Inflazione USA, indice CPI core ancora troppo alto. Tassi Fed, crollate scommesse su taglio in questa data

Laura Naka Antonelli

13/05/2025

Inflazione USA in evidenza: il CPI headline rallenta, mentre rimane ostinatamente alto il CPI core. Occhio allo scivolone delle scommesse su taglio tassi Fed.

Inflazione USA, indice CPI core ancora troppo alto. Tassi Fed, crollate scommesse su taglio in questa data

Nel mese di aprile, l’indice dei prezzi al consumo core degli Stati Uniti, termometro tra i più importanti per monitorare il trend dell’inflazione, è salito al ritmo annuo del 2,8%, in linea con le attese, ma ancora troppo alto rispetto ai desiderata della Fed di Jerome Powell, che continua a ostinarsi a non tagliare i tassi sui fed funds USA.

Su base mensile, il CPI core è avanzato però meno delle attese, riportando un rialzo dello 0,2% m/m, rispetto al +0,3% previsto dal consensus.

Inflazione USA, CPI headline rallenta il passo ad aprile, +2,3% su base annua

Un’altra notizia confortante è arrivata dall’indice CPI headline, salito ad aprile del 2,3% su base annua, indebolendosi così rispetto al +2,4% di marzo.

Il dato ha confermato inoltre un ritmo di crescita inferiore rispetto al +2,4% atteso.

Su base mensile, l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto come da attese, registrando un rialzo pari a +0,2%.

Sotto i riflettori ancora la componente del costo delle abitazioni, perenne mal di testa per la Fed di Powell che vuole sotterrare l’ascia di guerra contro l’inflazione ancora ostinata: il rialzo di questi prezzi (shelter), pari a +0,3%, ha inciso per più della metà sul trend di crescita mensile dell’indice CPI.

Sono aumentati anche i prezzi dell’energia (+0,7%), con i prezzi del gas naturale e dell’elettricità che hanno più che compensato la flessione dei prezzi della benzina, scesi dello 0,1%, mentre i prezzi dei beni alimentari hanno riportato una flessione dello 0,1%.

Trend dell’indice CPI - che ha comunque segnato un trend su base annua inferiore a quello del mese scorso - sufficiente per convincere la Fed di Jerome Powell, ancora riluttante a sfornare il primo taglio dei tassi del 2025, ad agire?

Tregua sui dazi USA-Cina assottiglia ulteriormente scommesse tagli tassi Fed

Mentre Wall Street cerca di interpretare il dato sull’inflazione USA appena reso noto va sottolineato che, nelle ultime ore, si è presentato un altro fattore che rende ancora più improbabile l’arrivo imminente di una sforbiciata dei tassi: la tregua sui dazi raggiunta nel fine settimana tra la Cina di Xi Jinping e l’America di Donald Trump.

La notizia di quella tregua ha acceso infatti ulteriormente le scommesse su un primo taglio dei tassi da parte della Fed soltanto nella riunione del FOMC del mese di settembre, assottigliando ulteriormente le speculazioni su una riduzione firmata da Jerome Powell nel prossimo meeting di giugno.

Nella giornata di ieri, a seguito della notizia relativa all’accordo per la sospensione dei dazi reciproci siglato tra Pechino e Washington, la probabilità di un taglio dei tassi da parte della Fed a giugno è scivolata di fatto fino all’8,1%, rispetto al 64,4% del mese scorso.

Non solo: i mercati hanno ridotto le attese sui tagli complessivi dei tassi da parte della Fed, nel corso del 2025, da tre riduzioni a due, scommettendo su sforbiciate a una forchetta compresa tra il 3,75% e il 4% per la fine dell’anno.

Nell’ultimo meeting del FOMC (il braccio di politica monetaria della Federal Reserve), la banca centrale USA ha annunciato di avere lasciato i tassi inchiodati al range compreso tra il 4,25% e il 4,5%, lanciando tra l’altro un doppio e inaspettato alert.

Da Powell nessuna fretta a tagliare i tassi

Nel corso dell’ultima riunione di politica monetaria della Fed, Jerome Powell ha confermato la sua intenzione di essere attendista, motivando la strategia con l’insufficienza di informazioni, allo stato attuale delle cose, che possano far luce su quello che sarà il vero danno che i dazi di Trump provocheranno all’economia degli Stati Uniti, sia in termini di crescita del PIL che di inflazione.

Non pensiamo di aver bisogno di avere fretta. Pensiamo di poter essere pazienti ”, ha detto il timoniere della Banca centrale europea, rivelando tutti i suoi timori: “Se i grandi incrementi dei dazi che sono stati annunciati si rivelassero sostenuti, probabilmente l’effetto sarebbe un rialzo dell’inflazione, un rallentamento della crescita economica, e un aumento del tasso di disoccupazione ”. Puntuale, è stato l’insulto arrivato dal presidente USA Donald Trump.

L’interrogativo che assedia Powell è sulla durata degli effetti, che potrebbero rivelarsi circoscritti a un breve arco temporale ma anche rivelarsi più duraturi.

Il banchiere centrale ha di conseguenza escluso in modo categorico che un taglio dei tassi in via preventiva da parte della Fed, pena il rischio di giocare con il fuoco con l’inflazione.

Effetti dazi Trump su inflazione visibili solo a giugno-luglio. Il consiglio alla Fed di Jeremy Siegel

La Fed agirà dunque soltanto quando avrà chiaro il quadro della situazione, il che significa che, proprio il rimandare il momento della verità - prima, con la pausa sui dazi decisa dall’amministrazione Trump per un periodo di 90 giorni, poi con la tregua annunciata sulle tariffe da parte della Cina e degli Stati Uniti - posticipa il momento in cui Powell potrà fare la conta dei danni.

A farlo notare è stato lo stesso professore emerito di Wharton ed economista senior Jeremy Siegel che, in un intervento alla trasmissione della CNBC “Squawk Box”, ha detto di ritenere che l’impatto dei dazi di Trump, a suo avviso, si potrà conoscere soltanto tra qualche mese.

Quando? “Non credo che assisteremo agli effetti di questi dazi almeno fino a giugno, o luglio”, ha fatto notare, consigliando alla Federal Reserve di non reagire in ogni caso modo eccessivo, in quanto le conseguenze dovrebbero avere una durata breve: “ Gli indicatori relativi al tasso di inflazione di lungo termine non saliranno ”. Dunque, la “ Fed non dovrebbe reagire contro uno shock dell’offerta ”, ha sottolineato Siegel.

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