare. Nel 2018, dopo 5 anni di aumenti moderati e decisamente più contenuti rispetto al resto d’Europa, la spesa media delle famiglie italiane si arrestata.

E come segnala il rapporto Coop, anche la prima metà del 2019 si porta dietro i segni di questa contrazione economica che potrebbe forse vedere un spiraglio di luce, a seguito del repentino cambio di governo, a partire dal 2020.

Gli italiani, piccole formichine, non spendono più del necessario e non amano gettarsi negli investimenti. Il lavoro sembra essere l’epicentro da cui scaturisce tutta la frustrazione nei confronti di un sistema bloccato e insoddisfacente.

Dargli torto è difficile, un popolo di stacanovisti che lavora qualitativamente al pari degli altri Paesi europei, e addirittura di più dei compagni in Nord Europa, ma continuando a percepire stipendi più bassi che portano inevitabilmente verso una generale insoddisfazione.

Risultato? Non solo siamo il popolo più pessimista, ma anche quello con la maggior produttività negativa. Troppe nel nostro sistema le direzioni che portano dritte all’insoddisfazione.

Il 66% dei lavoratori part time aspira all’indeterminato (circa il 50% in più che in Germania), mentre il 32% si dice lontano dal raggiungere il tanto ambito equilibrio fra lavoro e vita privata, contro la media europea del 20% scarso.

E come se non bastasse, coloro che istintivamente si collocano ancora nel ceto medio (circa 1 italiano su 2), svuotatosi e deterioratosi negli ultimi dieci anni, afferma di faticare ad arrivare a fine mese nel 52% dei casi.

Il pessimismo verso l’Europa e la volontà green

L’immobilismo economico, degli stipendi e la frustrazione lavorativa, finiscono per restituire una visione monocolore che non trova eguali in Europa. Paura per il futuro, per quello dei figli e paura dell’altro si mescolano.

Anche l’opinione distorta sull’immigrazione accresce i dubbi verso l’Europa, facendo dell’Italia un paese pieno di sentimenti nazionalistici confusi nei confronti delle minoranze.

Ma un piccolo spiraglio di luce c’è. Italiani, popoli di pessimisti e sfiduciati verso se stessi e verso l’Europa, vede nascere intorno alle tematiche green un certo fermento. Una coscienza collettiva che pare svegliarsi unita nella lotta alla salvaguardia del pianeta.

Abitazioni ecosostenibili, auto elettriche, vestiti e cosmesi bio e a impatto zero, tra i sogni più feroci degli italiani. Uniti anche nell’idea che un supplemento sui prodotti di plastica monouso, tipicamente usati nel comparto alimentare, meritino un sovrapprezzo che ne disincentivi l’acquisto.

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