Pensioni: cosa succede se non ci sarà alcuna riforma

Antonio Cosenza

22/04/2021

24/08/2021 - 09:09

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Riforma delle pensioni: si farà o no? Ecco cosa succederebbe senza un intervento sui requisiti per il pensionamento.

Pensioni: cosa succede se non ci sarà alcuna riforma

La riforma delle pensioni, ad oggi, è ancora un’incognita. C’è chi si dice sicuro del fatto che si farà e che verrà pensata una misura alternativa a Quota 100 che - ad esempio - potrebbe essere Quota 102; probabile che le risorse saranno stanziate in Legge di Bilancio per il 2022, ma al momento non c’è niente di certo.

Anzi, il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, il quale dovrà lavorare in prima persona per la riforma delle pensioni, ha spiegato qualche settimana fa che questa non rappresenta una priorità per il Governo: ci sono dossier più urgenti, come la riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive, e solo successivamente si potrà pensare a se e come intervenire sul sistema pensionistico.

A tal proposito ci siamo chiesti: cosa cambierà nel caso in cui non dovesse esserci alcuna riforma delle pensioni? La data da segnare sul calendario è quella del 1° gennaio 2022, quando i requisiti per andare in pensione potrebbero essere molto diversi da quelli attuali.

Pensioni: senza riforma ritorna la Fornero?

Il motivo per cui è necessaria una riforma delle pensioni, da approvare entro il 1° gennaio 2022, è ormai chiaro: Quota 100 non verrà confermata e questo andrà a generare uno scalone di 5 anni nel percorso che porta alla pensione.

Anche se Quota 100, guardando ai numeri, non ha raggiunto i risultati sperati, ha comunque permesso a circa 300 mila persone (i dati sono ancora in aggiornamento) di andare in pensione all’età di 62 anni. Ma ci saranno dei lavoratori che per qualche mese non riusciranno a raggiungere i requisiti richiesti da Quota 100 entro il termine del 31 dicembre 2021; questi saranno molto svantaggiati, in quanto dovranno aspettare altri cinque anni per andare in pensione.

Con la pensione di vecchiaia, infatti, dovranno aspettare il compimento dei 67 anni (mentre per Quota 100 ne erano sufficienti 62); con la pensione anticipata, invece, gli uomini dovranno raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contribuzione (mentre con Quota 100 ne bastavano 38), mentre le donne uno in meno.

Per evitare di svantaggiare troppo queste persone si è pensato appunto ad una riforma delle pensioni: al momento, infatti, l’urgenza è proprio quella di pensare ad una “salvaguardia” per coloro che per pochi mesi non raggiungono il diritto a Quota 100.

Dal 1° gennaio 2022, infatti, si ritornerà a fare riferimento solamente a quanto stabilito dalla Legge Fornero nel 2011. Non che questi requisiti siano stati in stand-by fino ad oggi, ma perlomeno vi era l’alternativa offerta da Quota 100; senza di questa, come abbiamo appena visto, chi nel 2022 avrebbe maturato i requisiti per Quota 100 dovrà attendere altri cinque anni per andare in pensione.

Senza riforma, per questi non ci saranno alternative: non ci sarà, ad esempio, una Quota 102 che consentirebbe il pensionamento a 64 anni, né tantomeno una Quota 41 per tutti (ma con penalizzazioni per chi anticipa l’accesso alla pensione) con cui uscire dal lavoro indipendentemente dall’età ma con 41 anni di contributi.

Misure che non consentono di andare in pensione al pari di Quota 100, ma che perlomeno andrebbero a mitigare l’effetto della sua cessazione.

Riforma delle pensioni: necessaria proroga di Opzione Donna e dell’Ape Sociale

Altre due misure che dovranno essere argomento di riforma sono l’Opzione Donna e l’Ape Sociale. Per entrambe, infatti, la scadenza è fissata al 31 dicembre 2021 e senza riforma queste due misure non ci saranno più dal prossimo anno.

Nel caso di Opzione Donna potranno comunque accedervi, visto il principio della cristallizzazione dei requisiti per la pensione, coloro che ne maturano il diritto entro il 31 dicembre 2021 (salvo, appunto, una proroga). Detto questo, senza riforma le uniche che potranno accedere all’Opzione Donna sono le nate entro il 1963 (1962 nel caso delle lavoratrici autonome) che hanno raggiunto i 35 anni di contributi entro l’anno in corso.

Per l’Ape Sociale, invece, una mancata proroga significherebbe l’impossibilità di accedere alla misura che in questi anni ha ricoperto un ruolo molto importante per la tutela delle categorie più svantaggiate.

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