Cos’è la corporate governance e perché è una leva di credibilità verso il mercato

Claudia Cervi

4 Settembre 2025 - 10:01

Una buona governance può far salire (o crollare) il titolo in Borsa. Ecco perché occorre sapere cos’è e quali sono le norme che la regolano.

Cos’è la corporate governance e perché è una leva di credibilità verso il mercato

Quando un’azienda crolla all’improvviso sotto il peso di scandali finanziari, frodi o scelte manageriali opache, la domanda che tutti si pongono è: com’è stato possibile che nessuno se ne sia accorto prima? La risposta si nasconde nella corporate governance.

Dietro ogni crisi aziendale c’è quasi sempre un sistema di governo societario debole, autoreferenziale o, peggio, disfunzionale. Ecco perché oggi la corporate governance non è più solo una questione da giuristi o revisori: è una leva strategica di credibilità verso il mercato. E le aziende che lo ignorano lo fanno a loro rischio e pericolo.

Cos’è (davvero) la corporate governance

La corporate governance non è solo un organigramma o un insieme di regole interne. È l’architettura decisionale di un’impresa, che tiene in equilibrio potere, responsabilità e trasparenza.
Parliamo di processi decisionali, pesi e contrappesi, assetti di controllo. Tutto ciò che permette a un’azienda di prendere decisioni efficaci e responsabili, tutelando azionisti, dipendenti, clienti e il mercato.

In pratica, è il modo in cui una società determina chi decide cosa, come e perché, con quali strumenti, in quali tempi e con quali controlli. Quando funziona, crea fiducia. Quando fallisce, può aprire la porta a scandali, crolli di fiducia e svalutazioni lampo.

I tre modelli (molto diversi) di governance societaria

Non tutte le aziende funzionano allo stesso modo, anche sul piano del governo. Il diritto societario consente di scegliere tra tre modelli:

Sistema ordinario (all’italiana)
È il più diffuso in Italia, soprattutto tra le PMI. Prevede:

  • un Organo di amministrazione (amministratore unico o consiglio di amministrazione)
  • e un Collegio sindacale come organo di controllo.

È il modello classico, semplice ma spesso poco dinamico. Funziona, ma richiede vigilanza continua per evitare concentrazioni di potere.

Sistema dualistico (alla tedesca)

Separazione netta tra:

  • Consiglio di gestione, che amministra,
  • e Consiglio di sorveglianza, che controlla e nomina il primo.

Più complesso, ma garantisce un controllo interno forte e indipendente. Lo adottano alcune grandi banche italiane.

Sistema monistico (alla anglosassone)
Un unico organo: il Consiglio di amministrazione, al cui interno opera un comitato di controllo. Più snello e tipico dei mercati anglosassoni.

È il sistema scelto, ad esempio, da molte multinazionali e tech company, perché combina snellezza operativa e responsabilità interna.

Governo societario: le norme e gli organi

Le norme sul governo societario, disciplinano le funzioni gestionali e di controllo degli organi dirigenziali. L’alta dirigenza e l’organo con funzioni di controllo sono responsabili di garantire che l’intermediario si conformi agli obblighi previsti dalle norme di legge e regolamentari in materia di servizi.

In base ai principi del governo societario, l’intermediario deve:

  • definire una ripartizione di compiti tra organi aziendali e all’interno degli stessi, garantendo il bilanciamento dei poteri e un’efficacia dialettica;
  • adottare idonee cautele, statutarie e organizzative, per prevenire i possibili effetti pregiudizievoli sulle gestione, derivanti dall’eventuale compresenza nello stesso organo di due o più funzioni;
  • assicurare una composizione degli organi aziendali che consenta l’efficace assolvimento dei loro compiti.

I soggetti che tengono le redini della corporate governance sono quattro: l’alta dirigenza, l’organo con funzione di supervisione strategica, l’organo con funzione di gestione e quello con funzioni di controllo.

