Terza guerra mondiale sempre più vicina dopo quanto successo in Polonia? La Nato si muove tra l’articolo 4 e 5 del Trattato atlantico, la scelta tra l’uno e l’altro sarà determinante.
Terza guerra mondiale possibile se…
In questi giorni è tornata la paura per lo scoppio di una Terza guerra mondiale, con il rischio di un coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto tra Russia e Ucraina. La tensione è salita alle stelle dopo la violazione dello spazio aereo della Polonia da parte di droni russi, un episodio che Varsavia ha definito come un “atto di aggressione”, parlando poi di una vera e propria “minaccia reale”.
Per far fronte all’incidente, sono stati mobilitati anche caccia e un jet radar italiani, rivelatisi decisivi nel monitoraggio e nella difesa dei cieli polacchi. Un segnale tangibile di quanto l’Alleanza sia pronta a reagire e, al tempo stesso, il preludio a quello che potrebbe accadere laddove la situazione dovesse precipitare. Una Terza guerra mondiale appunto.
Al momento, fortunatamente, la tensione sembra rientrata: resta da chiarire se si sia trattato di un errore tecnico o di una provocazione deliberata di Mosca. Ma il campanello d’allarme è suonato forte, tanto che adesso i Paesi Nato si stanno interrogando su come rispondere a eventuali nuove violazioni e, soprattutto, su quale meccanismo attivare: l’articolo 4 del trattato Nato, che prevede consultazioni politiche, o l’articolo 5, che invece andrebbe a considerare l’attacco a un membro come un attacco a tutti, con il rischio di trascinare l’Occidente in un conflitto globale.
Articolo 4 e articolo 5 del trattato Nato, quali differenze?
Il Trattato istitutivo della Nato, firmato nel 1949, prevede due strumenti principali in caso di minaccia.
Il primo è l’articolo 4, che può essere attivato da uno Stato membro quando ritiene che la propria integrità territoriale, sicurezza o indipendenza politica siano messe in pericolo. Non comporta alcun intervento automatico, ma obbliga i 32 Paesi dell’Alleanza a riunirsi e discutere possibili risposte. Si tratta, quindi, perlopiù di uno strumento politico e diplomatico, usato finora solo sette volte, di cui l’ultima proprio nel 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina.
Diverso è il caso dell’articolo 5, considerato invece come il cuore del Patto Atlantico. Questo, infatti, stabilisce che un attacco armato contro uno Stato membro equivale a un attacco contro tutti. In quel caso sì
scatta l’obbligo di assistenza, anche militare, per ristabilire la sicurezza collettiva. Si tratta di una procedura molto importante e delicata, tanto che dal 1949 a oggi è stato invocato una sola volta, dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti.
La differenza è quindi cruciale: articolo 4 porta a una semplice consultazione politica, mentre l’articolo 5 alla difesa armata collettiva. Proprio per questo ogni nuova provocazione russa viene osservata con timore: un passo falso potrebbe segnare il passaggio da una fase all’altra, con conseguenze globali.
Quando la Terza guerra mondiale potrebbe scoppiare
Chiarita la differenza tra articolo 4 e articolo 5, la domanda diventa inevitabile: in quali casi la Nato potrebbe davvero passare dalla consultazione alla difesa armata collettiva?
Il primo scenario è quello di una nuova violazione dello spazio aereo o del territorio di un Paese Nato, soprattutto se a essere colpita fosse un’area abitata o un’infrastruttura civile. Un drone che cade su una città, un missile che provoca vittime, o anche solo il danneggiamento di un ospedale o di una scuola potrebbero spingere un governo a chiedere l’applicazione dell’articolo 5.
Un secondo scenario riguarda un attacco deliberato a infrastrutture strategiche: pensiamo a centrali elettriche, oleodotti, sistemi informatici o basi militari situate in Europa orientale. Un’azione simile difficilmente verrebbe interpretata come un incidente, in quanto si tratterebbe di una provocazione mirata a mettere alla prova la coesione dell’Alleanza. È vero che in passato la Nato ha già subito cyberattacchi e operazioni ibride senza far scattare l’articolo 5, ma se questi venissero considerati “attacchi armati”, la reazione potrebbe essere ben più dura.
C’è poi il timore di un errore di calcolo: nella nebbia della guerra basta un passo falso per far precipitare la situazione. Un missile deviato che colpisce un centro abitato, un drone abbattuto oltre confine, o un’esercitazione militare interpretata come un’aggressione possono bastare a far scattare una reazione immediata. D’altronde, la storia insegna che molti conflitti sono nati da incidenti che nessuno è riuscito a disinnescare in tempo.
Infine, alcuni analisti ritengono che Mosca possa arrivare a una provocazione calcolata, una sorta di azione studiata per mettere in crisi la Nato e misurare fino a che punto gli alleati siano disposti a reagire. È la logica del “test di resistenza”: se l’Occidente risponde solo con parole, il Cremlino potrebbe spingersi oltre. Se invece la reazione è immediata e compatta, il rischio di escalation resta alto, ma si manda un messaggio di deterrenza.
In tutte queste ipotesi, il passaggio dall’articolo 4 all’articolo 5 sarebbe il punto di non ritorno: da crisi regionale a guerra mondiale.
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