Busta paga, come cambia dall’1 gennaio 2026 e per chi

Simone Micocci

12 Dicembre 2025 - 18:00

Cambiano le buste paga: da gennaio 2026 entrano in vigore diverse novità che aumentano lo stipendio netto.

Busta paga, come cambia dall’1 gennaio 2026 e per chi

Dal 1° gennaio 2026 cambia la busta paga dei lavoratori dipendenti.

La legge di Bilancio interviene infatti su alcuni dei meccanismi chiave che trasformano lo stipendio lordo in netto, modificando il peso delle imposte e il modo in cui vengono tassate alcune voci della retribuzione. Ma non dobbiamo pensare a una riforma strutturale del sistema, in quanto si tratta di una serie di aggiustamenti mirati che, nel loro insieme, sono destinati a produrre effetti tangibili sullo stipendio mensile di milioni di lavoratori.

È vero che il testo della manovra è ancora all’esame del Parlamento, ma l’impianto generale appare ormai definito e difficilmente verrà stravolto nel passaggio finale. Il taglio dell’Irpef resta confermato, così come l’estensione della flat tax su alcune componenti del salario accessorio. Due interventi che vanno letti insieme, perché agiscono su piani diversi: da un lato l’imposta sul reddito complessivo, dall’altro la tassazione agevolata di straordinari, turni, lavoro notturno e festivo.

In questo contesto diventa utile fermarsi e fare ordine. Capire come cambiano le regole per la busta paga dal 2026 significa sapere in anticipo cosa aspettarsi a fine mese, chi potrà beneficiare di un aumento del netto e chi, invece, vedrà effetti più limitati o nulli. Non tutti i lavoratori, infatti, saranno coinvolti allo stesso modo: molto dipenderà dal livello di reddito, dal contratto applicato e dalla presenza di voci accessorie dello stipendio.

D’altronde, da sempre insistiamo su un punto: conoscere il funzionamento della propria busta paga è fondamentale. Solo comprendendo come si passa dal lordo al netto è possibile valutare se gli interventi annunciati producono un reale vantaggio, come pure si possono individuare eventuali errori. Ed è proprio con questo obiettivo che, nei prossimi paragrafi, vedremo nel dettaglio come cambia la busta paga dal 1° gennaio 2026 e per quali lavoratori le novità saranno davvero visibili.

Come funziona il taglio dell’Irpef e come cambia lo stipendio

Dal 1° gennaio 2026 la seconda aliquota Irpef scende dal 35% al 33%. È una delle principali novità della legge di Bilancio e incide direttamente sul calcolo dello stipendio netto, perché riduce l’imposta dovuta sulla parte di reddito compresa nel secondo scaglione.

Il beneficio riguarda soprattutto i lavoratori con redditi medio-bassi e medi. Sotto i 28.000 euro lordi annui non cambia nulla, perché la seconda aliquota non si applica. Superata questa soglia, invece, il vantaggio cresce progressivamente fino a stabilizzarsi per i redditi pari o superiori a 50.000 euro. Oltre i 200.000 euro complessivi, però, la riduzione delle detrazioni da lavoro dipendente annulla di fatto il beneficio del taglio Irpef.

Va ricordato che la riduzione dell’aliquota non si applica sull’intero stipendio lordo, ma sull’imponibile fiscale, cioè sul reddito al netto dei contributi previdenziali a carico del lavoratore. Questo significa che il risparmio reale è più contenuto rispetto a quanto possa sembrare a prima vista.

In busta paga l’effetto si traduce in un aumento mensile che va da pochi euro per chi supera di poco i 28.000 euro, fino a circa 35-40 euro al mese per i redditi più elevati all’interno della fascia interessata. L’adeguamento scatterà automaticamente con le buste paga di gennaio 2026; eventuali ritardi tecnici verranno recuperati nei mesi successivi tramite arretrati.

La flat tax sul salario accessorio

Accanto al taglio dell’Irpef, la legge di Bilancio 2026 introduce una nuova agevolazione fiscale che riguarda il salario accessorio. È una misura meno incisiva rispetto alla riduzione delle aliquote Irpef, ma comunque rilevante perché interviene su voci di stipendio che, finora, venivano tassate integralmente secondo le aliquote ordinarie.

La novità prevede l’applicazione di una flat tax del 15% su alcune componenti della retribuzione che si aggiungono allo stipendio base. Rientrano in questa categoria le maggiorazioni per il lavoro notturno, quello svolto nei giorni festivi e le indennità legate al lavoro a turni.

Si tratta di un’imposta sostitutiva che prende il posto dell’Irpef ordinaria e delle addizionali regionali e comunali, entro un tetto massimo di 1.500 euro annui di compensi agevolabili. Il lavoratore può rinunciarvi, ma nella maggior parte dei casi la convenienza è evidente. L’accesso alla misura è però limitato a chi nel 2025 ha percepito un reddito complessivo non superiore a 40.000 euro.

Dal punto di vista pratico, il vantaggio sta nel fatto che queste somme, invece di essere tassate al 23%, al 33% o alle aliquote superiori, vengono colpite da un’imposta secca più bassa. Il risultato è un aumento del netto in busta paga che cresce al crescere dello scaglione Irpef di appartenenza.

Per i dipendenti pubblici la disciplina della flat tax sul salario accessorio presenta alcune differenze rilevanti rispetto a quella prevista per il settore privato. La legge di Bilancio 2026 include infatti anche i compensi per lavoro straordinario tra le voci agevolabili, riconoscendo il peso strutturale che queste prestazioni aggiuntive hanno in molti comparti della Pubblica amministrazione.

Il perimetro dell’agevolazione è però più ristretto. Per i dipendenti pubblici la flat tax del 15% si applica entro un tetto massimo di 800 euro annui di compensi accessori e solo a condizione che il reddito complessivo da lavoro dipendente non superi i 50.000 euro.

La detassazione degli aumenti riconosciuti dai rinnovi contrattuali

Tra le misure più significative della legge di Bilancio 2026 figura anche la detassazione degli aumenti salariali previsti dai rinnovi contrattuali sottoscritti nel 2025 e nel 2026. L’obiettivo è duplice: da un lato agevolare la chiusura dei contratti collettivi, dall’altro fare in modo che gli aumenti concordati producano un effetto maggiore sullo stipendio netto dei lavoratori.

Per tutto il 2026, sugli incrementi retributivi riconosciuti in applicazione dei rinnovi contrattuali si applicherà un’imposta sostitutiva del 5%, che prende il posto dell’Irpef e delle addizionali sulla sola quota di aumento. I contributi previdenziali restano invece dovuti secondo le regole ordinarie. La misura riguarda esclusivamente i lavoratori del settore privato con un reddito da lavoro dipendente non superiore a 28.000 euro annui.

Dal punto di vista pratico, questo significa che l’aumento contrattuale non viene tassato con l’aliquota ordinaria del 23%, ma con una flat tax molto più bassa. Il vantaggio netto è rilevante: nella fascia di reddito interessata, il risparmio fiscale equivale a circa il 18% dell’aumento lordo, rendendo l’incremento in busta paga sensibilmente più elevato rispetto al passato.

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