Ecco i 4 segnali che ci dicono che una nuova crisi finanziaria nell’Eurozona è vicina secondo il Financial Times.
Mario Draghi ha fallito sull’inflazione, l’Eurozona è invasa da titoli tossici. Per Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times, ciò a cui abbiamo assistito la settimana scorsa è il ritorno della crisi finanziaria in Europa.
Ci sono 4 segnali che i mercati ci stanno mandando per indicare una nuova imminente crisi finanziaria dell’Eurozona.
La disfatta dei mercati finanziari europei della scorsa settimana è stata un evento spartiacque. Ciò a cui abbiamo assistito non è stato solo l’inizio di un mercato di azioni al ribasso o il presagio di una futura recessione. Quello che abbiamo visto, almeno qui in Europa, è il ritorno della crisi finanziaria.
La versione 2.0 della crisi nell’Eurozona per certi aspetti potrebbe sembrare meno grave, ma per altri perfino peggiore della precedente. I rendimenti dei titoli non sono abbastanza alti come lo erano allora. L’Eurozona adesso è meno indebitata e dispone di un “ombrello di salvataggio”, anche perché le banche oggi possono fare meno leva finanziaria.
Ma il sistema non è stato del tutto risanato, anzi. Ovunque ci sono istituti di credito in cattive condizioni e, a differenza del 2010, ci troviamo in un contesto deflazionistico. La BCE manca il suo target di inflazione da quattro anni ed è molto probabile che sarà così per anni.
Crisi dell’Eurozona: i 4 segnali dai mercati
1) L’interazione tra banche e titoli di Stato
Il primo e più importante segnale riguarda l’interazione tra banche e titoli di Stato, gemelli tossici: il crollo dei titoli bancari la scorsa settimana è coinciso con l’aumento del rendimento dei buoni del Tesoro dei paesi periferici dell’euro. Lo schema è analogo a quello del biennio 2010-2012. La combinazione tra rendimenti elevati dei bond pubblici, politiche di bilancio espansive, elevato debito pubblico e privato e crescita economica lenta è chiaramente insostenibile.
I rendimenti dei titoli di Stato non hanno ancora raggiunto gli stessi picchi, anche quelli del Portogallo in 10 anni sono circa al 4%.
La situazione dell’Italia potrebbe essere migliore di quella del Portogallo, ma resta comunque fragile. I rendimenti dell’Italia in 10 anni sono saliti superando l’1,7%; quelli tedeschi lo 0,2%.
I mercati finanziari ci stanno dicendo che stanno perdendo fiducia nell’impegno di Mario Draghi a “fare tutto il possibile per difendere gli Stati membri della zona euro da un attacco speculativo”, come disse il presidente della Bce nel 2012.
2) Il fallimento dell’unione bancaria europea
Il secondo segnale è che l’unione bancaria europea è fallita: si è risolta, infatti, nel compromesso fallace di una supervisione e di un meccanismo di risoluzione congiunti ma senza un’assicurazione sui depositi.
Non è un caso che i prezzi delle azioni delle banche siano crollati nello stesso istante in cui è entrata in vigore la direttiva della Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) sul bail-in.
L’Italia ha applicato questa legge l’anno scorso nel piano di salvataggio di quattro istituti bancari regionali, causando perdite agli obbligazionisti. Gli investitori di altre banche temono che anche loro possano essere salvati.
Uno dei motivi per cui gli investitori di Deutsche Bank hanno iniziato a preoccuparsi la scorsa settimana è stata la grande quantità di prestiti condizionali obbligatoriamente convertibili emessi dalla banca. Se la banca dovesse avere problemi, questi sarebbero convertiti in azioni e sarebbero immediatamente cancellati da una procedura di risoluzione.
3) Obiettivo inflazione: mancato
Il terzo segnale ci dice che è che c’è stato un cambiamento permanente nelle aspettative di inflazione. La Bce sta prendendo seriamente le stime di mercato della futura inflazione. La sua misura preferita del tasso d’inflazione è un orizzonte di 5 anni da qui a 10 anni. Questa misura la scorsa settimana è scesa al minimo storico di poco più dell’1,4%. I mercati ormai ritengono che la Bce non conseguirà il suo obiettivo di inflazione neanche a lungo termine.
4) Il sistema bancario ormai obsoleto
I mercati temono tassi di interesse negativi perché la stragrande maggioranza delle 6000 banche europee hanno un sistema di risparmi e prestiti all’antica: depositano i risparmi e poi fanno i prestiti.
Le banche in teoria potrebbero imporre tassi negativi sui conti correnti, mettendo in fuga i risparmiatori, oppure spostarsi su investimenti più rischiosi: una prospettiva non certo rassicurante per gli azionisti, soprattutto se non vedono opportunità di credito e di investimento favorevoli.
Se ci guardiamo indietro, l’errore principale commesso dalle autorità europee è stato fallire nel 2008 per ripulire il sistema bancario dopo il collasso di Lehman Brothers.
Molti altri errori commessi in seguito, ovvero l’austerity, le numerose politiche economiche fallimentari della Bce e la mancata creazione di una vera e propria unione bancaria, hanno contribuito ad aggravare il problema.
In ultima analisi, è interessante notare come ognuna di queste decisioni sia stata il risultato della pressione esercitata dai policymaker tedeschi.
Fonte: Financial Times
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