Pensioni, donne penalizzate nel 2023: niente uscita anticipata

Simone Micocci

6 Dicembre 2022 - 10:38

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La legge di Bilancio 2023 dimentica le donne: sfavorite dal taglio di Opzione donna ed escluse, o quasi, dal pensionamento anticipato offerto da Quota 103.

Pensioni, donne penalizzate nel 2023: niente uscita anticipata

Ormai possiamo dirlo: la legge di Bilancio 2023 sul tema pensioni sfavorisce le donne. Analizzando le novità introdotte, infatti, ne risulta che per le donne non ci saranno strade per il pensionamento anticipato e il rischio è che l’uscita dal lavoro risulti persino ritardata rispetto all’anno in corso.

Va detto che il testo della legge di Bilancio 2023 è ancora passibile di modifiche, in quanto è iniziato l’iter parlamentare dove potrebbero essere approvati una serie di emendamenti che andranno a modificare la riforma delle pensioni.

Tuttavia, a un primo sguardo, non possiamo non notare come le donne risultino sfavorite dalle novità della manovra. E il paradosso è che ciò avvenga con la prima presidente del Consiglio donna, Giorgia Meloni.

E non ci riferiamo solamente a Opzione donna, la quale è stata profondamente rivista - e peggiorata - dalla legge di Bilancio 2023, ma anche per le altre misure introdotte: una su tutte Quota 103, annunciata come vera alternativa alla Legge Fornero ma che nei fatti potrebbe riguardare un numero limitato di donne, molte meno di quante hanno avuto accesso a Quota 100.

Perché Quota 103 sfavorisce le donne

Per andare in pensione con Quota 103 bisognerà aver compiuto i 62 anni di età e aver raggiunto i 41 anni di contributi. Quindi ben 3 anni di contributi in più rispetto a quanto richiesto da Quota 100, e appena 10 mesi in meno rispetto alla pensione anticipata ordinaria.

Il problema è che storicamente per le donne è più complicato, rispetto agli uomini, maturare un numero elevato di anni di contributi. Tant’è che, secondo i dati Inps, su un totale di 379.860 domande per Quota 100 accolte nel triennio 2019-2021, appena il 30% ha riguardato le donne.

Molte donne, infatti, hanno avuto una carriera discontinua, tra figli e casi di assistenza di familiari in gravi condizioni di salute, e questo non le aiuta di certo ad accumulare un certo numero di anni di contributi.

Quindi, se appena 113.000 mila donne, o poco più, sono andate in pensione con Quota 100, figuriamoci cosa accadrà con Quota 103 dove persino sono richiesti 3 anni di contributi in più. Senza dimenticare poi che questa forma di pensionamento anticipato prevede dei paletti significativi, come ad esempio il divieto di avviare una nuova attività lavorativa prima del compimento dei 67 anni, ossia al raggiungimento dei requisiti della pensione di vecchiaia.

Ecco perché una donna che ha maturato i 41 anni di contributi potrebbe comunque decidere di non accedere a Quota 103, consapevole del fatto che dopo meno di un anno (10 mesi per l’esattezza) maturerà i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata ordinaria, per la quale non sono previsti paletti di alcun genere.

Quota 103 finanziata dal taglio a Opzione donna

Oltre al danno, la beffa: per introdurre Quota 103, infatti, il governo ha tagliato Opzione donna, misura che nel primo semestre del 2022 ha consentito il pensionamento a 18 mila lavoratrici.

Per il 2023 era attesa una proroga della misura, consentendo il pensionamento a 58 anni, 59 anni nel caso delle autonome, a coloro che hanno maturato i 35 anni di contributi e accettano che l’assegno venga calcolato interamente con il sistema di calcolo contributivo. Requisiti da maturare però entro il 31 dicembre 2022 (mentre l’attuale limite è fissato al 31 dicembre 2021), così da includere tra la platea di Opzione donna anche le nate nel 1964.

Tuttavia, il governo Meloni ha deciso di restringere notevolmente la platea di Opzione donna, fissando un’età minima a 60 anni, con la possibilità di ridurla di un anno per ogni figlio (possibilità che potrebbe essere eliminata tra l’altro con il passaggio della legge di Bilancio in Parlamento), fino a un massimo di 58 anni.

E non è tutto, perché Opzione donna viene anche limitata a invalide (almeno al 74%), caregivers e licenziate da aziende in crisi, il che ne ristringe ulteriormente la platea.

Ne risulterà che senza modifiche significative appena poche migliaia di lavoratrici, a essere ottimisti, andrà in pensione con Opzione donna nel 2023, la quale non rappresenterà più quindi una valida alternativa alla Legge Fornero.

A conferma che le donne escono profondamente penalizzate da questa legge di Bilancio.

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