Pensioni, le regole cambiano nei prossimi anni. Colpa di una legge di 14 anni fa che nessuno è riuscito a cancellare.
Parlare di pensioni in Italia comporta inevitabilmente il tornare indietro di qualche, precisamente al 2011. Con il governo tecnico guidato da Mario Monti, l’allora ministra del Lavoro Elsa Fornero introdusse una riforma che ha segnato un prima e un dopo nella storia del nostro sistema previdenziale. Un intervento pensato in un momento di emergenza economica, con l’obiettivo di salvaguardare i conti pubblici, ma che ancora oggi, a distanza di quasi quattordici anni, continua a produrre effetti tangibili sulla vita di milioni di lavoratori e pensionati.
Nel dettaglio, la legge Fornero ha modificato due aspetti fondamentali: da un lato le regole per l’uscita dal lavoro, con l’innalzamento graduale dell’età pensionabile, dall’altro i criteri di calcolo degli assegni, sempre più legati al sistema contributivo. Ne è nato un meccanismo che, pur garantendo sostenibilità al bilancio statale, ha reso più complicato accedere alla pensione oltre a ridurre gli importi medi rispetto al passato. In pratica, si vive più a lungo ma si lavora anche più a lungo, con la prospettiva di percepire una pensione meno generosa.
Ebbene, per il 2026 non sono previsti cambiamenti: chi maturerà i requisiti potrà andare in pensione seguendo le stesse regole già applicate nel 2025. Tuttavia, la vera svolta è già fissata per il 2027, anno in cui scatterà l’adeguamento automatico alla speranza di vita. Ciò comporterà un doppio effetto: da un lato un probabile aumento dell’età necessaria per lasciare il lavoro, dall’altro un assegno più basso a parità di contributi versati. Due notizie che non faranno piacere a chi si avvicina alla fine della carriera lavorativa.
Si tratta dell’ennesima dimostrazione di come la riforma Fornero, pur varata in un contesto di emergenza, sia stata costruita con una logica di lungo periodo. Un sistema che continua a operare in maniera “silenziosa”, adeguandosi ai mutamenti demografici e finanziari, con l’obiettivo di evitare che l’allungamento della vita media si traduca in un aumento insostenibile della spesa previdenziale. Una scelta che ancora oggi divide l’opinione pubblica: da un lato la necessità di garantire equilibrio ai conti dello Stato, dall’altro il sacrificio imposto a generazioni che dovranno lavorare di più e accontentarsi di meno.
Dal 2027 si andrà in pensione più tardi
Partiamo dal primo aspetto. A partire dal 2027 è previsto un nuovo adeguamento dei requisiti per il pensionamento, determinato dall’incremento delle speranze di vita registrato dall’Istat dopo la fase di stallo dovuta alla pandemia. Si tratterebbe del primo aggiornamento dopo quello introdotto nel 2019, quando furono aggiunti 5 mesi ai requisiti anagrafici, portando l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni. Ora si prevede un ulteriore scatto in avanti: l’accesso alla pensione di vecchiaia sarà infatti possibile solo al compimento di 67 anni e 3 mesi.
Questo incremento non riguarderà soltanto la pensione di vecchiaia ordinaria, ma avrà ripercussioni sull’intero sistema pensionistico. Le modifiche interesseranno anche le forme di pensione anticipata: chi punta a questa opzione dovrà maturare 43 anni e 1 mese di contributi, con una riduzione di un anno prevista per le lavoratrici. Analogamente, aumenterà il requisito contributivo anche per chi accede alla pensione come lavoratore precoce attraverso l’attuale Quota 41, che sarà soggetta a un’estensione, sempre di 3 mesi appunto.
Le novità coinvolgeranno pure coloro che rientrano nel regime interamente contributivo, ossia chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995. Per costoro, l’età minima per la pensione di vecchiaia salirà da 71 a 71 anni e 3 mesi, mentre la pensione anticipata prevista a 64 anni (riservata ai contributivi puri), già modificata dalla legge di Bilancio 2025 con un innalzamento del requisito contributivo da 20 a 25 anni, subirà anch’essa l’effetto dell’adeguamento alla longevità.
Dal 2027 anche un assegno più basso
Ma il posticipo dell’età pensionabile non è l’unica ombra all’orizzonte. Chi maturerà i requisiti per la pensione a partire dal 2027 dovrà fare i conti anche con una riduzione dell’importo dell’assegno. A incidere sarà ancora una volta il meccanismo di adeguamento automatico alle speranze di vita, che coinvolge anche i cosiddetti coefficienti di trasformazione.
Questi parametri, previsti dalla legge Fornero, servono a convertire il montante contributivo accumulato nel corso della carriera in pensione mensile: più si allunga l’aspettativa di vita, più questi coefficienti si abbassano, penalizzando così l’importo finale.
Già nel biennio 2025-2026 si è registrato un peggioramento dei coefficienti rispetto al periodo precedente, con un impatto diretto sugli importi delle nuove pensioni. Tuttavia, chi uscirà dal mondo del lavoro nel biennio 2027-2028 si troverà in una situazione ancora meno favorevole, dal momento che l’ulteriore aumento della longevità media comporterà un’ulteriore stretta sui coefficienti, e dunque assegni più leggeri a parità di contributi versati.
Questa tendenza, peraltro, non sembra destinata a fermarsi. Al contrario, gli aggiornamenti basati sull’aspettativa di vita stanno diventando strutturali e ciclici: ogni biennio, le condizioni per accedere alla pensione, così come il rendimento dei contributi, rischiano di diventare progressivamente meno vantaggiose. Chi si avvicina oggi alla pensione, dunque, deve considerare che i prossimi scatti potrebbero essere solo l’inizio di un percorso segnato da ulteriori irrigidimenti.
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