Il significato di percosse, quando è reato e come chiedere il risarcimento

Giorgia Dumitrascu

20 Maggio 2025 - 13:32

Quando le percosse sono reato e cosa fare per denunciare e chiedere il risarcimento, anche senza referti medici o testimoni? Ecco cosa sapere.

Il significato di percosse, quando è reato e come chiedere il risarcimento

Nelle ultime settimane, il reato di percosse ha trovato nuovo rilievo: a Campobasso, un ventitreenne è stato sottoposto a misura cautelare con braccialetto elettronico per una serie di episodi di violenza nei confronti dell’ex compagna. A Roma, tre OSS sono stati condannati per aver agito con brutalità su pazienti fragili. Intanto, il Decreto Sicurezza 2025 ha irrigidito l’approccio normativo, prevedendo l’allontanamento d’urgenza anche in assenza di flagranza e l’uso sistematico di dispositivi elettronici nei casi di pericolo concreto per l’incolumità fisica.

Vediamo cosa significa, giuridicamente, “percuotere” e quali sono i risvolti legali in merito.

Il significato di percosse secondo il Codice Penale

La parola “percosse” ha radici antiche: deriva dal latino percutĕre, che significa “colpire con forza, battere”. Quando si parla di “percuotere” in ambito penale, si fa riferimento a una condotta che implica un atto di violenza fisica diretta contro una persona, tale da arrecare dolore, ma senza provocare una malattia nel corpo o nella mente.
L’art. 581 c.p. punisce:

“chiunque percuote taluno, con la condizione che dal fatto non derivi una malattia nel corpo o nella mente. Se, invece, la vittima riporta una malattia, anche di breve durata, la condotta ricade nella più grave ipotesi del reato di lesioni personali (art. 582 c.p.)”

La norma è destinata a colmare quel vuoto di tutela che sussiste nei casi in cui la violenza fisica sia reale, ma non tale da produrre conseguenze clinicamente accertabili. Ad esempio, uno schiaffo, una spinta, una tirata di capelli: sono gesti che offendono la dignità e l’integrità fisica della persona, ma che non sempre lasciano tracce visibili o refertabili.

Il bene giuridico tutelato

Il reato di percosse tutela l’incolumità personale, ossia quel diritto inviolabile a non essere oggetto di atti violenti, anche se di breve intensità. Il legislatore tutela anche la dignità e la libertà della persona, che si vedono compromesse ogni volta che qualcuno esercita una violenza fisica non giustificata. È un reato a forma libera e istantanea, che si consuma nel momento stesso in cui la vittima viene colpita, anche solo per un istante.

In sintesi, l’art. 581 c.p., il reato di percosse si configura ogni volta che una persona viene colpita con violenza fisica, provocando dolore ma senza causare una malattia. È punibile anche uno schiaffo o una spinta, se non giustificati da una causa di esclusione come la legittima difesa.

La differenza tra percosse, lesioni e aggressione

Una delle questioni più complesse che si affrontano nelle aule di tribunale è la differenza tra “percuotere” e “lesionare”.
La Corte di Cassazione, chiarisce che:

“La differenza sta nell’esito della condotta: la percossa provoca dolore fisico immediato e transitorio, ma non una patologia clinicamente accertabile, mentre la lesione implica un’alterazione dello stato di salute, anche minima, della vittima. (ex multis, Cass. pen., sez. V, n. 33492/2019)”

Immaginiamo, ad esempio, un alterco tra automobilisti al semaforo: uno dei due perde il controllo e spinge con forza l’altro. Se la vittima avverte dolore ma non riporta alcun danno fisico duraturo, si è in presenza di percosse. Non servono ecchimosi o referti medici, basta il gesto violento, purché non sia giustificato da una causa scriminante come la legittima difesa.

“Invece, un’aggressione verbale che causa un disturbo d’ansia documentato è un ipotesi di lesione personale. Perchè non è la forza a determinare la lesione, quanto l’effetto che esso ha sulla salute psico-fisica della vittima.”

Invece, il termine aggressione è di uso comune. Infatti, in ambito giuridico, non esiste un reato di aggressione. Si tratta di un concetto ombrello che può ricomprendere sia le percosse che le lesioni, e talvolta anche altri reati come le minacce o le violenze private, a seconda della modalità con cui l’aggressione si manifesta. Un’aggressione può consistere in una colluttazione tra due persone, in un improvviso tentativo di colpire con una bottiglia, o persino in un confronto verbale che sfocia in urla e intimidazioni.

Quando si configura il reato di percosse? Quando non è reato?

Non ogni contatto fisico, per quanto sgradevole o fastidioso, è penalmente rilevante. Affinché si possa parlare di percosse, è necessario che sussistano tre presupposti essenziali:

  • l’esistenza di un’azione violenta fisica diretta contro una persona;
  • l’assenza di malattia conseguente al fatto;
  • il dolo generico, cioè la consapevolezza e volontà di colpire l’altro.
    Esistono poi una serie di esclusioni.

“Non è configurabile il reato di percosse quando la condotta è scriminata, cioè quando ricorre una causa che giustifica il fatto.”

