Pensioni, pessime notizie. Fornero resta, nessuna riforma in manovra

Simone Micocci

3 Ottobre 2025 - 09:45

Riforma delle pensioni, nel Dpfp l’ardua sentenza: nessuna riforma, il meccanismo voluto da Fornero resta.

Pensioni, pessime notizie. Fornero resta, nessuna riforma in manovra

Nella giornata di giovedì 2 ottobre, il governo Meloni ha dato il via libera al Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp), lo strumento che da quest’anno sostituisce la nota di aggiornamento al Def nell’iter che porta all’approvazione della legge di Bilancio.

Va detto che il testo del documento non è stato ancora pubblicato e pertanto non siamo ancora a conoscenza di alcuni dati economici che sarebbero essenziali per comprendere alcuni aspetti della prossima manovra, come ad esempio avere più chiaro quale sarà l’importo dell’aumento delle pensioni che verrà riconosciuto a gennaio prossimo per effetto della rivalutazione.

Tuttavia, nel comunicato emesso dalla presidenza del Consiglio dei ministri, ne risulta uno scenario che non fa ben sperare sul fronte delle pensioni, in particolare rispetto alla possibilità che il governo possa bloccare il meccanismo di adeguamento con le speranze di vita che, a partire dal 2027, porterà a un incremento di 3 mesi dell’età pensionabile. Il rischio è che anche su questo fronte continui a contare quanto deciso dalla Fornero, ossia che l’incremento dei requisiti per andare in pensione continuerà a seguire, ogni due anni, l’andamento delle aspettative di vita.

Bloccare questo sistema, infatti, avrebbe un costo che da una prima lettura del Documento sembrerebbe essere insostenibile per le casse del Paese. Se da un lato, infatti, ci sarebbe da sorridere per i dati riguardanti il rientro del debito, dall’altro la crescita rallenta e pertanto rischiamo di ritrovarci di fronte a una nuova manovra fiscale modesta che lascerà poco spazio di intervento al governo. E come spesso accade, saranno le pensioni a pagare dazio.

Documento di finanza pubblica: conti in ordine, ma nessuna svolta sulle pensioni

Il via libera del Consiglio dei ministri al Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) conferma un dato che sembra essere evidente: anche nella prossima manovra non ci sarà spazio per una riforma delle pensioni.

L’asticella dei conti pubblici resta sotto controllo, ma la crescita si ferma ai minimi e le risorse disponibili non bastano per rimettere mano al sistema previdenziale.

Il quadro diffuso da Palazzo Chigi parla chiaro: deficit al 3% del Pil nel 2025 e in discesa negli anni successivi, debito previsto in calo fino al 136,4% nel 2028. Numeri positivi in quanto garantiscono disciplina e rassicurano Bruxelles, ma che allo stesso tempo fotografano un Paese in stagnazione. Il Pil, infatti, salirà appena dello 0,5% (dato rivisto al ribasso rispetto alle ultime previsioni) nel 2025, per poi restare sotto l’1% fino al 2028.

In queste condizioni, il governo ha margini strettissimi, tanto che il Dpfp elenca le priorità (nelle quali non figurano le pensioni): riduzione del carico fiscale sul lavoro, rifinanziamento del Fondo sanitario nazionale, nuove misure per natalità e conciliazione vita-lavoro, sostegno agli investimenti. Tutto giusto e necessario, ma a rimetterci ancora una volta sarà la previdenza: non ci sono fondi per fermare l’aumento dell’età pensionabile legato alle speranze di vita, meccanismo introdotto dalla legge Fornero.

Bloccarlo significherebbe mettere sul tavolo miliardi che, alla luce delle stime ufficiali, semplicemente non ci sono. Così, mentre il governo promette di alleggerire le tasse sul lavoro e di spingere su competitività e sanità, i lavoratori italiani dovranno continuare a fare i conti con un’uscita dal lavoro che rischia di allontanarsi sempre di più.

Pensioni, riforma sì: ma per pochi

Alla luce delle difficoltà emerse dal Documento programmatico di finanza pubblica, il governo starebbe riflettendo sulla possibilità di bloccare sì l’aumento di 3 mesi per i requisiti di pensionamento - atteso per il 2027 - ma solo per determinate categorie di lavoratori. In altre parole, niente stop generalizzato alla legge Fornero: la correzione verrebbe limitata a pochi comparti, lasciando la gran parte dei lavoratori pubblici e privati a pagare il prezzo pieno dell’adeguamento alla speranza di vita.

I primi esclusi sarebbero i militari e le Forze dell’ordine, che dal 2027 dovranno fare i conti con un allungamento dei tempi per il ritiro: pensione di vecchiaia a 60 anni e 3 mesi per i gradi più bassi (fino a 65 anni e 3 mesi per i livelli più alti), mentre per le pensioni di anzianità serviranno tre mesi in più sia nel requisito anagrafico (58 anni) che contributivo (35 anni o 41 di servizio).

La deroga riguarderebbe invece i cosiddetti lavori usuranti, per i quali rimarrebbe in vigore Quota 97,6 senza alcuna modifica. Per loro, quindi, resterebbe la possibilità di andare pensione a 61 anni e 7 mesi con almeno 35 anni di contributi. Diverso il discorso per Opzione Donna, misura già poco utilizzata a causa del ricalcolo interamente contributivo: per questa strada si ipotizza addirittura un inasprimento, con un allungamento dei requisiti contributivi rispetto ai 35 anni oggi richiesti.

Il nodo centrale resta quello dei costi. Bloccare del tutto l’automatismo della speranza di vita avrebbe un impatto enorme: secondo calcoli ufficiali, senza fare riferimento quindi alle stime paventate da alcuni esponenti del governo che parlano di appena 300 milioni di costo, significherebbe far lievitare il debito di 15 punti di Pil entro il 2045 e di 30 punti al 2070.

Anche un congelamento di soli due anni peserebbe parecchio: circa 3,3 miliardi nel 2027 e 4,7 nel 2028. Risorse che oggi non ci sono, visto che il poco margine lasciato dall’aggiornamento dei conti Istat si ferma tra i 5 e gli 8 miliardi, già prenotati da altre misure fiscali e sociali.

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