Crescita, redistribuzione, equità: Innocenzo Cipolletta a Forexinfo.it

Simone Casavecchia

22 Maggio 2014 - 13:17

Una ripresa economica ancora esile che deve essere affiancata dalla semplificazione amministrativa e da una spesa pubblica che favorisca il welfare.

Crescita, redistribuzione, equità: Innocenzo Cipolletta a Forexinfo.it

Innocenzo Cipolletta (Roma, 1941) è attualmente presidente dell’Università di Trento, presidente di UBS Italia Sim e presidente di Aifi (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital). Nella sua carriera, dopo gli studi in Statistica a Roma, ha ricoperto ruoli di funzionario e di dirigente all’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e all’Isco (Istituto nazionale per lo studio della congiuntura). Come docente universitario ha insegnato all’Università la Sapienza di Roma, presso la Facoltà di Scienze Statistiche, alla Luiss - Guido Carli di Roma, alla Cesare Alfieri di Firenze e all’Università di Reggio Calabria.

È anche stato direttore generale di Confindustria dal 1990 al 2000, presidente della Marzotto S.p.A. (dal 2000 al 2003), del Sole 24 ORE (dal 2004 al 2007) e di Ferrovie dello Stato (dal 2006 al 2010).

Attualmente Innocenzo Cipolletta è anche consigliere di amministrazione della Fondazione Censis, della Fondazione Musica per Roma e della Fondazione Lars Magnus Ericsson. Partecipa, tra gli altri, ai comitati scientifici di “Economia Italiana”, della “Rivista di Politica Economica” e della “Fondazione del Nord Est”.

Tra le sue pubblicazioni: Congiuntura economica e previsione. Teoria e pratica dell’analisi congiunturale (Il Mulino, 1992); Banchieri, politici e militari (Laterza, 2010) e “In Italia paghiamo troppe tasse” Falso! (Laterza, 2014).

Buon giorno,
a pochi mesi dall’insediamento di un nuovo Governo, cominciano a trovare sempre più diffusione notizie relative all’inizio di una ripresa economica anche per l’Italia. C’è da dar credito a queste notizie?

Sì, penso che la ripresa sia iniziata anche in Italia dopo sei anni di dura recessione. È una ripresa ancora esile ed esitante, ma sono del parere che continuerà. La ripresa è stata favorita dalla crescita delle esportazioni, dalla fine del ciclo delle scorte (i magazzini di molte imprese si erano esauriti) e dalla liquidità immessa nel mercato con la decisione di pagare parte dei debiti arretrati dello Stato nel 2013.

I provvedimenti appena adottati dal Governo Renzi in materia fiscale e di mercato del lavoro, e quelli in fase di avviamento, come la riforma della PA, possono ritenersi delle misure apprezzabili?
Sicuramente il provvedimento degli 80 euro in busta paga è una misura importante sia per la ripresa che per la giustizia sociale. La recessione italiana è derivata tutta dal crollo della domanda interna causato dalla riduzione del reddito spendibile delle famiglie. Aver immesso reddito nelle tasche dei lavoratori sicuramente favorirà la domanda di consumo. E ciò tanto più che è stata giustamente scelta la via di concentrare gli aiuti fiscali sulle famiglie a basso reddito, ossia sulle famiglie che più hanno sofferto e che maggiormente spenderanno in consumi e non in risparmi il maggiore reddito. Per questo ritengo una tale misura anche un fattore di giustizia sociale. Le misure sul mercato del lavoro sono giuste ma metteranno tempo a produrre effetti positivi: infatti le imprese oggi hanno scarsa domanda e quindi non assumono perché non hanno lavoro a sufficienza per le persone che sono già occupate. Se la ripresa accelererà, come speriamo, allora anche queste misure saranno utili. Infine per la riforma della PA non ho ben capito qual è lo scopo. Se l’obiettivo è solo risparmiare qualche soldo o punire qualche approfittatore, credo che abbia vita breve e scarsi risultati. Invece avremmo bisogno di una riforma della PA che cambi gli obiettivi della macchina pubblica. Oggi tutta la struttura amministrativa è costruita per favorire le decisioni dei vertici, come era stata disegnata oltre 100 anni fa. Invece serve un’amministrazione rivolta ai cittadini: meno gente negli uffici e più gente negli sportelli e ai telefoni o ai PC per la gente e per le imprese.

