Il price cap può attendere, il QEnergy no. Così, oltre ai tassi, la Bce alza il firewall

Mauro Bottarelli

10 Settembre 2022 - 13:00

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Impasse al vertice Ue sul tetto al prezzo del gas, tutto rinviato al 6 ottobre. In compenso, i ministri dell’Energia concordano nella richiesta di sostegni per la liquidità. E partono gli stress test

Il price cap può attendere, il QEnergy no. Così, oltre ai tassi, la Bce alza il firewall

Come era ampiamente preventivato, la montagna ha partorito il topolino. Il vertice dei ministri dell’Energia Ue convocato d’urgenza e con in cima all’agenda il tetto sul prezzo del gas si è impantanato nei veti incrociati e nei distinguo prima ancora di cominciare. E se la narrativa della campagna elettorale italiana vuole tutte le responsabilità da attribuirsi all’Ungheria di Viktor Orban, la realtà parla di un ministro dell’Energia austriaco che prima ancora di sedersi al tavolo aveva detto no al price cap contro Gazprom. E con gli stoccaggi di Vienna solo al 65% e la utility che serve 2 milioni di utenti nell’area della capitale salvata di fresco dalle margin calls, non appare complicato capire il perché.

Ma anche la Germania si è messa fin da subito di traverso, così come l’Olanda fortemente interessata a tutelare il mercato dei futures energetici di Amsterdam. Insomma, la solita Ue. E per quanto il ministro Cingolani si sia lanciato in un esercizio dadaistico di conta di favorevoli e contrari che, alla luce del risultato finale, appariva parossisticamente disarmante rispetto al futuro, la realtà è che il futuro è già oggi. Anzi, era ieri. E ieri i Paesi membri hanno spaccato il capello in quattro, pur di prendere ancora tempo e rinviare tutto al vertice di capi di Stato e di governo del 6 ottobre. Dove, almeno sulla carta e nelle intenzioni, la presidenza di turno della Repubblica Ceca intende chiudere la discussione, eliminando l’alibi finora vincente per ogni rinvio: price cap su tutto il gas o solo su quello russo?

Dilemma quasi amletico. Che però sconta un dato di realtà: il tetto sul prezzo è misura tanto efficace in teoria quanto a forte rischio di effetto collaterale avverso in pratica. Inutile negarlo: il discrimine legato alla valutazione fissata per il cap e quello rispetto ai destinatari della misura è tale da configurarsi come potenziale punto di rottura finale e senza ritorno nei rapporti con Mosca. Perché fissare un tetto troppo basso, alla luce della natura esiziale delle entrate fiscali legate all’export energetico, rappresenterebbe come la madre di tutte le sanzioni e obbligherebbe la Russia non solo a misure ritorsive pericolosamente asimmetriche ma anche a deviare totalmente il suo asse di riferimento commerciale, chiudendo per sempre con il suo mercato di naturale sbocco: ovvero, proprio l’Europa. Di converso, un cap troppo alto farebbe il solletico al surplus commerciale russo.

Ed ecco un primo indizio di volontà di trattativa a oltranza, ancorché sotterranea e ufficialmente negata. Perché arrivare al tavolo con una proposta di 200 euro per MWh come quella avanzata dalla presidenza ceca equivale garantire a Gazprom una valutazione che è otto volte quella del 2021. Certo, infinitamente più bassa dei 340 euro MWh raggiunti due settimane fa in punta di mera speculazione ma comunque insostenibile già sul medio periodo per molte aziende. C’è poi la questione della platea cui applicare il tetto sul prezzo. Se utilizzata solo per il gas russo, rischia di spingere Mosca con le spalle al muro e innescare una reazione di rappreseglia che, alla luce di Nord Stream 1 già chiuso, potrebbe pericolosamente travalicare l’aspetto diplomatico-commerciale per esondare a quello della deterrenza bellica.

