Plusvalenze, si cambia: ecco come dovrebbero essere tassate

Timothy Taylor

17 Giugno 2025 - 08:06

Florian Scheuer propone di tassare solo le plusvalenze realizzate e abolire la «step-up in basis», chiudendo una storica scappatoia fiscale usata da ereditieri e super-ricchi.

Plusvalenze, si cambia: ecco come dovrebbero essere tassate

Molte delle persone più ricche del mondo detengono la loro ricchezza sotto forma di attività finanziarie, come le azioni di una società di successo. Quando si parla di plusvalenze, esiste una scelta tra una tassa sulla ricchezza, che cerca di stimare il valore di queste plusvalenze a prescindere dal fatto che le attività siano state vendute o meno, e una tassa sul reddito, che impone imposte sulle plusvalenze solo quando esse vengono vendute (o “realizzate”). Florian Scheuer sostiene il secondo approccio nel documento “Taxing capital, but right: Why realized gains, not asset values, should guide tax policy” (UBS Center Policy Brief 1, 2025).

Scheuer si concentra sul fatto che le variazioni nei prezzi delle azioni sono spesso strettamente collegate ai tassi di interesse. Dopo tutto, il prezzo di un’azione è determinato dal flusso futuro di profitti che si prevede l’azienda produrrà, ma il tasso di interesse determina il suo valore attuale, cioè quanto un investitore è disposto a pagare oggi per quei profitti futuri. Tassi di interesse più bassi tendono ad aumentare i prezzi delle azioni, perché i profitti futuri assumono un valore attuale maggiore; al contrario, tassi di interesse più alti spingono i prezzi verso il basso, perché i profitti futuri valgono di meno nel presente. Scheuer propone questo esempio:

Si prenda un’azione che paga un dividendo costante di 100 dollari all’anno per sempre, e si supponga un tasso di interesse del 10%. In questo caso, il prezzo dell’azione, che riflette il valore attualizzato del flusso di dividendi, sarà pari a 1.000 dollari. Ora supponiamo che il tasso di interesse scenda al 5%. Di conseguenza, l’azione vale ora 2.000 dollari: il prezzo raddoppia, generando una forte plusvalenza. Ma si noti che i dividendi pagati dall’azione non sono cambiati: sono sempre 100 dollari all’anno. Pertanto, il reddito e le possibilità di consumo nel corso della vita di qualcuno che non vende non sono aumentati. I 1.000 dollari di plusvalenza sono un puro guadagno contabile. Naturalmente, un investitore che vende può monetizzare il guadagno, aumentando così il proprio consumo. Al contrario, chi acquista l’azione perde: deve pagare il doppio per lo stesso flusso di dividendi futuri. In sintesi, i venditori guadagnano, gli acquirenti perdono e chi mantiene le azioni non è toccato. Ecco perché una tassa sulle plusvalenze realizzate è allineata con chi guadagna o perde a causa delle fluttuazioni dei prezzi delle attività. Al contrario, una tassa sulle plusvalenze non realizzate (o tassa sulla ricchezza) tasserebbe completamente i “guadagni contabili” di coloro che non comprano né vendono, anche se non beneficiano di tali guadagni. [...]

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