Ben consapevole delle sfide rappresentate dai dazi di Trump, marchiato da quell’errore storico, Jerome Powell lancia avvertimento sullo shock dell’offerta.
Il presidente della Fed Jerome Powell è tornato a parlare nella giornata di oggi, giovedì 15 maggio 2025, in occasione del discorso dedicato al Framework Review, ovvero alla revisione del quadro che disciplina e orienta la politica monetaria dell’istituzione (monetary policy framework, o MPF). Revisione di norma avviata dalla banca centrale americana ogni cinque anni.
Obiettivo: assicurarsi che l’istituzione adotti le strategie e gli strumenti più opportuni per centrare il doppio target della massima occupazione e della stabilità dei prezzi negli Stati Uniti.
Fed, Powell: è possibile che stiamo entrando in un periodo di shock offerta più frequenti
Nel prendere la parola, Powell ha subito lanciato un alert sul rischio di shock dell’offerta. “ È possibile che stiamo entrando in un periodo di shock dell’offerta più frequenti e potenzialmente più persistenti, una sfida difficile per l’economia e per le banche centrali”, ha detto il banchiere centrale.
L’avvertimento conferma tutta la volontà del timoniere della Fed di mostrare che, stavolta, qualsiasi cosa accadrà, la minaccia dei prezzi non sarà presa sotto gamba, contrariamente a quanto avvenne nel 2021, quando fu lui stesso a commettere un grande errore storico, definendo “transitoria” la crescita dell’inflazione, che scattò con il reopening dell’economia globale dai lockdown imposti nel periodo più buio della pandemia Covid-19.
Powell ha ricordato i grandi cambiamenti che si sono verificati nell’economia globale negli ultimi 5 anni, ovvero dall’anno in cui la Fed ha lanciato l’ultimo processo di revisione dei suoi strumenti e della sua strategia di politica monetaria, nel 2020. Cambiamenti che hanno certificato lo stravolgimento dell’ordine mondiale, e che hanno preso la forma di una inflazione fuori controllo, che ha costretto la Federal Reserve (così come la BCE e altre banche centrali) a inaugurare una lunga fase di incessanti rialzi dei tassi.
Il contesto attuale è cambiato al punto tale, ha avvertito Powell, al punto che, anche a fronte di aspettative di più lungo termine sull’inflazione che sono in linea con il target della Fed pari al 2%, è improbabile che l’era dei tassi di interesse vicini allo zero torni presto.
“Tassi reali più alti potrebbero riflettere inflazione più volatile”
Così il presidente della Fed, stando agli estratti del discorso proferito in occasione della conferenza Thomas Laubach Research Conference di Washington DC: “È anche possibile che i tassi reali più alti riflettano la possibilità che l’inflazione diventi più volatile andando avanti, rispetto al periodo compreso tra le crisi che hanno caratterizzato il primo decennio” del millennio.
Nel far riferimento al pericolo di potenziali e futuri shock dell’offerta, Powell ha affermato che la revisione della banca centrale USA si concentrerà anche sulla comunicazione: “Sebbene gli accademici e i partecipanti al mercato considerino in generale efficace la comunicazione (della Fed), c’è sempre spazio per migliorare”, ha detto il numero uno della Fed, sottolineando che “nei periodi caratterizzati da shock più grandi, più frequenti e più disparati, una comunicazione efficace richiede che noi presentiamo l’incertezza che circorda la nostra comprensione dell’economia, insieme alle previsioni”. Di conseguenza, scopo della Fed è quello di apportare miglioramenti a questa necessità, “mentre andiamo avanti”.
Powell, che non ha menzionato i dazi imposti dal presidente americano Donald Trump - che, inevitabilmente, spiegano il suo alert lanciato sul pericolo che si manifestino shock dell’offerta più persistenti - reso noto che la revisione della strategia di politica monetaria della Fed sarà completata “nell’arco dei prossimi mesi”.
Inflazione USA, cosa dicono gli ultimi dati macro
Occhio all’ultimo dato relativo all’inflazione degli Stati Uniti misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI, in un contesto in cui le speculazioni dei mercati su un primo taglio dei tassi nel 2025 confermano che la Fed rimarrà con le mani in mano ancora per un po’, lasciando invariati, ancora, i tassi sui fed funds, tuttora inchiodati al range compreso tra il 4,25% e il 4,5%, dopo l’ultima sforbiciata che risale al dicembre del 2024.
Nella giornata di oggi, indicazioni rassicuranti sul processo disinflazionistico in atto negli Stati Uniti sono arrivate con la diffusione, prima dell’inizio della giornata di contrattazioni a Wall Street, dell’altro dato parametro di misurazione dell’inflazione, ovvero dell’indice dei prezzi alla produzione.
Il dato ha riportato un trend al ribasso, a sorpresa, scendendo dello 0,5% nel mese di aprile, dopo essere rimasto invariato a marzo.
Gli economisti interpellati da Dow Jones avevano previsto un aumento pari a +0,3%.
A contribuire alla ritirata, soprattutto i prezzi dei servizi, arretrati dello 0,7%, al record addirittura dal dicembre del 2009.
Escluse le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici, il PPI core è sceso dello 0,4%, rispetto a un aumento atteso pari a +0,3%.
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