Truffa: sanzioni e tutele

Marco Montanari

23/12/2021

27/12/2021 - 10:06

condividi

In cosa consiste la truffa e cosa fare se si cade vittima di un reato di questo tipo? Ecco le principali sanzioni e le possibili tutele previste dalla legge.

Truffa: sanzioni e tutele

Può capitare a chiunque di rimanere vittima del reato di truffa: basti pensare alle truffe sempre più frequenti nel caso di vendita a distanza su piattaforme on-line o alle false richieste di aiuto economico tramite l’utilizzo di sms o e-mail, oppure ancora al “phishing” o allo “smishing”, ossia quei messaggi contenenti link verso siti ingannevoli dove viene richiesto ai malcapitati di comunicare i propri dati sensibili, inclusi i dati relativi alle carte di pagamento.

Ebbene, in tutti questi casi, siamo in presenza del reato di truffa, il quale assume particolari connotazioni a seconda delle modalità con cui la condotta fraudolenta viene realizzata.

Si può quindi parlare, al riguardo, di truffa contrattuale, truffa informatica, truffa telefonica, truffa finanziaria e così via.

Ciò che accomuna le varie tipologie di truffa è la circostanza che il loro autore, mettendo in atto artifici o raggiri, induce la vittima a eseguire un comportamento altrimenti non voluto, in modo da ottenere un profitto illecito.

Vediamo meglio, di seguito, in cosa consiste questo reato, quali sanzioni prevede la legge e le possibili tutele di cui può avvalersi la malcapitata vittima.

In cosa consiste il reato di truffa?

Il reato di truffa è previsto e sanzionato dall’articolo 640 del Codice penale, dove è descritto come la condotta di “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.

In altre parole, per aversi truffa è prima di tutto necessario che l’autore del comportamento illecito abbia utilizzato artifici o raggiri per indurre in errore qualcuno.

Ma cosa si intende con questi due termini?

Per artifizio (o artificio), si intende comunemente l’alterazione della realtà circostante al fine di simulare l’esistenza di qualcosa che non esiste o di dissimulare ciò che invece esiste. In altre parole, con l’artifizio si crea una “falsa apparenza” al fine di ingannare qualcuno.

Per raggiro si intende, invece, l’uso di parole, ragionamenti o argomentazioni subdole e fuorvianti, tali da incidere sulla psiche della vittima per farla credere a circostanze, in realtà, non reali o comunque diverse da quelle realmente esistenti.

Entrambe le condotte hanno lo scopo di creare nella vittima una falsa rappresentazione della realtà, al fine di indurla in errore.

Si pensi al caso di chi, nell’acquistare un veicolo, faccia uso di documenti falsi ai fini dell’intestazione dell’auto, effettui il pagamento in parte in contanti e in parte con assegno tratto su un conto corrente privo di fondi nonché intestato a una terza persona, e, infine, ritirato il bene, faccia perdere le proprie tracce (Cass. pen. n. 32341/2013).

Ma il fatto che gli artifizi o i raggiri abbiano indotto in errore la vittima non basta di per sé a ritenere integrata la truffa.

È infatti necessaria la presenza di un comportamento collaborativo, di un atto, cioè, “volontario” da parte della vittima e dal quale il truffatore può trarre l’ingiusto profitto.

Quindi, non soltanto l’autore deve aver raggirato il malcapitato, ma è anche necessario che, per effetto di tale raggiro, questi si sia convinto a effettuare volontariamente un’azione dalla quale è conseguito un vantaggio per il truffatore (ad esempio, l’esecuzione di un ordine di bonifico o la comunicazione di dati sensibili).

Secondo la giurisprudenza, infatti, “per l’integrazione della truffa occorre [...] un comportamento del soggetto ingannato che sia frutto dell’errore in cui è caduto per fatto dell’agente e dal quale derivi causalmente una modificazione patrimoniale, a ingiusto profitto del reo e a danno della vittima” (Cass. pen. n. 43634/2015).

Ultimo elemento necessario a integrare la truffa è il fatto che, grazie al suo operato fraudolento, il responsabile abbia ottenuto un profitto ingiusto (non necessariamente di natura economica) procurando alla vittima un danno inteso come perdita patrimoniale.

Quante tipologie di truffa esistono?

Come anticipato, esiste una casistica variegata in materia di truffa (truffa contrattuale, informatica, attività di phising, ecc.).

In realtà, il reato è il medesimo ma le diverse modalità con cui viene realizzato il comportamento illecito, con il tempo, hanno dato vita ad alcune ipotesi ricorrenti di truffa.

