Mentre dalla Commissione europea Paolo Gentiloni apre a flessibilità e modifiche sul Pnrr, il ministro Raffaele Fitto prepara la strategia del governo Meloni per salvare i 209 miliardi dall’Ue.
La preoccupazione tra le istituzioni italiane per il Pnrr è massima. I ritardi del nostro Paese sono evidenti e il rischio di perdere parte dei 209 miliardi in arrivo fino al 2026 dall’Unione europea c’è. Per questo il governo Meloni è al lavoro con la Commissione europea per trovare delle soluzioni il più rapidamente possibile.
Tutto questo sotto il vigile occhio attento del Quirinale, da cui si smentiscono contatti tra Sergio Mattarella e Mario Draghi o Paolo Gentiloni, ma da cui si conferma la necessità di dare massima priorità all’attuazione del Piano.
Sabato il commissario Ue all’Economia ha aperto a una rinegoziazione dei termini del Pnrr, dopo che l’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia ha denunciato l’impossibilità di completare alcuni progetti entro il 2026, anche vista la crisi energetica e inflazionistica che ha creato diversi problemi ai bandi di gara. Sui tempi, quindi, si può ragionare, meno sui contenuti: dalla Commissione il monito è a non stravolgere l’impianto complessivo del Piano.
Pnrr, cosa vuole fare il governo Meloni
Gentiloni ricorda come la Commissione ha già approvato la revisione di alcuni piani di Stati membri legati al Next Generation Eu. Si tratta di Lussemburgo, Germania e Finlandia, anche se “si trattava di piani in relazione all’economia di questi paesi meno importanti di quanto possa essere il piano dell’Italia”.
L’obiettivo del governo Meloni è chiaro: rivedere tempi e natura di alcuni investimenti del Pnrr, forse spostando qualche fondo dalla difesa dell’ambiente e della biodiversità al potenziamento delle infrastrutture, soprattutto energetiche. Insomma: risparmiare sul piantare alberi, realizzare le piste ciclabili o anche sulla ristrutturazione degli stadi di calcio, per investire di più in strade ed impianti energetici (più o meno sostenibili).
Ma c’è anche da velocizzare la burocrazia che porta alla spesa dei fondi che arrivano dalla Commissione e non a caso si sta discutendo da giorni di un nuovo decreto Pnrr. Con quest’ultimo dovrebbe arrivare una squadra di 70 funzionari esperti per Palazzo Chigi, con quattro dirigenti generali, utili per velocizzare l’attuazione del Piano.
Quanti soldi del Next Generation Eu ha speso finora l’Italia?
Finora solo il 6% dei finanziamenti previsti dal Pnrr per l’Italia è stato speso e solamente l’1% dei progetti è stato completato. Il capitolo “Infrastrutture e mobilità sostenibile” è l’unico dove il rapporto tra spesa sostenuta e risorse è del 16,4%: si sta spendendo più in fretta rispetto agli altri settori.
Questo significa che quest’anno, con 96 tra obiettivi e target da raggiungere, c’è bisogno di un’accelerazione rispetto alla programmazione originaria per oltre 5 miliardi di spesa. Visti i ritardi, intanto, Bruxelles, tiene “bloccata” la terza rata da 19 miliardi di euro, su cui il confronto resta aperto. La Commissione ritiene che sull’apertura al mercato delle concessioni portuali il nostro Paese sia troppo timido.
Il piano del governo Meloni per salvare i 209 miliardi dall’Ue
L’idea del ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, è presentare entro un mese la relazione semestrale sul Pnrr: lì sarà scritto nero su bianco quali progetti sono inattuabili entro il 2026 e quali sembrano al governo poco sostenibili.
Due sono sicuramente i problemi già emersi: gli asili nido che non sembra riusciranno ad essere completati in 3 anni e il fatto che alcune Regioni non hanno i fondi per assicurare il funzionamento stabile delle “case di comunità”, dopo averle costruite con le risorse del Pnrr.
Il governo vuole eliminare alcuni progetti e spostarne altri su fondi europei tradizionali, che possono essere attuati con un margine di almeno tre anni più ampio (entro quindi il 2029). Tuttavia bisognerà sostituire i progetti che escono dal Piano con altri validi e attuabili entro il 2026.
In arrivo nuovi gasdotti e rigassificatori?
L’esecutivo italiano, però, vorrebbe sfruttare la finestra che si apre ora per la presentazione dei piani per il RePower Eu, il programma europeo per la transizione e l’indipendenza energetica. L’idea è innanzitutto investire di più sulle infrastrutture delle aziende dell’energia a controllo pubblico. Ad esempio, quindi, verrebbe co-finanziata una rete per rafforzare la capacità di trasmissione elettrica verso il Nord Italia. Enel, poi, potrebbe far finanziare una seconda fabbrica di pannelli fotovoltaici oltre a quella di Catania.
Si ragiona poi su uno o altri due rigassificatori per il Gnl, probabilmente nel Sud Italia. Eni e Snam si candidano per un progetto per la cattura dell’anidride carbonica negli impianti per cemento, piastrelle, acciaio, liquefazione, trasporto e stoccaggio. E ancora, si pensa a un gasdotto di Snam che vada dall’Abruzzo all’Emilia Romagna.
Infine sul tavolo ci sarebbero nuovi crediti d’imposta per famiglie e imprese: sarebbero possibili incentivi per migliorare le classi energetiche degli immobili o ridurre le emissioni e installare macchinari tecnologici.
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