Pensioni, sai che quando compi gli anni potrebbe arrivarti un aumento? Ecco come funzionano le maggiorazioni sociali.
Il nostro ordinamento tutela in diversi modi le pensioni molto basse, riconoscendo degli aumenti legati all’età anagrafica a coloro che soddisfano determinati requisiti reddituali. Più comunemente conosciute come maggiorazioni sociali, tra queste è compresa anche la quattordicesima mensilità in pagamento oggi a 3 milioni di pensionati.
D’altronde, il problema delle pensioni basse in Italia è molto diffuso, con molti pensionati che faticano ad arrivare alla fine del mese. E con il passaggio integrale al sistema di calcolo contributivo sarà ancora peggio, in quanto in quel caso non spetta neppure l’integrazione che porta l’importo a raggiungere perlomeno la soglia minima di pensione.
Ecco quindi che le maggiorazioni sociali si configurano come l’unica forma di supporto per le pensioni più basse. Ma di che importi si parla? E a quanti anni vengono riconosciute ai diretti interessati? Ecco come funzionano gli aumenti in base all’età.
I requisiti
Come abbiamo avuto modo di anticipare, quindi, le maggiorazioni sociali sono quegli aumenti mensili che si applicano sulle pensioni di importo basso, destinati ai pensionati che versano in condizioni economiche disagiate. Le norme che regolano la materia si sono stratificate nel tempo, creando un quadro complesso: le disposizioni principali si trovano nella legge n. 544 del 1988, successivamente integrate da altre leggi come la n. 388 del 2000 e la n. 448 del 2001, che ha introdotto il cosiddetto “incremento al milione” per gli ultrasettantenni.
Hanno diritto alla maggiorazione sia i pensionati che percepiscono trattamenti diretti, come le pensioni di vecchiaia, anticipate o di invalidità, sia i superstiti che ricevono la pensione di reversibilità. Le maggiorazioni si applicano alle pensioni erogate dall’Assicurazione generale obbligatoria e dalle gestioni previdenziali sostitutive o esclusive, comprese quelle dei dipendenti pubblici. Ne restano esclusi, invece, i pensionati iscritti alla Gestione Separata, i cui trattamenti non prevedono questo tipo di incremento. Ma questi aumenti non interessano solo le pensioni di tipo previdenziale: vengono riconosciuti anche ad alcune prestazioni assistenziali come l’Assegno sociale o i trattamenti spettanti agli invalidi civili, ai ciechi civili e ai sordomuti.
Spettano innanzitutto ai pensionati che abbiano compiuto almeno 60 anni, purché si trovino in condizioni economiche disagiate. A partire da questa età possono ricevere la cosiddetta maggiorazione sociale base, che rappresenta un piccolo incremento mensile sulla pensione.
Esiste però un aumento più consistente, conosciuto come “incremento al milione”, pensato per far salire l’importo della pensione complessivamente a circa 740 euro al mese. Questo incremento spetta di regola al compimento dei 70 anni, ma può essere riconosciuto anche prima, a chi ha versato abbastanza contributi. In particolare, l’età richiesta può abbassarsi di 1 anno ogni 5 anni di contributi, fino a un minimo di 65 anni per chi ha alle spalle almeno 25 anni di lavoro.
Per i titolari di pensione di inabilità riconosciuta ai sensi della legge 222 del 1984, il requisito anagrafico per accedere alla maggiorazione è invece fissata a 60 anni, senza possibilità di ulteriori riduzioni legate ai contributi.
Limiti di reddito
Uno degli aspetti fondamentali per avere diritto alle maggiorazioni sociali è il rispetto di determinati limiti di reddito. Non basta infatti aver compiuto l’età richiesta: occorre anche trovarsi sotto soglie precise, stabilite ogni anno dalla legge.
Chi vive da solo deve avere un reddito personale che non superi il valore annuo del trattamento minimo Inps, 7.844,20 euro nel 2025. Se invece il pensionato è coniugato, si applica un doppio requisito: da un lato il limite sul reddito personale, dall’altro un tetto massimo sul reddito complessivo della coppia, che non deve eccedere la somma del trattamento minimo più l’importo annuo dell’Assegno sociale (quindi 7.844,20 più 7.002,84, 14.847,04 euro).
Non rientrano comunque nel calcolo alcuni redditi specifici, come la rendita della casa di abitazione o le pensioni di guerra, che restano esclusi ai fini della verifica dei limiti.
Se il reddito del pensionato supera lievemente la soglia prevista, la legge consente comunque di riconoscere una maggiorazione parziale. In questi casi, l’importo dell’aumento non viene corrisposto per intero ma è calcolato in modo da far rimanere il reddito complessivo entro il limite massimo stabilito. In pratica, la differenza tra il reddito percepito e il limite viene suddivisa sulle 13 mensilità, riducendo così la quota mensile spettante.
Proprio per questo motivo, quando si presenta domanda per ottenere la maggiorazione sociale, è indispensabile allegare la dichiarazione dei redditi, anche se si tratta di redditi presunti, in modo che l’Inps possa effettuare le verifiche necessarie.
Gli importi
L’importo delle maggiorazioni sociali non cresce di anno in anno come avviene per le pensioni soggette alla rivalutazione, ma resta fisso e stabilito dalla legge, ed è esente da Irpef.
Negli anni, questi importi sono stati ritoccati più volte per cercare di garantire un livello minimo di sostegno ai pensionati con assegni più bassi: attualmente, chi ha tra 60 e 64 anni può percepire una maggiorazione sociale di 25,83 euro al mese.
L’importo sale a 82,64 euro mensili per i pensionati di età compresa tra 65 e 69 anni. Una volta raggiunti i 70 anni, la cifra cresce ulteriormente e arriva a 136,44 euro mensili, ma scende leggermente a 124,44 euro se il pensionato è anche titolare della quattordicesima mensilità.
Va ricordato, inoltre, che l’importo spettante può essere ridotto se il reddito del pensionato supera i limiti stabiliti, così da evitare che la somma complessiva ecceda il tetto previsto per poter usufruire del beneficio.
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