Quali sono i settori che necessitano delle riforme più urgenti e dell’applicazione di nuove normative in Italia, al fine di portare l’Italia fuori dalla crisi?
Serve una vera semplificazione delle procedure pubbliche e un’amministrazione più aperta al pubblico, come ho appena detto. Poi certamente serve un fisco più interpretabile o almeno uffici che indirizzino cittadini e imprese nelle loro scelte. Una giustizia più celere con meno gradi di giudizio in campo civile. Occorre abolire il sistema delle prescrizioni in campo giudiziario perché sono uno dei fattori che allungano i processi: se ci sono termini di prescrizione anche dopo che un delitto è stato scoperto, allora gli avvocati difensori faranno di tutto per allungare il procedimento giocando sulla prescrizione e intasando così i tribunali. Con il risultato che la giustizia è lenta e i ricchi e potenti si salvano sempre. Vorrei poi vivere in un paese dove un condannato perda reputazione e sia evitato da chi ricopre cariche pubbliche o cariche rilevanti nel mondo delle imprese, come avviene nei paesi civili.

Nella sua carriera lavorativa Lei ha ricoperto ruoli di grande responsabilità anche in aziende chiave del nostro Paese. L’imminente privatizzazione di (una quota consistente di) colossi come Alitalia, Poste Italiane ed Enav è una scelta obbligata o una scelta strategica?
Penso che le privatizzazioni debbano procedere per una strategia e non per necessità. Non penso che tutto debba essere privatizzato. Ma penso che in molti servizi pubblici sia meglio che lo Stato diventi regolatore e difensore degli utenti/clienti, piuttosto che produttore e perciò protettore di chi lavora in quei servizi o interessato più agli utili che ai bisogni della gente.

Nel suo ultimo testo Lei ha confutato la tesi secondo cui noi italiani paghiamo troppe tasse. Può spiegare ai lettori di Forexinfo.it gli argomenti principali del suo libro?
In Italia il peso complessivo di tasse e contributi sociali rispetto al PIL è di poco superiore alla media dei principali paesi europei con cui ci confrontiamo. Inoltre, se si escludono i contributi sociali, che in realtà sono un risparmio forzoso, il peso delle tasse è simile alla media europea. Il Fondo Monetario Internazionale ha fatto confronti tenendo conto anche del PIL pro-capite e risulta che l’Italia sta leggermente sotto alla media. Con questo non voglio dire che paghiamo poche tasse e che dovremmo pagarne di più. Al contrario. In Italia ci sono già categorie che pagano troppe tasse: i lavoratori e le imprese. Ma ci sono soggetti che ne pagano poche: evasori e rentier. Per questo penso che si possano pagare le stesse tasse ma meglio ripartite.

Il liberalismo che il ministro Poletti ha, di fatto, rinvigorito con il Jobs Act non le sembra ricordare molto da vicino il liberalismo dei governi Berlusconi a cavallo tra gli anni Novanta e gli anni Zero?
Intanto non conosco ancora il Job Act ma solo qualche misura per i lavoratori a termine. Aspetto ancora il Job Act. Certamente alcune misure possono rassomigliare a quelle di Berlusconi, ma non per questo sono sbagliate. Gli errori e gli orrori dei Governi Berlusconi sono ben altri.