Tra le più note va ricordata la truffa contrattuale, fattispecie che si realizza quando uno dei contraenti induce l’altro a stipulare un contratto ricorrendo all’utilizzo di artifici o raggiri, traendone, così, un indebito profitto.

In altre parole, in questo tipo di truffa, l’autore del reato induce attraverso l’inganno la vittima a concludere un contratto che, altrimenti, non avrebbe concluso.

Per fare un esempio, secondo la Corte di Cassazione, un caso tra molti è quello dell’idraulico che, facendo credere al cliente che la caldaia non sia più funzionante, lo induce a dargli un acconto per la sostituzione, senza poi provvedervi, “ciò in quanto la vittima si è determinata alla sottoscrizione del preventivo di spesa per la sostituzione ed il montaggio di una nuova caldaia - che avrebbe altrimenti rifiutato - nella erronea convinzione che la caldaia fosse non più idonea.” (Cass. pen. n. 4039/2020).

Abbiamo visto, finora, cos’è il reato di truffa e alcuni casi particolari. Ma come viene sanzionato dal Codice penale?

Le sanzioni previste

La norma punisce il reato di truffa con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.

Esistono inoltre alcune ipotesi aggravate del reato, che quindi comportano un aumento di pena. Ciò si verifica (art. 640, comma 2, c.p.):

  • se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea o con il pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
  • se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità;
  • se il fatto è commesso in presenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 61, numero 5), c.p. e cioè quando l’autore ha approfittato di “circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa” (minorata difesa).

In questi casi, si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309 a euro 1.549.

L’aggravante della minorata difesa può ad esempio verificarsi, con maggior frequenza, nelle truffe commesse attraverso la vendita di prodotti on-line.

La Suprema Corte ha infatti recentemente chiarito che, in tal caso, “la distanza tra il luogo ove si trova la vittima, che di norma paga in anticipo il prezzo del bene venduto, e quello in cui, invece, si trova l’agente, determina una posizione di maggior favore di quest’ultimo, consentendogli di schermare la sua identità e [...] di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta.” (Cass. pen. n. 12427/2021).

Allo stesso modo è stata considerata aggravata dalla minorata difesa la condotta del sanitario che, “approfittando della particolare debolezza psicologica dei pazienti, affetti da patologie anche gravi, li induca a sottoporsi, dietro pagamento, ad una metodologia di cura alternativa a quella tradizionale, rassicurandoli circa l’utilità della stessa e suscitando speranze illusorie stante l’assenza di evidenze scientifiche di guarigioni o di miglioramenti” (Cass. pen. n. 5053/2020).

È bene infine sapere che, tanto nelle citate ipotesi aggravate quanto nel caso in cui la truffa abbia determinato un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, comma 1, n. 7, c.p.), il reato è perseguibile d’ufficio, senza la necessità, dunque, che la persona offesa sporga querela nei confronti del responsabile.

Diversamente, negli altri casi, la querela da parte della vittima è sempre necessaria per procedere penalmente (art. 640, comma 3, c.p.).

Come tutelarsi in caso di truffa

Se si ritiene di essere rimasti coinvolti inconsapevolmente in una truffa, la prima cosa da fare è segnalare l’accaduto alle Forze dell’ordine.

A tal fine, è necessario recarsi personalmente presso il più vicino commissariato di Polizia (o stazione Carabinieri) e sporgere denuncia-querela per il reato di truffa, raccontando l’accaduto nei minimi dettagli nonché fornendo ogni documento utile ai fini delle indagini (conversazioni via sms o e-mail, fotografie, ricevute, fatture, estratti conto, ecc.).

Nella querela dovranno essere indicati i dati identificativi (o presunti tali) del truffatore, qualora in vostro possesso.

È opportuno poi segnalare, da subito, i nominativi e i recapiti di eventuali testimoni che possano confermare la vostra ricostruzione dei fatti.

La querela può essere presentata anche in forma scritta; in questo caso, è consigliabile ricorrere alla consulenza di un avvocato.

È inoltre consentito presentare la denuncia-querela direttamente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente per territorio.

Se dalla stessa dovesse prendere avvio un procedimento penale, sarà possibile, per la vittima, costituirsi parte civile nel relativo processo in quanto persona offesa dal reato.

In quest’ultimo caso, oltre alla restituzione del denaro sottratto (se preventivamente sequestrato dall’Autorità giudiziaria), potrà domandare la condanna dell’imputato (o del responsabile civile) al risarcimento del danno cagionato dalla truffa.

Iscriviti a Money.it