Quando conviene la cedolare secca (e a chi conviene)

Giorgia Dumitrascu

17 Ottobre 2025 - 12:34

Tasse, inflazione e affitti brevi: la cedolare secca è ancora un vantaggio o un rischio nascosto? Vediamo quando conviene e quando no.

Quando conviene la cedolare secca (e a chi conviene)

Rincari, inflazione e nuove regole sugli affitti brevi stanno ridisegnando il mercato immobiliare. Nel 2025 i canoni sono saliti in media del 5,8% (dati ISTAT), mentre i tassi sui mutui restano sopra il 4%, spingendo molti proprietari a cercare soluzioni fiscali più leggere. Molti scelgono la cedolare secca ma è sempre conveniente?

Cos’è la cedolare secca e quali vantaggi offre

La cedolare secca è la soluzione per chi vuole tassare l’affitto con un’unica imposta fissa, senza doversi preoccupare delle aliquote IRPEF e delle addizionali locali. Si tratta di una scelta opzionale, prevista dall’art. 3 D.lgs. n. 23/2011, che semplifica la tassazione e, in molti casi, riduce sensibilmente il carico fiscale. Infatti, consente ai proprietari di immobili abitativi di tassare i canoni di locazione con un’aliquota fissa al:

  • 21% per i contratti a canone libero;
  • 10% per quelli a canone concordato.

Ad esempio, per un contratto di affitto a canone libero di 10.000 euro l’anno, la cedolare secca al 21% comporta un’imposta di 2.100 euro complessivi. Invece, con regime IRPEF ordinario lo stesso canone verrebbe tassato con le aliquote progressive del 23%, 35% o 43% a seconda del reddito complessivo, oltre alle addizionali locali. Oltre all’aliquota agevolata, chi opta per la cedolare secca è anche esonerato dal pagamento dell’imposta di registro e di bollo sulla registrazione, proroga o risoluzione del contratto (art. 3, D.lgs. n. 23/2011). Un risparmio che, in media, vale circa 67 euro a contratto l’anno.

L’opzione, cedolare secca, si esercita compilando l’apposito quadro nella dichiarazione dei redditi (modello 730 o Redditi PF) oppure direttamente con il modello RLI, entro 30 giorni dalla stipula o proroga del contratto. Può essere scelta solo da persone fisiche che affittano immobili abitativi al di fuori dell’attività d’impresa o professionale e si applica alle unità appartenenti alle categorie catastali da A/1 a A/11, con esclusione degli A/10 (uffici o studi).

Quando conviene la cedolare secca: esempi pratici e effetti su ISEE e detrazioni

La cedolare secca è conveniente quando l’imposta sostitutiva è più bassa dell’IRPEF progressiva che si pagherebbe sullo stesso reddito da locazione. Tuttavia, la convenienza non è solo matematica, ma va valutata rispetto alle detrazioni fiscali e all’effetto sull’ISEE.
Ad esempio, un locatore con un reddito da lavoro dipendente di 30.000 euro e un affitto annuale di 10.000 euro pagherebbe, in regime IRPEF, circa 2.800 euro di imposta (tra IRPEF e addizionali), contro i 2.100 euro della cedolare secca al 21%. Il vantaggio netto è di circa 700 euro.

Ma se quello stesso contribuente ha molte detrazioni familiari o per spese sanitarie, il risparmio si riduce, datosi che la cedolare secca non consente di sfruttare la “capienza IRPEF” perché sostituisce integralmente l’imposta ordinaria. In altre parole, chi ha poche detrazioni o un reddito medio-alto ottiene il massimo beneficio, mentre chi usa l’IRPEF per compensare detrazioni importanti (figli, mutuo, bonus casa) può perdere una parte di quei vantaggi. Infatti, ai fini del calcolo ISEE, i canoni tassati con cedolare secca vengono comunque considerati redditi imponibili. L’art. 4, del DPCM n. 159/2013 e le istruzioni INPS stabiliscono che:

“I redditi soggetti a imposta sostitutiva concorrono all’indicatore della situazione economica.”

Ciò significa che, pur risparmiando fiscalmente, il locatore potrebbe vedere aumentare il proprio ISEE, con effetti su bonus o agevolazioni (ad esempio, università o prestazioni sociali).

Canone concordato, aliquota 10% e riduzione IMU

Il contratto a canone concordato è la forma più premiata dal fisco, perché cumula più agevolazioni rispetto al canone libero:

  • aliquota cedolare secca ridotta al 10%;
  • riduzione del 25% dell’IMU;
  • eventuali agevolazioni comunali aggiuntive (delibere locali su IMU o TASI);
  • deduzione del 30% per il conduttore in alcuni casi (art. 16, comma 1, lett. a, TUIR).

