Stipendi, che fine faranno gli aumenti in busta paga: le ipotesi per il taglio del cuneo fiscale

Stefano Rizzuti

14/11/2022

22/11/2022 - 11:36

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Da una parte le richieste di imprese e sindacati, dall’altra le poche risorse a disposizione del governo: cosa succederà sul taglio del cuneo fiscale e per gli aumenti di stipendio?

Stipendi, che fine faranno gli aumenti in busta paga: le ipotesi per il taglio del cuneo fiscale

Lo chiedono le aziende. Lo vogliono i sindacati. E anche il governo promette che il taglio del cuneo fiscale ci sarà e raggiungerà i cinque punti percentuali. Ma solo in maniera graduale, con un intervento parziale nella prossima legge di Bilancio e un cammino che proseguirà negli anni successivi.

Gli aumenti di stipendio saranno quindi rimandati, ma intanto ci sarà la conferma dello sgravio contributivo del 2% introdotto dal governo Draghi per i redditi inferiori a 35mila euro. Intanto imprese e sigle sindacali chiedono di sostenere i salari e il potere d’acquisto dei lavoratori italiani senza che questo possa gravare sulle imprese stesse.

Per il momento il governo Meloni ha introdotto solamente l’innalzamento dei fringe benefit a 3mila euro, costi che però sarebbero a carico delle imprese e che, probabilmente, non si tradurranno davvero in un aumento in busta paga per molti lavoratori. La richiesta, ora, è quella di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale: l’aumento non arriverà con la manovra, come ha detto il sottosegretario Fazzolari alle imprese. In sede di legge di Bilancio ci sarà solo la conferma dello sgravio attuale al 2%. L’obiettivo a lungo termine, invece, resta quello del taglio di 5 punti delle tasse sul lavoro.

Stipendi, cosa succederà con la manovra

In sede di legge di Bilancio il governo Meloni si limiterà a confermare il taglio del 2% del cuneo fiscale attualmente in vigore per i redditi inferiori a 35mila euro. Servono, per questa misura, più di 3,5 miliardi di euro. Lo sgravio contributivo introdotto da Draghi è in scadenza a fine dicembre e deve essere rinnovato per il 2023. Il sottosegretario Fazzolari, come appreso da Money.it, ha spiegato alle imprese che il taglio, per la manovra, sarà limitato a questo intervento senza alcun sgravio aggiuntivo per i lavoratori, rinviato invece ai prossimi anni.

Taglio del cuneo fiscale, le richieste delle imprese

Le imprese, però, non si accontentano. Da settimane il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, chiede un intervento shock, da 16 miliardi di euro, sul taglio del cuneo fiscale. Una misura che impatterebbe per due terzi sui lavoratori e per un terzo sulle imprese, coinvolgendo i lavoratori dipendenti che hanno redditi fino a 35mila euro.

Tenendo presente queste richieste, vorrebbe dire aggiungere circa 1.100 euro l’anno in busta paga per i redditi più alti (quelli da 35mila euro) e un po’ meno per gli altri lavoratori. Secondo Bonomi per introdurre questo taglio di cinque punti è necessario riconfigurare la spesa pubblica del 4-5%.

Stipendi più alti, cosa chiedono i sindacati

Sul taglio del cuneo fiscale le posizioni dei sindacati sono differenti. La Cgil sostiene che l’intervento dovrebbe giovare solamente ai lavoratori e ai pensionati e non alle aziende, con un taglio di cinque punti tutto per i dipendenti. Per la Cisl è importante che l’intervento sia drastico sin da subito, con la legge di Bilancio, non accontentandosi di una conferma dello sgravio attuale. La Uil ritiene sia prioritario far diventare strutturale l’aumento di stipendio nel 2023, andando anche oltre il taglio attuale del cuneo fiscale.

Busta paga e cuneo, cosa farà il governo

Meloni l’ha detto chiaramente e anche Fazzolari l’ha ribadito: l’obiettivo del governo nel lungo periodo è tagliare il cuneo fiscale di 5 punti. Anche Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha ribadito che lo sgravio ci sarà nei prossimi anni e sarà per due terzi sui lavoratori e per un terzo lato azienda.

L’intervento sarà graduale, ma non ci sarà immediatamente un impatto robusto “perché non si può fare tutto subito ma è importante tracciare la rotta”. Il taglio resterà quindi del 2% per il 2023, ma l’auspicio dell’esecutivo è quello di poter intervenire nei mesi successivi per rafforzare la misura per contrastare il calo del potere d’acquisto dei lavoratori.

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