Pensioni, nuove misure per andarci tra i 62 e i 64 anni (ma con meno soldi)

Simone Micocci

22 Settembre 2025 - 10:16

Andare in pensione con 3 o 5 anni di anticipo, è possibile? Il governo lavora a nuove soluzioni per il 2026.

Pensioni, nuove misure per andarci tra i 62 e i 64 anni (ma con meno soldi)

Il governo Meloni da qualche giorno ha iniziato a lavorare seriamente sulla riforma delle pensioni vista la necessità di individuare le risorse da stanziare con la prossima manovra. E lo sta facendo con un occhio agli anticipi, per quanto comunque facendo attenzione al far quadrare i conti.

Perché se oggi - come ha assicurato qualche giorno fa il presidente di Itinerari previdenziali Alberto Brambilla - “la spesa previdenziale in Italia è in equilibrio”, mentre in altri Paesi si comincia a discutere di riforme simili a quella approvata dalla Fornero con tanto di polemiche per le strade, bisogna fare in modo di mantenere la stessa situazione anche per i prossimi anni al fine di non sprecare i sacrifici fatti fino a oggi.

Ma nonostante i confini entro cui muoversi siano abbastanza limitati, il governo ritiene che ci sia comunque spazio per riconoscere una maggiore flessibilità in uscita attraverso una serie di misure che consentiranno di smettere di lavorare tra i 62 e i 64 anni.

In particolare, almeno secondo quelle che sono le ultime novità in materia di pensioni, sono due le opzioni attenzionate: la prima - che tra l’altro è anche quella con maggiori possibilità di essere approvata - è quella che riguarda l’estensione della pensione anticipata contributiva anche a coloro che hanno iniziato a versare contributi prima del 1996, rientrando così nel sistema di calcolo misto.

La seconda, per la quale invece servirà fare qualche calcolo in più per far quadrare i conti, è stata rinominata Quota 41 flessibile, richiamando la misura su cui la Lega punta da tempo per rivedere la legge Fornero: Quota 41 per tutti. Ma si tratterebbe di un’operazione molto diversa che per certi versi è più simile a Quota 103 che invece non dovrebbe essere confermata.

Ma vediamo quindi quali sono queste misure e come potrebbero funzionare.

La pensione a 64 anni anche per chi ha iniziato prima del 1996

Come abbiamo avuto modo di anticipare, la prima misura a cui si lavora in vista della legge di Bilancio riguarda l’estensione della pensione anticipata a 64 anni anche ai lavoratori che hanno cominciato a versare contributi prima del 1996. Si tratterebbe di un cambiamento importante, dal momento che andrebbe ad ampliare una misura oggi riservata esclusivamente ai cosiddetti “contributivi puri”, cioè a chi non ha alcun versamento precedente al 1° gennaio 1996.

Attualmente questi lavoratori possono accedere al pensionamento con 3 anni di anticipo rispetto ai 67 anni richiesti per la vecchiaia, ma a condizioni precise. Non bastano infatti i 20 anni di contributi ordinari: ne servono almeno 25, e soprattutto bisogna raggiungere un importo minimo dell’assegno pari a 3 volte il valore dell’Assegno sociale. La soglia è leggermente più bassa per le donne con figli, scendendo a 2,8 volte in presenza di un figlio e a 2,6 con due o più figli. Per il 2025, tradotto in “soldi”, significa poter andare in pensione con un importo annuo non inferiore a circa 21.000 euro, con riduzioni a poco meno di 20.000 o 18.200 euro in base al numero di figli. Una soglia che in pochi riescono a raggiungere e che quindi limita molto la platea degli aventi diritto.

Il governo ora valuta di estendere questa possibilità anche a chi rientra nel sistema di calcolo misto, ossia ai lavoratori che hanno anche solo un contributo versato prima del 31 dicembre 1995. La novità sarebbe però accompagnata da una condizione: l’assegno verrebbe calcolato interamente con il metodo contributivo, senza più beneficiare delle regole più favorevoli della quota retributiva. Di fatto, pur avendo accesso all’anticipo, l’importo sarebbe inevitabilmente più basso e quindi ancora più difficile da far rientrare nelle soglie minime richieste.

Si tratta al momento soltanto di un’ipotesi, legata alle risorse che verranno messe a disposizione con la prossima legge di Bilancio. La decisione arriverà solo dopo la pubblicazione della nota di aggiornamento del Def (attesa a giorni), quando si capirà meglio lo spazio di manovra economico. Ma l’idea di aprire questa finestra a 64 anni anche ai lavoratori con carriere miste sembra oggi una delle strade più percorribili per allargare la flessibilità in uscita, pur senza stravolgere l’impianto della riforma Fornero.

Quota 41 flessibile: un’opzione ancora in bilico

Se da una parte l’estensione della pensione anticipata a 64 anni sembra essere oggi una delle ipotesi con maggiori possibilità di essere approvate, molto più complesso è invece il percorso che riguarda la cosiddetta Quota 41 flessibile.

L’idea di fondo non è nuova: la Lega da anni spinge per l’estensione di Quota 41 dando a tutti la possibilità di andare in pensione dopo 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica. Ma un intervento di questo tipo richiederebbe risorse enormi, stimate in diversi miliardi di euro l’anno, e appare difficilmente realizzabile. Da qui la necessità di un “compromesso”, quello che oggi viene definito appunto Quota 41 flessibile: un meccanismo che mantiene la soglia dei 41 anni di contributi, ma introduce limiti aggiuntivi per contenerne i costi.

Il primo riguarda l’età. Non basterebbe più solo il requisito contributivo: per chi non rientra nelle categorie tutelate (disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi o addetti a mansioni gravose), servirebbe comunque aver compiuto i 62 anni, replicando così uno schema simile a quello della Quota 103 (che invece non verrà confermata). Il secondo riguarda invece l’importo dell’assegno: non ci sarebbe più il ricalcolo interamente contributivo, che ha reso poco attrattiva la Quota 103, ma al suo posto verrebbe introdotta una penalizzazione più contenuta, stimata intorno al 2% per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia.

Una novità importante riguarderebbe poi l’introduzione di soglie legate all’Isee. In altre parole, chi ha un reddito familiare più basso potrebbe essere esentato dalla penalizzazione, mentre chi supera i 35.000 euro l’anno vedrebbe comunque applicata la riduzione dell’assegno. Un meccanismo che per la prima volta collegherebbe direttamente le regole previdenziali a un indicatore di natura patrimoniale, segnando un cambiamento significativo rispetto all’attuale sistema.

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