Per applicare correttamente l’aliquota ridotta del 10% è necessario un requisito formale, cioè la “attestazione di rispondenza” del contratto agli accordi territoriali stipulati tra le associazioni della proprietà edilizia e degli inquilini DM 16 gennaio 2017.

L’attestazione certifica che il canone rientra nei parametri stabiliti per la zona e deve essere conservata insieme al contratto. In mancanza, l’Agenzia delle Entrate può disconoscere l’agevolazione e riliquidare l’imposta in regime ordinario.
Oltre al vantaggio IRPEF, chi affitta a canone concordato in un Comune ad alta tensione abitativa ottiene un doppio vantaggio fiscale, ovvero, l’aliquota ridotta al 10% sulla cedolare secca e ha diritto alla riduzione del 25% dell’IMU sull’immobile locato, prevista dalla l. n. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020). L’elenco dei Comuni “a mercato teso” è stato fissato dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) con la delibera n. 87/2003, che individua le aree dove gli affitti sono più alti e l’offerta di case è insufficiente rispetto alla domanda.

Quando non conviene la cedolare secca e come revocarla

Il rovescio della medaglia della cedolare secca è la rinuncia all’adeguamento ISTAT del canone di locazione. Infatti, in questo regime non è possibile aggiornare il canone in base all’indice dei prezzi al consumo (FOI), cioè non si può aumentare l’affitto per compensare l’inflazione.

Con l’adeguamento ISTAT si aggiorna annualmente il canone in base all’aumento del costo della vita, in modo tale che l’affitto mantenga lo stesso potere d’acquisto.

“Senza l’ adeguamento ISTAT, il canone resta “congelato” per tutta la durata del contratto.”

Pertanto, consideriamo un affitto di 700 euro al mese bloccato per 5 anni in un contesto di inflazione media al 5% annuo: dopo quel periodo, il proprietario incasserebbe sempre la stessa cifra nominale, ma in termini reali perderebbe circa 40 euro di valore al mese, ovvero oltre 2.000 euro complessivi.
Oltre alla rivalutazione ISTAT, la cedolare secca può risultare meno conveniente quando:

  • il reddito complessivo è basso e l’aliquota IRPEF effettiva è inferiore al 21%;
  • il contribuente beneficia di molte detrazioni IRPEF (familiari, sanitarie, bonus casa);
  • il canone di locazione è modesto, rendendo minimo il vantaggio rispetto al regime ordinario.

In queste situazioni, può essere utile revocare la cedolare secca e tornare alla tassazione IRPEF. La revoca va comunicata all’Agenzia delle Entrate con il modello RLI entro 30 giorni dalla scadenza dell’annualità contrattuale, oppure indicata nella dichiarazione dei redditi. Dall’anno successivo, i canoni tornano tassati in modo ordinario. Ma, è sempre possibile esercitare nuovamente l’opzione per la cedolare secca negli anni successivi.

Cedolare secca sugli affitti brevi: quando si paga il 21% e quando scatta il 26%

Gli affitti brevi sono le locazioni di durata non superiore a 30 giorni, stipulate da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa. Dal 2024 la tassazione è cambiata, la cedolare secca non si applica più con la stessa aliquota su tutti gli immobili, ma prevede una doppia soglia:

  • 21% su un solo immobile per anno d’imposta;
  • 26% su tutti gli altri immobili locati con la stessa formula di affitto breve.

La scelta di quale immobile tassare al 21% non è automatica, ma va effettuata in dichiarazione dei redditi (modello 730 o Redditi PF), indicando l’unità abitativa agevolata.

La regola vale anche per i contratti gestiti tramite piattaforme digitali come Airbnb o Booking, che continueranno ad applicare la ritenuta d’acconto del 21% o 26% in base all’opzione dichiarata dal proprietario. Se nello stesso anno uno degli immobili è locato sia con affitti brevi sia con contratto ordinario, il reddito viene ripartito proporzionalmente (pro-rata): la parte riferita alle locazioni brevi segue le nuove aliquote, la restante rientra nell’IRPEF ordinaria.

Va specificato che la cedolare secca si applica solo se l’attività di affitto breve resta occasionale, cioè non organizzata in forma d’impresa. Alla luce dei chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate (circ. n. 24/E/2017), si considera attività imprenditoriale quella esercitata in modo abituale e organizzato, ad esempio quando vengono locati più di 4 appartamenti nello stesso anno o si offrono servizi aggiuntivi tipici delle strutture ricettive (pulizie giornaliere, cambio biancheria, colazione, reception). In questi casi, non si applica la cedolare secca ma il regime d’impresa, con partita IVA e tassazione ordinaria sui redditi d’impresa.

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