La presunzione statistica degli ISA non sempre è veritiera, la sentenza

Patrizia Del Pidio

12 Novembre 2025 - 12:39

Gli ISA non possono essere da soli la motivazione di un avviso di accertamento. Una sentenza stabilisce i limiti di utilizzo e come il Fisco dovrebbe agire.

La presunzione statistica degli ISA non sempre è veritiera, la sentenza

Il Fisco utilizza gli Indicatori Sintetici di Affidabilità (ISA) per presumere l’evasione fiscale, senza considerare minimamente la realtà in cui le aziende si trovano. Gli ISA hanno sostituito i vecchi studi di settore e autocertificano il livello di affidabilità di imprese, autonomi e professionisti.

Gli indicatori funzionano tramite calcoli statistici che aiutano a valutare se si sta sbagliando qualcosa nelle questioni fiscali e sono espressi con una valutazione da uno a dieci. Punteggi alti permettono ai contribuenti di ottenere vantaggi in ambito fiscale, come ad esempio l’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici.

I contribuenti che hanno un voto basso, anche se onesti, sono spesso costretti a difendere la propria normalità (con costi elevati) contro gli accertamenti fiscali basati sulle presunzioni statistiche. Una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Padova pone l’algoritmo di fronte alla realtà economica: se un contribuente si difende adducendo la riduzione di fatturato a crisi economica e a concorrenza locale, l’Agenzia delle Entrate deve prendere in considerazione la difesa se supportata da prove documentali.

Le pretese del Fisco non sono sempre giustificate

Nel caso preso in esame dalla Corte di Giustizia Tributaria, l’Agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di accertamento a un’azienda per l’anno 2021 contestando maggiori redditi di impresa rispetto a quelli dichiarati. La pretesa non era fondata su un’evasione fiscale accertata, su minori ricavi dichiarati o sulla presentazione di documentazione falsa, ma solo sulle incongruenze emerse con gli ISA, senza considerare che nel 2021 si era ancora in un periodo in cui l’economia risentiva pesantemente degli effetti della pandemia.

L’Agenzia delle Entrate, esaminando i ricavi e confrontandoli con le ore di manodopera e il prezzo orario applicato, tramite accertamento analitico e agendo sulla base di un sospetto generato da un algoritmo pretendeva il pagamento di ulteriori imposte come se l’imprenditore si fosse macchiato di evasione fiscale, senza avere le prove concrete dell’accusa.

La difesa che antepone la realtà

L’impresa, un’officina di periferia, agli ISA ha opposto la prova documentale del mercato per dimostrare la motivazione che aveva portato a ricavi inferiori rispetto a quelli attesi dal Fisco. L’Agenzia delle Entrate, infatti, non aveva preso minimamente in considerazione la situazione dell’azienda e il contesto economico.

La difesa ha dimostrato che la forte concorrenza attiva nel giro di pochi chilometri aveva indotto il lavoratore ad abbassare i prezzi e ad avere un margine più basso per rimanere competitivo. A queste motivazioni si sommavano anche le conseguenze a livello economico della pandemia.

La sentenza che va contro il Fisco

Con la sentenza 451 del 18 settembre 2025, la Corte di Giustizia Tributaria di Padova ha annullato l’avviso di accertamento dando pienamente ragione al contribuente. La difesa, puntualmente documentata, giustificava la riduzione dei ricavi e la motivazione per la quale il contribuente si era collocato, con gli ISA, al di sotto della «normalità».

La presunzione del Fisco è stata smontata dalla realtà e i Giudici hanno sottolineato che per quanto riguarda il diritto fiscale non devono esserci automatismi tra l’accertamento e il voto degli ISA. Il risultato dell’algoritmo deve essere sicuramente valutato e approfondito, dando modo al contribuente di potersi difendere. L’onere della prova impone al Fisco di indicare su quali elementi fonda le sue pretese, senza trascurare le prove contrarie che il contribuente può addurre.

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