Pensioni, ecco la riforma che ha cambiato tutto. E l’ha votata Meloni

Simone Micocci

30 Maggio 2025 - 09:45

Tutti ne parlano e la criticano, ma cosa ha fatto davvero la legge Fornero che ha cambiato le pensioni? Ecco un resoconto.

Pensioni, ecco la riforma che ha cambiato tutto. E l’ha votata Meloni

Sono passati quasi 14 anni dalla riforma che ha rivoluzionato il sistema pensionistico italiano, ma ancora oggi è al centro del dibattito. Parliamo della legge Fornero, approvata nel dicembre 2011 durante il governo tecnico guidato da Mario Monti, in piena crisi del debito sovrano. Una riforma tanto impopolare quanto necessaria, che ha allungato l’età pensionabile e modificato in profondità le regole di accesso e di calcolo delle pensioni.

Conosciuta come la “riforma di lacrime e sangue”, fu sostenuta in Parlamento anche da molti esponenti politici oggi ancora in prima linea. Tra loro, l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni, all’epoca deputata del Popolo della Libertà. Un voto che oggi in molti sembrano aver dimenticato.

Eppure, al netto delle polemiche, quella legge ha avuto un impatto decisivo: ha salvato i conti pubblici, garantito la tenuta del sistema previdenziale e avviato una transizione irreversibile verso il metodo contributivo. Ma per capirne davvero il peso, occorre prima sapere cosa ha previsto nel dettaglio e quali effetti ha avuto. Ecco tutto quello che c’è da sapere.

Le ragioni della riforma Fornero

Le modifiche in materia previdenziale introdotte dalla riforma Fornero del 2011 (articolo 24 del decreto-legge n. 201/2011, poi convertito nella legge n. 214/2011) furono il risultato di un’esigenza diventata, all’epoca, non più rinviabile: quella di assicurare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico italiano in uno dei momenti più critici per l’economia del Paese.

L’allora ministra del Lavoro, Elsa Fornero, ha più volte spiegato che “c’era il rischio reale di non avere più i soldi per pagare le pensioni”, a causa di una spirale di indebitamento che stava minando la fiducia dei mercati internazionali. In un’intervista pubblicata da Money.it, ha definito la sua stessa riforma come una “scelta dolorosa ma necessaria”, fatta in condizioni di emergenza, in un contesto in cui la politica aveva scelto di delegare a un governo tecnico le decisioni più impopolari ma urgenti.

Era il tempo della crisi del debito sovrano, con lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi che aveva raggiunto quota 575 punti base, segnalando un livello di rischio percepito simile a quello di economie vicine al default. Il governo Monti intervenne con una manovra d’urgenza, la cosiddetta “Salva Italia”, e il capitolo pensioni divenne uno dei principali strumenti per riportare in equilibrio i conti pubblici.

La riforma Fornero ha introdotto regole più severe sia per accedere alla pensione, sia per il calcolo dell’importo, con l’obiettivo di ridurre la spesa previdenziale nel breve e nel lungo periodo. I primi dati parlano chiaro: tra il 2011 e il 2020 il risparmio per le casse dello Stato è stato pari a 22 miliardi di euro, ma l’effetto sarà strutturale e crescente negli anni successivi, con proiezioni che indicano un impatto positivo fino al 2045.

Al di là delle conseguenze immediate - spesso traumatiche per migliaia di lavoratori prossimi alla pensione - questa riforma è stata un passaggio obbligato per mettere in sicurezza il sistema. Oggi, se il dibattito sulla sostenibilità previdenziale resta aperto, è proprio perché i nodi strutturali affrontati nel 2011 sono ancora presenti, e richiedono scelte altrettanto coraggiose.

Cosa ha previsto la legge Fornero

Nel dettaglio, con l’articolo 24 del D.l. n. 201 del 2011 è stata attuata una revisione complessiva del sistema pensionistico. Partendo dalla rideterminazione dei requisiti per andare in pensione. Prima della “Fornero”, infatti, si andava in pensione soddisfando i seguenti requisiti:

  • pensione di vecchiaia a 65 anni di età per gli uomini, 61 anni per le donne del pubblico impiego e 60 anni per quelle del settore privato. Il tutto con 20 anni di contributi;
  • per la pensione di anzianità, invece, veniva utilizzato il meccanismo delle quote. Nello specifico, il diritto alla pensione veniva perfezionato al raggiungimento, per la maggior parte dei lavoratori, di Quota 96, con almeno 60 anni di età e 35 anni di contributi.

La legge Fornero è intervenuta su entrambe, con il risultato che oggi, complici gli adeguamenti con le aspettative di vita intervenuti da allora (che nel complesso hanno comportato un incremento di 12 mesi per l’età pensionabile), per la pensione di vecchiaia bisogna aver compiuto 67 anni di età, tanto gli uomini quanto le donne, mentre per quella di anzianità, che nel frattempo è diventata pensione anticipata, serve avere almeno 42 anni e 10 mesi di contributi, 1 anno in meno per le donne (indipendentemente dall’età anagrafica).

Come visto sopra, in parte questi requisiti sono stati modellati anche dagli adeguamenti con le speranze di vita, ossia quel meccanismo che adegua i requisiti di accesso alla pensione alla durata della vita. Ebbene, va detto che anche su questo sistema c’è la mano della riforma Fornero: fu la legge del 2011, infatti, a stabilire che a partire dal 2019 il suddetto adeguamento sarebbe dovuto avvenire con cadenza biennale anziché trimestrale.

Ed è per questo motivo che nel 2027 rischiamo un incremento di 3 mesi dell’età pensionabile.

Il calcolo della pensione

Oggi per calcolare la pensione si utilizza il sistema contributivo, molto più penalizzante rispetto al retributivo (che ancora vale per i periodi antecedenti all’1 gennaio 1996, oppure al 1 gennaio 2012 per coloro che entro il 31 dicembre 1995 avevano maturato 18 anni di contributi). Tuttavia non è stata la legge Fornero a introdurre un tale sistema di calcolo, bensì la legge Dini del 1995. Tuttavia, è stata la riforma voluta dal governo Monti a estendere questo nuovo sistema anche a coloro che ne erano stati precedentemente esclusi, ossia proprio coloro che nel 1995 avevano già 18 anni di contributi versati.

Lato rivalutazione, ossia il meccanismo che adegua l’importo delle pensioni al costo della vita, la riforma Fornero aveva disposto il blocco per coloro che avevano una pensione d’importo superiore a 3 volte il trattamento minimo, fino però al 2017. Tuttavia, successivamente è intervenuta la sentenza n. 70 del 2015 della Consulta a dichiarare incostituzionale il blocco reiterato.

Chi l’ha votata

Come anticipato, non è un caso che ad attuare una tale riforma sia stato un governo tecnico. La politica ha preferito fare un passo indietro, consapevole del fatto che le decisioni da prendere, seppur necessarie, rischiavano di essere una macchia indelebile per il prosieguo delle loro attività.

Tuttavia, va detto che la legge Fornero non è di certo stata approvata da sola. C’è stato chi l’ha votata, e molti sono dei volti noti della politica.

E pensate che tra coloro che votarono in maniera favorevole per l’approvazione della riforma ci fu anche l’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E non fu la sola, in quanto tra i volti noti si segnalano anche Silvio Berlusconi, Pierferdinando Casini e Mara Carfagna, ma anche esponenti del Centrosinistra come Pierluigi Bersani, Teresa Bellanova e Massimo D’Alema.

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