Non sempre gli anni lavorati corrispondono ai contributi versati dal lavoratore, che possono essere superiori o anche inferiori.
I lavoratori tendono a disinteressarsi dei contributi per buona parte della vita lavorativa, finché non si avvicina l’età della pensione. In realtà, bisognerebbe tenere sotto controllo i contributi versati con più attenzione, anche perché non sempre coincidono con gli anni lavorati. Ci sono diverse situazioni in cui i contributi sono maggiori oppure minori rispetto agli anni effettivi di lavoro, delle quali è bene tenere conto per l’accesso alle prestazioni pensionistiche.
Gli anni di lavoro coincidono generalmente con l’anzianità assicurativa, l’arco di tempo trascorso dall’apertura della posizione assicurativa e quindi dal versamento del primo contributo. I contributi versati, invece, corrispondono all’anzianità contributiva, fondamentale per l’accesso a qualsiasi trattamento pensionistico.
Gli anni di lavoro, al contrario, interessano limitatamente ad alcuni tipi di pensioni e in ogni caso non consentono di calcolare correttamente i contributi versati.
I contributi figurativi
I contributi figurativi vengono accreditati durante periodi di interruzione o riduzione dell’attività lavorativa. Ogni volta in cui viene prevista questa copertura i contributi versati sono più alti rispetto al periodo lavorato, per esempio durante la disoccupazione, il congedo parentale e la malattia. La maggior parte dei contributi figurativi viene riconosciuta a domanda, un altro aspetto da verificare, fatta eccezione per alcuni casi di accredito d’ufficio:
- cassa integrazione guadagni straordinaria;
- contratti di solidarietà;
- lavori socialmente utili;
- indennità di mobilità;
- indennità di disoccupazione;
- assistenza antitubercolare a carico dell’Inps.
I contributi figurativi coprono l’intero periodo interessato dalla sospensione o riduzione lavorativa, con importo che dipende da vari parametri a seconda della causa.
I contributi volontari
Un’altra ipotesi in cui i contributi versati differiscono dagli anni lavorati riguarda i contributi volontari, per l’appunto versati facoltativamente per maturare la contribuzione necessaria o incrementare l’importo della pensione.
Generalmente, i contributi volontari possono essere versati soltanto con l’interruzione del rapporto di lavoro che ha dato origine all’obbligo assicurativo. Ci sono però delle eccezioni, per esempio in caso di contratto part-time e sospensione per aspettativa dovuta a motivi familiari. L’autorizzazione al versamento dei contributi volontari viene concessa esclusivamente in presenza dei requisiti, quindi non è possibile versarli in costanza di lavoro, fatta eccezione per il part-time e l’attività agricola entro il limite di 270 giornate di contribuzione annue. Di conseguenza, chi versa i contributi volontari ha quasi sempre un numero di contributi versati maggiore rispetto agli anni di lavoro.
Contributi da riscatto
Il riscatto contributivo è un altro strumento finalizzato a incrementare i contributi versati, coprendo periodi contributivi scoperti, nei quali non c’è stata attività lavorativa o quanto meno non riconosciuta ai fini contributivi.
Ad esempio, è possibile riscattare la laurea oppure periodi di lavoro all’estero non coperti da convenzioni. Il riscatto contributivo è facoltativo, anche perché ha un onere che dipende dal sistema impiegato e l’aliquota contributiva. Anche i contributi da riscatto aumentano il montante contributivo in modo non corrispondente agli anni lavorati, servendo proprio a questa finalità.
Contributi inferiori agli anni di lavoro
Finora abbiamo affrontato situazioni in cui i contributi versati sono superiori agli anni di lavoro, ma può accadere anche il contrario.
In particolare, chi è assunto con un contratto part-time potrebbe ricevere un accredito contributivo inferiore rispetto al periodo effettivamente lavorato. Il periodo di lavoro parziale è riconosciuto per intero ai fini dell’anzianità lavorativa, ma consente il pieno versamento dei contributi soltanto in presenza del requisito retributivo.
Nel dettaglio, la retribuzione settimanale percepita deve essere almeno del 40% del trattamento minimo di pensione in vigore il 1° gennaio dell’anno di riferimento. Il pieno riconoscimento dei contributi non dipende quindi dalle ore lavorate ma da quanto vengono pagate.
Per il 2025, ad esempio, retribuzioni inferiori a 241,36 euro settimanali non consentono il pieno riconoscimento dei contributi. Questi ultimi vengono quindi versati in proporzione alla retribuzione, portando nella stragrande maggioranza dei casi al riconoscimento di circa 8 o 9 mesi di contributi per un anno di lavoro. Un problema per il raggiungimento dei requisiti pensionistici, risolvibile attraverso il riscatto e i contributi volontari.
A cosa servono gli anni di lavoro
Quasi sempre bisogna tenere conto dei contributi versati per il raggiungimento della pensione, ma ci sono delle eccezioni per alcune prestazioni.
Per esempio la pensione anticipata per gli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti richiede almeno 35 anni di contribuzione effettiva (contributi obbligatori, volontari e riscatto, escludendo i figurativi).
Secondo il più recente orientamento della Corte di Cassazione (ordinanze n. 24916/2024 e 24952/2024) questo requisito non dovrebbe essere applicato, atteso che sono comunque richiesti 20 anni di contributi effettivi quando il primo versamento contributivo è avvenuto dopo il 1° gennaio 1996.
Numerose sentenze precedenti si erano però espresse diversamente, ritenendo che la legge n. 214/2011 avesse conservato il requisito dei 35 anni indipendentemente dalle date. In mancanza di chiarimenti dell’Inps la situazione è rimasta pressoché in bilico, per quanto ci sia spazio nei ricorsi. Gli anni di lavoro diventano inoltre determinanti per alcune pensioni di vecchiaia, come quella per i lavoratori dello spettacolo, ai quali è richiesta un’anzianità assicurativa di almeno 20 anni.
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