Se invece imposto a tutti gli esportatori di metano, ecco che soggetti come la Norvegia potrebbero seguire la strada giocoforza imboccata da Mosca e mettersi a fare concorrenza al gas russo verso altri mercati come quello cinese o indiano. Insomma, una bella idea sulla carta. Ma decisamente da maneggiare con cura. E, infatti, da Bruxelles è arrivata l’ennesima fumata nera. Accontentandosi di piccoli passi da vendere alle opinioni pubbliche, quasi nella speranza che qualcosa dall’esterno arrivi a togliere la castagne dal fuoco. Ma attenzione, perché in molti hanno fatto notare come, nonostante il fallimento de facto del vertice, il prezzo del gas ad Amsterdam sia rimasto pressoché impassibile in area 200 MWh.

Insomma, i futures prezzano speranza. Magari per il 6 ottobre come vertice risolutivo? In parte sì. E in parte perché, a differenza della politica che deve dissimulare, il mercato sa che 200 euro MWh di price cap è in realtà altissimo come prezzo da pagare al compromesso. Quindi, ovviamente, ha fissato l’implicita asticella dei contratti su quel livello, di fatto generando un bottom che - questo sì - sarebbe pericoloso a questo punto sfidare al ribasso. Ma sono due le notizie che i media hanno decisamente snobbato rispetto al vertice di ieri.

Primo, l’unica richiesta su cui i ministri dell’Energia dei 27 hanno concordato in pieno è quella alla Commissione Ue di lavorare alla creazione di facilities per la fornitura immediata di liquidità a garanzia del rischio insolvenza delle aziende energetiche, sia produttrici che utilities. Insomma, sottotraccia sono state gettate le fondamenta del QEnergy. Il tutto mentre la Bce ha appena operato un jumbo-hike dei tassi di 75 punti base, promettendo ulteriori drastici interventi ai prossimi meeting per riportare nel medio termine l’inflazione entro il target del 2%. Obiettivo che, stando alle ultime proiezioni della stessa Eurotower, non sarà raggiungibile prima di metà 2024.

In compenso, è emerso come sempre la Banca centrale europea abbia dato vita a due incontro riservati con i management dei principali istituti bancari europei per discutere dell’impatto sui conti dello stop totale di Gazprom ai flussi di gas. Dai due meeting, tenutisi nelle scorse settimane, è nato un piano operativo che prevede la consegna da parte degli istituti di credito delle risultanze degli stress test al riguardo entro la metà di settembre, dopodiché la Bce li analizzerà e convocherà per inizio ottobre un round di quelle che sono definite da fonti sotto anonimato follow-up conversations.

Ma unendo i puntini di questa attività preventiva e a porte chiuse della Bce con l’unanimità raggiunta a Bruxelles sulla richiesta alla Commissione di istituzione di veicoli per la fornitura di liquidità, il quadro si delinea da sé. Insomma, l’Ue gonfia il petto e flette i muscoli ma sa che il price cap rappresenta un’arma a doppio taglio da considerare 100 volte prima di essere utilizzata. Soprattutto in un contesto macro già apertamente pre-recessivo. In compenso, la liquidità serve. E subito. Nonostante gli interventi spot già compiuti da vari governi, fra Austria, Svezia, Germania e Finlandia.

Insomma, la Russia ha un surplus che le garantisce tempo in questa guerra di nervi. L’Europa con le decisioni prese da Bce e vertice di Bruxelles ha implicitamente confermato il contrario. E attenzione al rischio ulteriore, legato in questo caso all’euro e alla sua tenuta. Perché un’eventuale fornitura miliardaria di liquidità, un QEnergy che nasca come nuovo Recovery plan o sotto forma - magari - di aste di rifinanziamento speciali della Bce per alzare firewall bancari contro le insolvenze, andrebbe comunque a generare ciclo espansivo in pieno regime di aumento dei tassi. Un cortocircuito monetario che potrebbe costare caro ai Paesi più esposti e indebitati. E casualmente, da qualche giorno sopra l’Italia dei razionamenti e delle bollette-killer è tornato ad aleggiare come un avvoltoio l’acronimo MES.

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