È il caso della legittima difesa ex art. 52 c.p., che consente di reagire a un’aggressione ingiusta purché il mezzo difensivo sia proporzionato all’offesa. Anche lo stato di necessità (art. 54 c.p.) può escludere la punibilità, ad esempio se la persona colpisce un’altra per salvarsi da un pericolo grave e imminente. Inoltre, non si configura il reato quando la violenza costituisce una modalità d’esecuzione di un altro reato, dove la percossa viene assorbita dalla più grave fattispecie.

Vi sono, infine, casi in cui la condotta può sembrare violenta ma non integra reato, né sotto forma di percosse né in altro modo. Pensiamo, ad esempio, a un contatto fisico accidentale durante un litigio, come un urto involontario durante una discussione concitata. Se non vi è volontà di colpire, e se manca un gesto intenzionalmente offensivo, si esce dal perimetro della rilevanza penale.

Pene e conseguenze per chi ha commesso il reato

L’art. 581 c.p. prevede:

“per chiunque percuota un’altra persona senza causare una malattia, la pena della reclusione fino a sei mesi o la multa fino a 309 euro.”

Pertanto, è un c.d. reato minore. Tuttavia, non va sottovalutato l’effetto pratico di una condanna, anche lieve: il soggetto che viene riconosciuto colpevole dovrà affrontare un processo penale, con tutti gli oneri, i costi e le implicazioni che ciò comporta. Inoltre, va ricordato che la condanna per percosse comporta l’iscrizione nel casellario giudiziale, anche se si tratta di una pena sospesa o sostituita da una misura alternativa. Questo significa che:

“il reato resterà registrato e potrà emergere, ad esempio, in un certificato richiesto per motivi di lavoro, di affidamento minori o per attività sensibili, come concorsi pubblici o incarichi fiduciari.”

Circostanze aggravanti

La pena base può aumentare se si verificano circostanze aggravanti, cioè situazioni che rendono il fatto più grave agli occhi della legge. Tra le più comuni c’è l’aver commesso il fatto contro un familiare convivente (art. 577 c.p.), l’uso di armi improprie, o il reato commesso alla presenza di minori. In questi casi, la condotta può essere riqualificata in una forma più grave o associata ad altri reati, con un conseguente innalzamento della pena, anche fino a superare la soglia per l’arresto in flagranza o la custodia cautelare.

Come denunciare il reato di percosse?

Chi subisce un atto di violenza fisica privo di conseguenze mediche e vuole agire legalmente, deve sapere che il reato di percosse è procedibile solo a querela di parte (art. 581, co. 2., c.p.). Questo significa che l’autorità giudiziaria non può muoversi d’ufficio:

“è la persona offesa che deve manifestare la volontà di perseguire penalmente l’autore del fatto, e deve farlo entro un termine perentorio di tre mesi dal giorno in cui ha subito la violenza.”

La querela può essere presentata in forma orale o scritta presso una stazione dei Carabinieri, un ufficio di Polizia o direttamente alla Procura della Repubblica.

Un aspetto che spesso preoccupa le vittime è la mancanza di testimoni. È importante chiarire che la querela è valida anche se non vi sono testimoni, cioè persone che abbiano assistito direttamente all’episodio. Nel processo penale la prova può fondarsi anche sulla sola testimonianza della persona offesa. A questo scopo, è utile conservare eventuali messaggi, registrazioni vocali, fotografie. Anche un post rimosso da un social network, se recuperabile tramite screenshot, può assumere rilievo. In assenza di referto medico, anche una foto che ritrae il volto arrossato, un graffio sul braccio o un indumento danneggiato può servire a corroborare il racconto. Non meno efficace è presentarsi al pronto soccorso, anche in assenza di lesioni visibili, semplicemente per verbalizzare l’accaduto.

Come richiedere il risarcimento danni per percosse e quali sono i danni risarcibili

Il nostro ordinamento riconosce alla vittima del reato di percosse il diritto al risarcimento del danno.

Il primo passo è valutare la possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale. Questa scelta consente alla persona offesa di “entrare” nel processo penale a carico dell’autore del reato non solo come testimone, ma anche come soggetto che chiede formalmente un risarcimento. E’ possibile costituirsi parte civile con l’assistenza di un avvocato fin dall’udienza preliminare o anche direttamente in dibattimento.

I danni risarcibili in caso di percosse sono di tre tipi:

  • danno morale, legato alla sofferenza psicologica causata dalla violenza: non serve che ci siano traumi clinici, basta che il gesto abbia prodotto uno stato d’ansia, di paura, di turbamento emotivo;
  • danno esistenziale, che si verifica quando l’episodio ha alterato le abitudini di vita quotidiane - per esempio, una persona che smette di uscire per timore o che vive un’angoscia prolungata;
  • danno patrimoniale, se la vittima ha dovuto sostenere spese (come visite mediche, psicoterapia, o acquisto di farmaci).
    Tutti i danni devono essere dimostrati. Il giudice non può basarsi solo su sensazioni o parole generiche.

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