Nonostante una pressione fiscale molto onerosa per i cittadini, anche se in linea con gli altri paesi europei, lo stato sociale italiano sembra essere sempre più a rischio con i tetti delle scuole che cadono, gli ospedali che chiudono e i pensionati che emigrano all’estero per riuscire a sopravvivere. Dove vanno a finire i soldi degli italiani?
Il motivo per cui ho scritto il mio libro ("In Italia paghiamo troppe tasse?" Falso!, edito da Laterza) è proprio per difendere la spesa pubblica. Infatti, il corollario del luogo comune "paghiamo troppe tasse" è proprio quello di abbassare la spesa pubblica per ridurre le tasse. Anche il governo Renzi c’è cascato. In realtà la spesa pubblica per servizi ai cittadini è in Italia bassa e andrebbe aumentata. Non sono contro l’eliminazione di sprechi e ruberie. Ma vorrei che tale necessaria eliminazione consentisse di dare più risorse per la spesa pubblica buona e per aumentare qualità e quantità di servizi alla gente.

L’Unione Europea e le sue istituzioni, politiche e bancarie, non perdono occasione per ricordare al nostro paese l’importanza di risanare il debito pubblico, un problema talmente importante da richiedere il varo, a tempi record, di una riforma costituzionale. Le nostre tasse servono anche a quello?
Purtroppo sì. Esse servono innanzi tutto a pagare interessi sul debito pubblico, ossia per remunerare quanti prestano i soldi allo Stato (spesso gli stessi cittadini che poi si lamentano dei bassi servizi che ricevono). In realtà la via per ridurre il peso del debito pubblico (noi non dobbiamo ridurre il valore del debito, ma il suo rapporto con il PIL) è quello di far aumentare il PIL in valore a un ritmo maggiore. Per favorire una crescita in valore occorre che anche i prezzi aumentino. Ed io ho un’idea: quella di ridurre l’Irpef sulle persone e l’Irap sulle imprese per aumentare IVA e tariffe in modo che i cittadini non perdano capacità di spesa ma i prezzi aumentino, facendo salire anche il PIL.

Nel suo testo Lei rileva anche come uno delle cause maggiori di squilibrio, nel caso italiano, sia la presenza di una quota consistente di evasione fiscale. Al di là delle azioni mirate di Equitalia e Guardia di Finanza, quali sono le misure, di natura normativa, che potrebbero contribuire a risolvere questa piaga?
Come in tutti i paesi, la lotta all’evasione va fatta con pazienza e con il controllo dei conti bancari. Solo l’attività criminale utilizza molto contante e per questa parte il problema è della polizia. Bisogna limitare l’uso del contante e analizzare continuamente i flussi bancari. Così diventa molto più difficile evadere. Poi bisogna tassare di più attività reali, come la casa che non si può nascondere e ridurre le tasse sulle persone (Irpef).

Lei ha anche ricoperto vari incarichi nelle università italiane come docente e, attualmente, come Presidente dell’Università di Trento. Cosa vede nel futuro dell’università italiana, dopo un periodo contrassegnato da tagli alla ricerca?
Le università italiane hanno eccellenze e punti meno buoni. Come dappertutto. Occorre un sistema che premi le buone università. Una via è quella di distribuire parte dei fondi pubblici sulla base dei risultati delle diverse università. Un’altra via sarebbe quella di aumentare le rette di iscrizione e di dare molte più borse di studio a favore di studenti meritevoli che vadano in buone università.

L’Italia è un paese per giovani? Che consigli darebbe, da manager e da docente, a un giovane neolaureato che, appena uscito dalla sua università si immette nel mercato del lavoro?
Oggi è difficile dare consigli perché le occasioni di lavoro sono poche in Italia. Comunque la strada è quella della curiosità permanente. Andare a cercare il lavoro dove c’è. E il mondo in questi anni sta crescendo a ritmi eccezionali. Andare fuori del nostro paese non è una fuga ma la ricerca per valorizzare le proprie capacità. E poi bisogna sempre ricordarsi che chi ha fatto l’Università ha beneficiato di un impegno pubblico e deve essere lui a dare un contributo al paese cercando anche di creare occasioni di lavoro per sé e per quanti, meno fortunati, non hanno avuto accesso all’università.

Grazie per la collaborazione.

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