Ecco nel dettaglio i compiti di ognuno di questi organi:

  • organo con funzione di supervisione strategica: individua gli obiettivi, le strategie, il profilo e i livelli di rischio dell’intermediario definendo le politiche aziendali e quelle del sistema di gestione del rischio dell’impresa; approva i processi relativi alla prestazione dei servizi; verifica l’assetto delle funzioni aziendali di controllo; approva e verifica la struttura organizzativa e l’attribuzione di compiti responsabilità; verifica il sistema di flussi informativi; e assicura che la struttura retributiva e di incentivazione sia tale da non accrescere i rischi aziendali.
  • organo con funzioni di gestione: attua le politiche aziendali e quelle del sistema di gestione del rischio dell’impresa e ne verifica l’adeguatezza; definisce i flussi informativi; definisce in modo chiaro i compiti e le responsabilità; assicura che le politiche aziendali e le procedure siano tempestivamente comunicate a tutto il personale interessato.
  • organo con funzione di controllo: gli sono attribuiti compiti e poteri necessari per rilevare le irregolarità nelle gestione e le violazioni delle norme. Può avvalersi di tutte le unità operativa aventi funzioni di controllo all’interno dell’azienda.

Va anche sottolineato che gli intermediari istituiscono e mantengono funzioni permanenti, efficaci e indipendenti di controllo di conformità alle norme e, se in linea con il principio di proporzionalità, di gestione del rischio dell’impresa e di revisione interna.

Esempi concreti. Corporate governance a Piazza Affari

Quando si parla di corporate governance, le differenze contano. Intesa Sanpaolo è l’unica tra le grandi quotate italiane ad aver adottato il modello monistico, dove un unico Consiglio di Amministrazione ha poteri di supervisione strategica, affiancato da comitati interni che vigilano sull’operato dell’AD. Una struttura snella, ispirata a modelli anglosassoni, che punta a velocità decisionale e trasparenza.

UniCredit adotta un modello di governance tradizionale con l’integrazione di standard internazionali e per un sistema di controlli interni sofisticato, cruciale in un gruppo multinazionale così esposto ai mercati.

Anche Eni resta fedele al modello tradizionale, ma con un forte focus sull’equilibrio dei poteri: presidente e CEO hanno ruoli ben distinti, e la governance è rafforzata da pratiche evolute e attenzione agli stakeholder, soprattutto sul fronte della sostenibilità.

Infine, il caso Telecom Italia (TIM) è emblematico: governance tradizionale con comitati robusti e un “Modello 231” per etica e anticorruzione, ma spesso sotto i riflettori per il delicato equilibrio tra azionisti, management e interferenze politiche.

Perché il mercato guarda (eccome) alla governance

La governance non è solo una formalità, ma è la cartina tornasole per capire se un’azienda è davvero solida o solo ben truccata.

Gli investitori oggi non valutano solo i bilanci, ma anche come un’azienda è governata.
Gli investitori la scrutano con attenzione perché sanno che dietro un board indipendente, trasparente e competente c’è meno rischio, più visione e più capacità di affrontare le crisi.

Non basta fare utili. Se la governance è opaca, autoreferenziale o troppo dominata da un singolo azionista, il mercato storce il naso, con effetti evidenti in Borsa. La “G” di ESG, spesso meno raccontata, è in realtà il pilastro che regge tutto il resto. Senza una buona governance, anche le migliori intenzioni ambientali o sociali rischiano di cadere nel vuoto.

Lo sanno le agenzie di rating come MSCI o Sustainalytics, che assegnano punteggi proprio sulla base della struttura di governo societario.

Corporate governance e crisi bancarie

La vicenda della Banca Popolare di Bari - così come i casi di MPS, Veneto Banca e Popolare di Vicenza - dimostra quanto possa essere fatale una governance autoreferenziale, inefficace o incapace di mettere al centro l’interesse collettivo. In tutti questi casi, il problema non è stato solo nei numeri, ma in una struttura di governo chiusa, dominata da pochi, priva di contropoteri e incapace di attivare meccanismi di correzione prima che fosse troppo tardi.

Nel caso della Popolare di Bari, il board è stato per anni in mano a una cerchia ristretta di amministratori legati da relazioni personali e familiari, con scarsa attenzione alla trasparenza e ai conflitti d’interesse. Le pratiche di concessione del credito erano opache, i controlli interni deboli, e le funzioni di risk management spesso ignorate o bypassate. A nulla sono serviti gli allarmi lanciati da Banca d’Italia: mancava una governance capace di ascoltare, analizzare e reagire. Il risultato? Una crisi evitabile, sfociata in commissariamento e salvataggio pubblico.

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